2023-05-24
Troviamo a stento le risorse per la sanità, ma daremo il 20% di fondi in più all’Oms
Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
Orazio Schillaci, all’assemblea mondiale dell’agenzia, promette l’aumento dei contributi e s’impegna a cedere sovranità: «L’Organizzazione dovrà avere un ruolo guida».Nel Reggiano, una gestante perde il feto per distacco della placenta: il punto nascite, che Stefano Bonaccini doveva riaprire dopo l’emergenza, era ancora serrato. Pure il Pd insorge.Lo speciale contiene due articoli. L’Oms somiglia al comunismo: se non funziona, è perché ne serve di più. Durante il Covid non ha offerto una grande prova di sé, viste le reticenze (se non connivenze vere e proprie) nei confronti della Cina, che stava nascondendo al mondo una devastante bomba biologica. Non solo: giusto per rendere un servizio migliore a Xi Jinping, nei cui confronti il direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, conserva un qualche debito politico, la task force dell’agenzia Onu, giunta nel Paese asiatico a febbraio 2020, lodò i lockdown nelle metropoli dei focolai. E il funzionario etiope in persona si compiacque per «il più ambizioso, agile e aggressivo sforzo di contenimento di una malattia nella storia».Ecco: esattamente come il socialismo reale, l’Oms sostiene che ci vuole più Oms. Non ha brillato? È perché non ha abbastanza poteri e risorse. Ergo, ne ha chiesti e ottenuti di più. In occasione della settantaseiesima assemblea mondiale, che si sta svolgendo a Ginevra e terminerà il 28 maggio, ha convinto gli Stati membri a sottoscrivere un impegno: approvare un budget da 6,83 miliardi di dollari per il periodo 2024-2025, con un aumento del 20% dei finanziamenti dei singoli Paesi. Nel caso dell’Italia, che è il settimo contributore tra le nazioni, si tratterebbe di passare da oltre 35 milioni e mezzo a circa 43. Non un’enormità, ma fa specie, se si considerano le difficoltà di ogni governo a racimolare risorse per la sanità. Costantemente in crisi, sfibrata dai tagli, sfiancata dalla pandemia. Tutt’ora, alla faccia della retorica sulla necessità di investire più denaro, il settore arranca. Nell’ultima legge di bilancio, con uno sforzo notevole, il governo è riuscito a stanziare poco più di due miliardi aggiuntivi per il 2023, 2 miliardi e tre per il 2024 e 2 miliardi e sei a decorrere dal 2025. Per il resto, si fatica a liberare le aziende dalla mannaia del payback, oscena eredità di Roberto Speranza, anche se, con l’ultimo decreto, l’esecutivo ha splamato i debiti delle Regioni. E il ministro, Orazio Schillaci, ha appena annunciato di aver reperito 8 milioni da indirizzare alle aree colpite dall’alluvione. Lo ribadiamo: gli ordini di grandezza dei contributi sono diversi. A turbare è il principio: a casa si tira la cinghia, poi però, per i carrozzoni multilaterali, i soldi non mancano mai. E a chi chiede all’oste se il vino è buono, l’Oms risponde: ogni dollaro che ci date ne frutta 35 in termini di «sviluppo della società». Gli scopi di Tedros e soci sono nobili, eh: dare copertura sanitaria a un miliardo in più di persone, proteggerle dalle emergenze, migliorare il loro stile di vita. D’altra parte, a fronte della generosità degli Stati, l’Oms non ha mica promesso di rinunciare alle sovvenzioni dei privati. Per dire: l’onnipresente Bill Gates, con i suoi 693 milioni di dollari annuali (dati 2022), vale il 10% del budget dell’agenzia Onu. Che accetta ben volentieri anche le elargizione della Fondazione Bloomberg, dei Clinton, di Meta e di una sfilza di case farmaceutiche - ma non fatevi sfiorare dal sospetto che ciò configuri un conflitto d’interessi. Il punto è che i filantropi, quantunque liberali, poi si aspettano che l’Organizzazione si muova nella direzione da loro auspicata. Alla faccia dei pesi e contrappesi politici e dei meccanismi di controllo democratico. È una questione tutt’altro che marginale, dal momento che, di qui a un anno, dovrebbero essere siglati il nuovo Regolamento sanitario internazionale e il nuovo trattato pandemico. Documenti che prevedono un accrescimento delle facoltà direttive dell’istituzione. Non è un caso che sia nata una task force congiunta Usa-Unione europea: dinanzi alla prospettiva che l’Organizzazione moltiplichi le sue prerogative, sarebbe pericoloso disinteressarsi del peso specifico che ha la Cina al suo interno.Intanto, Schillaci, che ieri ha parlato in Svizzera, non solo ha aderito felicemente ai prossimi impegni di spesa e alla «promessa dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile». Ha pure caldeggiato «il riconoscimento della centralità dell’Oms nel quadro dell’architettura sanitaria internazionale e del suo ruolo di guida nelle politiche sanitarie globali». Con il nostro denaro - ma con l’ipoteca del club dei maxi miliardari - ci incamminiamo sereni lungo la strada della cessione di sovranità. «Guidati» dall’Oms. È un passo verso «la crescita globale» e «la prosperità e il benessere di tutta la comunità internazionale», come crede Schillaci? Oppure stiamo pagando per farci mettere le manette ai polsi? Dopo, Tedros o chi per lui ci obbligherà a crociate contro fumo, vino e parmigiano? Fregandosene di cosa pensano i cittadini? E in caso di emergenza, manterremo un’autonomia decisionale, o ci trasformeremo in esecutori degli ordini partiti da Ginevra? Stavolta il comunismo, nella variante sanitaria, funzionerà?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fondi-in-piu-alloms-2660589720.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lospedale-e-chiuso-morto-un-bimbo" data-post-id="2660589720" data-published-at="1684934851" data-use-pagination="False"> L’ospedale è chiuso: morto un bimbo Una madre all’ottavo mese ha perso il suo bimbo per il distacco della placenta, ma è un dramma che, probabilmente, si sarebbe potuto evitare se solo il punto nascita dell’ospedale dove si era recata, e dove le è stata fatta la grave diagnosi - il Sant’Anna di Castelnovo Monti -, fosse stato in servizio. Invece, benché dopo l’emergenza Covid avrebbe dovuto esser riaperto, è ancora chiuso. Così, quando la gestante è giunta all’ospedale Santa Maria di Reggio Emilia dopo il trasporto in ambulanza, purtroppo, non c’era più nulla da fare. Quell’ora di viaggio si è rivelata fatale: all’arrivo al nosocomio il cuore del bimbo non batteva più. È stata salvata la madre. A diffondere la notizia della tragedia, avvenuta nei giorni scorsi, è stata la consigliera capogruppo di minoranza di Castelnovo Monti, appunto, Nadia Vassallo, già presidente del Comitato Cicogne, impegnata nella lotta a suo tempo in difesa del punto nascite cancellato. Di fronte alla rabbia della cittadinanza per ciò che è avvenuto, l’Ausl ha provato a gettar acqua sul fuoco con un comunicato dove si dice che alla madre protagonista di questo dramma «è stata garantita la migliore assistenza possibile» , ma che «il distacco di placenta rappresenta una delle cause più frequenti» di natimortalità e «non esiste possibilità di prevederlo». La versione però non convince la Vassallo, che ha dichiarato che, «per quanto l’Ausl abbia cercato di far intendere che quel decesso era inevitabile, non è il destino ad aver tolto il punto nascita di Castelnovo Monti. Qui le distanze fanno la differenza tra la vita e la morte». Ma il consigliere non è affatto la sola a vederla così. Anche il sindaco di questo Comune di 10.000 anime, Enrico Bini, è stato durissimo nel pronunciarsi sulle colonne del Resto del Carlino: «Ciò che è accaduto, ma anche episodi precedenti solo per fortuna conclusi senza conseguenze drammatiche, dimostrano che l’assenza del reparto non ha dato sicurezza a partorienti e neonati». Va notato come Bini sia del Pd; esattamente come lo è la sua maggioranza, ma questo non ha impedito pure al capogruppo Carlo Boni di sottolineare come la tragedia avvenuta si sarebbe potuta evitare. «Ecografia e cesareo, urgenti con tutta evidenza, andavano fatti subito», ha spiegato Boni, «non dopo un’ora di trasporto in ambulanza. Ma a Castelnovo Monti il reparto non c’è più. Questo il fatto, il resto è inutile e offensiva arrampicata sugli specchi». Per quanto gli amministratori reggiani non lo chiamino in causa esplicitamente, è chiaro come, nelle loro critiche sulla mancanza del loro punto nascita, abbiano in mente un nome ed un cognome ben precisi: quelli di Stefano Bonaccini. Sì, perché per quanto, da un lato, il governatore dell’Emilia Romagna sia in queste ore alle prese con la catastrofe dell’alluvione, dall’altro era stato lui a prendersi carico di affrontare e risolvere la questione della riapertura dei punti nascita locali. Quando? Nel marzo 2021, quando Bonaccini aveva detto: «Quando l’emergenza Covid sarà chiusa, riapriremo i punti nascita di Castelnovo Monti, Porretta, Pavullo nel Frignano, Borgotaro. Feci un errore: rimedieremo». Ora, da quelle parole sono trascorsi ormai oltre due anni, l’emergenza Covid è ufficialmente archiviata ma a Castelnovo Monti - il cui reparto maternità era stato chiuso nel 2017, in applicazione della direttiva ministeriale che imponeva requisiti minimi per garantire parti in sicurezza - le mamme non possono ancora essere ospedalizzate. Non resta pertanto che augurarsi, per quanto a quella madre che ha perso il figlio all’ottavo mese nessuno potrà più ridarlo indietro, che almeno una simile tragedia possa fungere da lezione e da stimolo per riaprirlo davvero, il punto nascita di Castelnovo Monti; e con esso anche gli altri quattro territoriali che sono stati chiusi durante la pandemia, vale a dire quelli di Scandiano, Guastalla, Bentivoglio e Lugo di Ravenna.