2023-10-15
Migranti, l’ordinanza di Firenze è la peggiore
I casi di Catania hanno messo in ombra la decisione del tribunale fiorentino, che ha annullato l’espulsione di un clandestino in Tunisia. Le toghe hanno classificato infatti lo Stato come «non sicuro». Arrogandosi un potere esclusivo dell’autorità politica.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazioneIl grande clamore mediatico suscitato dalle note ordinanze con le quali il tribunale di Catania ha respinto le richieste di convalida del «trattenimento» di alcuni richiedenti asilo giunti dalla Tunisia ha lasciato un po’ in ombra un altro provvedimento giudiziario in materia di immigrazione di cui pure era stata data notizia dagli organi di informazione (compresa La Verità) e la cui portata potenzialmente eversiva è forse addirittura superiore a quella delle ordinanze anzidette. Si tratta del decreto con il quale, il 20 settembre 2023, il tribunale di Firenze ha sospeso l’esecutività del provvedimento di reiezione della richiesta di protezione internazionale avanzata da un cittadino tunisino, disapplicando, a tal fine, il decreto ministeriale del 17 marzo 2023 con il quale era stato confermato che la Tunisia era da considerarsi come paese «sicuro». Tale giudizio - come si attesta nello stesso decreto del tribunale - era stato espresso sulla scorta di un aggiornamento circa la situazione interna della Tunisia, in cui si era tenuto conto della «grave crisi democratica» manifestatasi in quel Paese, essenzialmente a causa di «una significativa concentrazione di tutti i poteri dello Stato in capo al presidente Saied», giungendosi però alla conclusione che ciò non sarebbe stato sufficiente a far sì che la Tunisia dovesse essere esclusa dalla lista dei Paesi «sicuri», avuto riguardo al fatto che non era stata definitivamente compromessa l’indipendenza della magistratura e che erano state tenute, il 17 dicembre 2022, delle elezioni politiche sulla cui regolarità doveva vigilare un organo indipendente, costituito dall’Isie. Ma, ad avviso del tribunale, tale valutazione doveva ritenersi in parte incompleta ed in parte superata. L’incompletezza derivava essenzialmente dal non essere stato considerato che alle elezioni del 17 dicembre 2022 aveva partecipato meno del 9% degli aventi diritto al voto, dopo che il presidente Saied aveva sostituito con persone di sua fiducia gli originari componenti dell’organismo indipendente di controllo, e che il 12 febbraio 2023 erano stati eseguiti degli arresti in massa in cui erano stati coinvolti anche due giudici, facenti parte di quelli che il presidente aveva in precedenza destituito. Il superamento derivava da una serie di eventi successivi al 17 marzo 2023, tra i quali, in particolare, quello - definito di «rilevantissimo profilo» - costituito dalla «profonda preoccupazione» espressa il 27 giugno 2023 dall’ Unhcr (Comitato delle Nazioni unite per i rifugiati), «per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni terribili a seguito del loro allontanamento in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con Libia e Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l’Algeria»; preoccupazione, quella anzidetta, che risultava poi condivisa, il 17 luglio 2023, dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović. A prima vista la posizione assunta dal tribunale di Firenze potrebbe sembrare ineccepibile, alla luce del principio, assolutamente pacifico nel nostro ordinamento giuridico, che il giudice ordinario può disapplicare qualsiasi provvedimento amministrativo del quale riconosca, motivatamente, la illegittimità. Nel caso di specie, però, questo principio è stato pretestuosamente e indebitamente evocato. Il tribunale, infatti, per disapplicare il decreto ministeriale, avrebbe dovuto dimostrare che esso era affetto da almeno uno dei tre possibili «vizi di legittimità» che sono, secondo l’unanime e indiscussa dottrina giuridica, l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso (o meglio, secondo alcuni, lo «sviamento») di potere. Ma tale dimostrazione è, invece completamente mancata, essendosi il tribunale limitato a porre in luce, come sopra illustrato, gli elementi che, a suo giudizio, essendo già noti prima del 17 marzo 2023, avrebbero dovuto indurre il ministero a non confermare l’inclusione della Tunisia fra i Paesi «sicuri». In tal modo esso ha palesemente violato il consolidato principio affermato, fra le altre, con la sentenza della Cassazione civile n. 14728 del 2006, secondo cui: «Al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell’atto amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità del provvedimento - incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere - ma non ha il potere di sostituire l’amministrazione negli accertamenti e valutazioni di merito che sono di sua esclusiva competenza»; proprio quello che, invece, ha fatto il tribunale, sostituendo, di fatto, la propria soggettiva valutazione a quella operata dal ministero, sull’assunto della pretesa, decisiva rilevanza, in senso contrario, degli elementi di cui si è detto. Ma un’ancora più grave violazione appare ravvisabile nel fatto che la disapplicazione del decreto ministeriale è stata fatta derivare, come si è visto, anche (e soprattutto) da fatti sopravvenuti che, come tali, in nessun modo e per nessuna ragione potevano, evidentemente, valere a dimostrarne la originaria illegittimità. In tal modo il tribunale si è, di fatto, arrogato un potere che è proprio ed esclusivo dell’autorità politico-amministrativa: quello, cioè, previsto dall’art. 2 bis del D.L.vo n. 25 del 2008, di riconoscere o escludere che un determinato Paese possa rientrare nel novero di quelli da considerare «sicuri». Quei fatti, in realtà, avrebbero potuto essere valutati in favore del richiedente asilo solo se questi li avesse evocati, come previsto dal comma 5 del citato art. 2 bis del D.L.vo n. 25/2008, al fine di dimostrare l’esistenza di «gravi motivi» per i quali fosse da ritenere che la Tunisia non poteva considerarsi paese «sicuro» per via di una «situazione particolare» nella quale egli si trovava, quale avrebbe potuto essere, se non avesse avuto la cittadinanza tunisina, quella di «migrante». E ciò proprio in considerazione del trattamento al quale, secondo le fonti menzionate dal tribunale, i «migranti» sarebbero attualmente esposti in Tunisia. Ma è lo stesso tribunale ad affermare - come si legge nella pronuncia in discorso - che il richiedente asilo aveva contestato la qualificabilità come «sicuro» del proprio Paese di origine «senza allegare ragioni specifiche, peculiari, riferibili alla sola sua persona, ma facendo riferimento al mutamento del quadro sociopolitico e sicuritario generale della Tunisia riguardante la generalità delle persone». E proprio a causa della riconosciuta genericità di tali deduzioni il tribunale, quindi, altro non avrebbe potuto e dovuto fare se non disattenderle. Il che, però, avrebbe comportato la perdita di una buona occasione per riaffermare il principio che veramente sta a cuore a una piccola, ma assai determinata parte della magistratura: quello, cioè, che la definizione delle linee d’indirizzo in materia di immigrazione è di competenza sua, e non - come invece dovrebbe - del potere politico.
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)