
I sindacati avevano parlato di «punte dell’85%». La storia è completamente diversa e sgonfia l’entusiasmo della segretaria dem. La quale vorrebbe usare contro la Meloni il sistema sanitario messo in ginocchio dai tagli miliardari operati dai governi a guida Pd.Non ha fatto in tempo ad entrare in corsia, che la presunta rivolta dei medici si è già smontata. Fresca della vittoria elettorale spacciata per trionfo in Umbria ed Emilia-Romagna, Elly Schlein aveva individuato nella sanità il nuovo fronte caldo sul quale lanciarsi. Incurante dei disastri combinati negli ultimi anni dalla sinistra (riduzione degli investimento per 37 miliardi e taglio di 25.000 operatori in una decina d’anni) il segretario si è trasferito nel cuore degli ospedali italiani: «La mobilitazione nazionale proseguirà», aveva detto mercoledì, «andremo nei luoghi di cura ad ascoltare le testimonianze di chi lavora e dei cittadini». Neanche il tempo di intestarsi l’ennesima battaglia di facciata (come si fa ad accusare la Meloni, come del resto aveva già fatto con il salario minimo, su riforme o provvedimenti che la sinistra in anni e anni di governo non ha mai portato a termine?) che i dati ufficializzati dal ministro Orazio Schillaci le hanno smontato il giocattolo. «I numeri pubblicati sul sito del dipartimento della funzione pubblica indicano un’adesione esigua, poco al di sopra dell’1%, allo sciopero proclamato da alcuni sindacati. Percentuale lontana da quella dichiarata dalle organizzazioni (siamo arrivati a punte dell’85% ndr) e che peraltro è in linea con quella dello sciopero indetto lo scorso anno, dalle stesse sigle, che si è fermato a un’adesione del 3%». «Medici e infermieri», continua il ministro, «sono consapevoli del lavoro che stiamo portando avanti, nonostante le tante difficoltà, e a loro va il mio ringraziamento per la professionalità e l’abnegazione con cui si dedicano alla cura dei cittadini. Continueremo a fare tutto il possibile per ripagare questo impegno».Ai numeri segue anche la fiducia per il percorso della manovra che potrebbe riservare risorse aggiuntive alla sanità: «Ci sono proposte emendative all’attenzione della Commissione Bilancio della Camera [...], per esempio proposte per aumentare l’indennità della specificità di chi lavora nel servizi sanitario pubblico e anche, eventualmente, di defiscalizzare questa voce stipendiale», ha aggiunto Schillaci, ma non è questo il punto. Il paradosso della Schlein è che ha provato a intestarsi una protesta che non è sua per definizione. Lo dicono i numeri dei tagli che abbiamo visto sopra e lo dicono il susseguirsi degli scioperi di medici e infermieri che a partire dal 2011 hanno incrociato le braccia contro i governi di tutti i colori e quindi soprattutto contro gli esecutivi progressisti. Ma del resto, che i numeri alla sinistra piacciano poco lo si desume anche dall’altra polemica di giornata. Quella tra il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, e il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Polemica annunciata e che in vista dello sciopero generale del 29 riserverà sicuramente altre «gustose» puntate, visto che l’ipotesi della precettazione per trasporti, sanità e giustizia diventa sempre più credibile. «Nei 25 mesi di vita del governo sono stati proclamati 518 scioperi nazionali e interregionali, di cui 374 realmente effettuati per una media di 15 scioperi al mese. Facendo un confronto con i governi precedenti si tratta della media più alta degli ultimi sette governi», ha evidenziato il segretario della Lega. Poi via di confronto: «Durante i 34 mesi del governo Renzi», ha continuato Salvini, «i sindacati erano più distratti perché gli scioperi furono 280, 8 al mese». Insomma, i numeri dicono chiaramente che non ci sono mai stati così tanti scioperi come contro il governo Meloni. «Qualcuno invita alla rivolta sociale», ha incalzato il ministro facendo riferimento a Landini, «se gli scioperi verranno svolti rispettando le norme, nulla quaestio, altrimenti già dalle prossime ore interverrò personalmente per limitarne la fascia oraria, eventualmente anche con la precettazione». Figurarsi. Al leader della Cgil che non vede l’ora di prendersi la scena non è sembrato vero. Ieri Landini era impegnato a mettere nero su bianco i dati (ovviamente in negativo) dei salari in Italia, senza però dire che il suo sindacato dopo aver lasciato il tavolo della trattativa per il rinnovo del contratto, con aumento da 160 euro lordi al mese, di 200.000 dipendenti dei ministeri, sta facendo lo stesso sulla trattativa di chi lavora negli enti locali, e ha mollato pure le negoziazioni degli addetti alle Poste. «Abbiamo pienamente rispettato le regole per la proclamazione dello sciopero generale», si è inalberato, «non so cosa intende Salvini per selvaggio, forse il termine era autobiografico...». Messa da parte l’ironia, che non è decisamente il suo forte, il segretario è tornato a dare i numeri sugli stipendi degli italiani: «C’è un’emergenza salariale. I dati della Fondazione Di Vittorio parlano di salari depauperati negli ultimi 30 anni e di un gap nei confronti degli altri grandi Paesi europei: dal 1990 al 2020, in Italia c’è stata una perdita del 2,9% del potere d’acquisto contro l’aumento del 18,4% nei Paesi Ocse e una media del +22,6% nella zona euro». Per una volta ci ha preso e non volendo ha dato ragione a Salvini: se i salari degli italiani hanno perso potere d’acquisto negli ultimi 30 anni, perché la Cgil ha raggiunto il record di scioperi proclamati con il governo di centrodestra della Meloni? La risposta è talmente scontata che non vale neanche la pena darla.
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