2022-02-03
Foibe, un volantino fa impazzire l’Anpi. È troppo realistico e quindi è un falso
Il volantino della Regione Piemonte (Ansa)
Partigiani e sinistra contro la locandina della Regione Piemonte che denuncia il crimine comunista: «Disegni ricordano la propaganda fascista». Il solito problema dei compagni: la storia a loro indigesta va taciuta.E va bene, se proprio si deve farlo, celebriamola pure questa maledetta giornata del Ricordo, ma almeno svuotiamola di significato, rendiamola anodina. Sì, sono morte un po’ di persone sul confine orientale, a cavallo della fine della guerra, ma sarà stato per colpa del freddo. È più o meno questo il ragionamento che ancora oggi fa la sinistra che, bontà sua, si piega a celebrare la ricorrenza, a patto che nessuno le ricordi cosa di preciso di sta commemorando. Le polemiche che in queste ore stanno investendo la Regione Piemonte sono in tal senso eloquenti. La colpa della giunta di Alberto Cirio è quella di aver diffuso una locandina che, per ricordare gli italiani trucidati dai partigiani comunisti, mostra degli italiani nell’atto di essere trucidati da partigiani comunisti. Tanto è bastato perché Cirio da governatore venisse tramutato d’ufficio in gauleiter: si tratta di «un manifesto che nei toni e nei modi ci riporta ai manifesti affissi dal nazismo e dal fascismo durante la seconda guerra mondiale», ha tuonato l’Anpi provinciale di Torino, chiedendo il ritiro «di un’immagine che ci riporta a una visione divisiva della nostra storia». Ah ecco, quando fa comodo la storia deve essere «non divisiva». Anche per il capogruppo di Luv, Marco Grimaldi, il manifesto è stato girato alla Regione direttamente dal dottor Joseph Goebbels: si parla, infatti, di «un’immagine che sembra propaganda nazista, con tanto di partigiani di Tito rappresentati come mostruosi giganti neri. Le manipolazioni legate al giorno del Ricordo continuano». Per l’esponente di Liberi uguali verdi, «testi e iniziative rigorosi e ben fatti, che facciano luce su quella fase della storia, ne esistono, ma la nostra destra in genere non perde occasione per aggredire verbalmente e minacciare chi li promuove, siccome alla storia preferisce da sempre il revisionismo cialtrone». Non ne siamo sicuri, ma c’è il sospetto che per «testi rigorosi» Grimaldi intenda i pamphlet scritti da qualche astro nascente della storiografia militante che si è fatto fotografare con la maglietta con la stella rossa e il pugno chiuso. Giusto per restare in tema di revisionismo, e pure di cialtroni. Sull’iniziativa è intervenuto anche il vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, Mauro Salizzoni (Pd), seppur con toni appena più pacati: «Non condivido questo modo di rappresentare il giorno del Ricordo da parte della Regione Piemonte. Un modo conflittuale, a senso unico, con le stelle rosse armate che cacciano civili perbene terrorizzati. È chiaro l’intento di riaccendere polemiche, che ci riportano indietro ad un clima da anni Cinquanta, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Non sposo posizioni giustificazioniste, non giustifico niente, semplicemente vorrei che si raccontassero i fatti dall’una e dall’altra parte, senza rappresentazioni grottesche». Ora, questa improvvisa voglia di complessità, di sfumature, di sospensione del giudizio morale potrebbe anche sembrare meritoria, se non arrivasse proprio dal settore politico e culturale che per primo ha imposto narrazioni a senso unico, manicheismi unilaterali, ricerche del male assoluto e relativo tra le pieghe dei fatti storici. C’è anche il sospetto che tutta questa fame di «contestualizzazione» nasconda in realtà la volontà di ributtare la palla nell’altra metà del campo. Insomma, «contestualizzare» le foibe per dire che in realtà gli infoibati erano stati a loro volta i primi carnefici e quindi in fondo in fondo si sono meritati il trattamento. E, del resto, tutte queste dotte «contestualizzazioni» in genere si limitano ad andare a ritroso di qualche anno, giusto il tempo di citare le politiche di italianizzazione poste in essere dal fascismo. Come se i conflitti etnici e identitari in una zona da secoli contesa fossero stati inventati dal fascismo. Va inoltre sottolineato come anche l’appello alla continenza, alla sobrietà, a toni non divisivi funzioni in una sola direzione. Prendiamo lo scrittore sloveno Boris Pahor, di cui è in uscita per La nave di Teseo il romanzo Oscuramento, ma a cui nessuno chiede di rendere conto di frasi come quelle rilasciate un anno fa a Left. In quell’occasione lo scrittore ed ex partigiano si lamentò della «pletora di falsità che hanno accompagnato l’istituzione del Giorno del ricordo che dal 2004 si celebra il 10 febbraio, senza menzionare esplicitamente i crimini fascisti contro gli sloveni nel ventennio fascista». Pahor non ci capacitava di «come sia possibile che anche massime cariche dello Stato colte e intelligenti possano dire che gli jugoslavi, ossia gli sloveni di sinistra, avrebbero sistematicamente mandato gente alle foibe, non è accettabile. La narrazione sulle foibe è basata su una bugia molto pericolosa. Che messaggio diamo ai giovani? Se diciamo loro una cosa non vera, ossia che gli sloveni di sinistra si sono vendicati, potremmo suscitare il pensiero che sia bene che arrivi una forza autoritaria per fare ordine in Italia». E come andò allora la storia? «Ai militari», racconta Pahor, «fu detto: la guerra è finita, lasciate qui le armi e andate a casa. Potevamo fare dei prigionieri, ma abbiamo detto: siete liberi, andate a casa». Ma sì, una stretta di mano e amici come prima. Il revisionismo della destra ci parla di tragedie e massacri, ma per fortuna le fonti autorevoli ci svelano la verità: sul confine orientale si svolse una specie di grande partita di calcetto. Chi perde paga il campo. Con la vita, ma questo è meglio non dirlo: troppo divisivo.