2020-12-05
Forzare un blocco della Gdf non è reato se a farlo è la Ong del no global pentito
Archiviata dal gip l'inchiesta su Luca Casarini e il comandante della Mare Jonio: erano accusati di immigrazione clandestina.Proprio mentre il governo giallorosso sta smantellando i decreti sicurezza, il gip del Tribunale di Agrigento certifica che gli alt di una nave militare valgono quanto il due di briscola. Ieri è stata disposta l'archiviazione dell'inchiesta a carico dell'armatore veneziano Luca Casarini (no global pentito, consulente dell'ex ministro per la Solidarietà sociale Livia Turco durante il primo governo guidato da Romano Prodi ed ex no global) e Pietro Marrone, capo missione e comandante della nave Mare Jonio di Mediterranea saving humans, la prima con bandiera italiana. I due erano indagati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e mancato rispetto di un ordine dato da una nave militare (una motovedetta della Guardia di finanza che aveva intimato al comandante di fermarsi). Ma è stata proprio la Procura a chiedere l'archiviazione per quell'intervento in mare del 19 marzo 2019, con un provvedimento firmato dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. «Non spengo nessun motore», pronunciarono dal ponte di comando del natante da ricerca e soccorso, disobbedendo all'ordine di una nave da guerra. Un atto rivendicato ancora oggi dai buonisti di Mediterranea che, in una nota in bella mostra sul sito web, si assolvono con queste parole: «La Procura di Agrigento in seguito a lunghe e approfondite indagini, aveva concluso che nulla delle ipotesi di reato ascritte a Marrone e Casarini, dopo un'operazione di soccorso in mare e l'entrata nelle acque territoriali con 50 persone messe in salvo nel porto di Lampedusa, poteva essere riscontrato. Anzi, la condotta degli stessi era da encomiare, in quanto non solo avevano provveduto a soccorrere persone in mare salvando le loro vite, ma avevano anche agito correttamente mettendo in sicurezza i naufraghi e l'equipaggio stesso della Mare Jonio». Basta analizzare bene le parole usate, però, per accorgersi che quel «nulla delle ipotesi di reato [...] poteva essere riscontrato» non suona come un'assoluzione piena. Il passaggio successivo è un attacco diretto al Viminale. E all'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, che avrebbero «tentato» in modo «illegittimo e pericoloso» di «impedire» il salvataggio. Fu uno dei primi bracci di ferro fra governo e ong all'indomani dell'approvazione del primo decreto sicurezza. Per la Ong, disobbedire all'intimazione di una nave da guerra, «impropriamente utilizzata dal ministro per affermare la dottrina dei porti chiusi, fu il primo atto di rifiuto verso un'inaccettabile politica fondata sulla violazione sistematica delle convenzioni internazionali sul soccorso in mare e i diritti umani. Nella Storia a volte sono stati dei no a difendere l'umanità e la democrazia. Questo è uno di quei casi». Quelle che erano violazioni delle norme in quel preciso momento, di colpo, si sono trasformate in atti consentiti: «Anche la scelta compiuta allora di non consegnare alla cosiddetta Guardia costiera libica le persone soccorse in mare», sostiene la ong, «è definita giusta e legittima nelle motivazioni dell'archiviazione, in quanto la Libia non è un porto sicuro». Ovviamente il provvedimento viene «accolto con soddisfazione» da Casarini & C, che hanno colto l'occasione per farci politica: «Non possiamo non sottolineare», si legge nella nota della ong, «come la pratica dei respingimenti di donne, uomini e bambini che scappano dall'inferno libico da parte di autorità europee continui».Ora Mediterranea è spavalda: «L'attività criminale dei respingimenti viene effettuata da miliziani libici travestiti da Guardia costiera, attraverso l'utilizzo di motovedette fornite dall'Italia e grazie al supporto e ai finanziamenti che continuano ad arrivare dal nostro Paese».La Guardia costiera libica sostenne, invece, che era «a cinque miglia dal gommone in panne e in grado di recuperare in sicurezza tutte le persone a bordo. L'intervento della nave dell'Ong Mediterranea non era necessario ed è stato pretestuoso», spiegò il portavoce della Guardia costiera libica Ayoub Qassem, che aggiunse anche: «Non comprendiamo perché abbiano voluto prendere loro i migranti, a ogni costo, pur essendo in acque libiche». Inoltre, secondo le autorità libiche, non si era trattato di un naufragio ma solo «di un guasto al motore». Parole che probabilmente non sono entrate nel fascicolo di Agrigento.E ora la Ong chiede che i ruoli vengano invertiti: «Chiediamo quando dei giudici metteranno sotto inchiesta il governo italiano e le autorità europee per questa complicità?». Non è la prima volta che Mediterranea se la prende col governo italiano. Nell'aprile 2019 la Ong presentò un esposto proprio alla Procura di Agrigento «per verificare le gravissime violazioni di leggi nazionali e convenzioni internazionali nel caso del blocco navale operato contro la Alan Kurdi con a bordo donne uomini e bambini al largo di Lampedusa», chiedendo di mettere sotto inchiesta il governo. Ma nonostante i proclami, per la Ong le grane giudiziarie non sono finite: rimangono ancora sotto inchiesta altri tre comandanti e due capi missione.