2021-04-07
Finti tentativi di suicidio sulle navi delle Ong
Nelle carte della Procura di Ragusa, le bugie sulla salute dei naufraghi presi a bordo (a pagamento) dalla Mare Jonio. Nessun ricovero, smentiti pure i medici.Il salvataggio di 27 migranti da parte della petroliera danese Maersk Etienne e il successivo trasbordo dei naufraghi (premiato dagli armatori danesi con 125.000 euro) sul rimorchiatore Mare Jonio del nostromo no global Luca Casarini è stato descritto dai media come un evento estremamente drammatico. Ma l'inchiesta della procura di Ragusa sulla vicenda (viene contestato il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) sta mettendo in dubbio questo storytelling. Per esempio Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea saving humans il 4 e il 7 settembre insieme ad altri rappresentanti di altre Ong aveva scritto all'Alto commissariato per i diritti umani per sollecitare un intervento delle autorità, denunciando tre presunti tentativi di suicidio da parte dei «passeggeri» della petroliera, che si sarebbero lanciati dalla nave. Una notizia che, secondo gli inquirenti, «rimane allo stato non compiutamente riscontrata». Anche perché non vi è traccia di questi eventi nel giornale di bordo della Maersk Etienne e difficilmente un migrante fiaccato da un lungo viaggio avrebbe potuto salvarsi dopo essersi lanciato in mare da un'altezza di quasi dieci metri. Ma l'equipaggio della Mare Jonio, la nave di Mediterranea (la cui società armatrice è però la Idra social shipping, srl con finalità commerciali) avrebbe detto anche altre bugie sullo stato di salute degli extracomunitari. I magistrati fanno carta straccia pure delle attestazioni del team medico della Mare Jonio, composto dalla dottoressa Agnese Colpani, medico-chirurgo e dal signor Fabrizio Gatti, soccorritore professionale. Dalle intercettazioni, captate dagli investigatori, come svelato dalla Verità, è emersa subito, annotano gli investigatori, la «sprovvedutezza professionale» della dottoressa Colpani, «medico di bordo (neo laureato)». È lei alla guida del team sanitario che, «nel vivo delle stesse operazioni di trasbordo, avrebbe consultato tale Donatella Albini, palesandole la propria obiettiva incapacità di attendere con perizia allo svolgimento di prestazioni del tutto elementari, quali la rilevazione di una vena (a una migrante che si sospettava in stato di gravidanza) come pure l'accertamento di stati di ipotermia e disidratazione».Nonostante le difficoltà con le conoscenze mediche di base, il team sanitario deve aver preso coraggio quando ha stilato la relazione da mandare all'Usmaf, l'ufficio di sanità marittima, descrivendo la Maersk Etienne come un lazzaretto: «Alcuni presentano disturbi del tratto gastro enterico, diarrea, ematochezia, episodi emorroidari, vomito, epigastralgie oli purulente, infezioni cutanee, coliche renali, stranguria, ematuria, tendenze autolesioniste, intenti suicidiari uno in particolare presentava manifestazioni psico somatiche di profondo stress». Oltre a una donna che accusava dolori addominali e certificata come in gravidanza. Il marito della migrante ha poi confermato agli investigatori che «a seguito di quanto riferito da mia moglie a personale medico della Mare Jonio, quest'ultimo le ha detto che era incinta». Si è successivamente scoperto invece che la donna non era in stato interessante. E che, al più, i dolori allo stomaco potevano essere dovuti a uno stato di stress. Il dottor Vincenzo Morello, medico delegato Usmaf al porto di Pozzallo deve essersi messo le mani nei capelli dopo aver letto il report arrivato dalla Mare Jonio. Le sue conclusioni hanno dato il colpo di grazia alla perizia con la quale era stato condotto l'esame dal team medico dei nostromi di Casarini: «Nulla di patologico emerge di obiettivamente rilevabile». Tanto che non si diede luogo ad alcun ricovero in ospedale. Ma ai dubbi del medico dell'Usmaf si sono sommati quelli della Procura guidata da Fabio D'Anna: «Si ha motivo di affermare», scrivono i pm nel decreto di perquisizione per gli otto indagati, «che l'intervento della Mare Jonio non risulti coperto nemmeno dalla scriminante del dovere di soccorso». Inoltre, «va rilevato», sottolineano i magistrati, «che, benché la Mare Jonio si sia accollata il completamento di una operazione di search and rescue iniziata da un'altra unità navale battente bandiera danese [...] l'intera operazione, risultava concepita e portata a termine per finalità che pare non perfettamente compatibile con il fine solidaristico proprio delle Ong che operano nel Mediterraneo Centrale allo scopo dichiarato di salvare migranti». Da qui la contestazione di aver agito con finalità commerciali. Ma quelle ricostruite fin qui non sono le uniche anomalie nei diari di bordo delle due navi protagoniste di questa storia. C'è, per esempio, l'annunciata spedizione per Lampedusa per la consegna di «80 litri di benzina (una scusa, si ipotizza, per raggiungere la Maersk Etienne, ndr)», «un mero pro forma», annotano gli investigatori, presto contraddetto dagli stessi documenti di bordo, nei quali Mare Jonio avrebbe «rivelato» le sue reali intenzioni, dimostrando che il soccorso era stato preordinato. Il rimorchiatore Mare Jonio il giorno della partenza da Lampedusa si fermò a meno di 12 miglia dalla costa italiana e, nella erronea convinzione di trovarsi in acque internazionali, attese l'arrivo del gommone che avrebbe accompagnato Gatti e tale Georgios Apostopoulos, «soggetti ai quali era stato vietato l'imbarco». Nel giornale di bordo viene annotato: «Si procede con rotta per passare a W di Malta, ricevuta mail dell'armatore signor Alessandro Metz per l'imbarco di due tecnici per disposizioni armatoriali». È stato poi uno dei membri dell'equipaggio a svelare agli investigatori che simulando una esercitazione era stato usato uno dei due gommoni in dotazione. Un dettaglio che «il comandante Pietro Marrone ometteva di annotare nel giornale di bordo», sottolinea l'accusa, beccandosi così l'accusa di aver violato le norme del codice di navigazione.