2024-06-26
Finisce l’odissea di Assange. Per essere scarcerato si è dichiarato «colpevole»
Dopo cinque anni di prigionia a Londra, il fondatore di Wikileaks patteggia con gli Usa ed è libero. Inviso a Hillary Clinton, nel 2016 la dem proponeva di «ucciderlo con un drone».Ha dovuto patteggiare con la giustizia americana, Julian Assange, per poter riconquistare la libertà. Il giornalista australiano, 52 anni di cui più di cinque trascorsi nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh per aver diffuso documenti riservati, ha lasciato ieri la Gran Bretagna, dopo aver accettato di dichiararsi colpevole di un solo reato (rispetto ai 18 capi d’imputazione che lo hanno tenuto in prigione finora): violazione di materiale americano classificato ai sensi dell’Espionage act. L’accordo con il Dipartimento di giustizia Usa, che ha accettato di abbandonare gran parte delle incriminazioni e l’accusa di hackeraggio informatico originariamente presentata contro Assange, gli consentirà di evitare il carcere negli Stati Uniti e di tornare in Australia, suo Paese natale, non prima di dirigersi verso le Isole Marianne Settentrionali, dove ha formalizzato l’ammissione di colpevolezza per poi essere definitivamente rilasciato. La notizia è stata diramata ieri dalla Cnn: secondo i termini dell’accordo, i pubblici ministeri del dipartimento di giustizia hanno chiesto una condanna a 62 mesi, che equivale agli oltre cinque anni che Assange ha già scontato nella prigione londinese. L’odissea del giornalista dura da più di 14 anni: ex hacker australiano, nel 2006 fonda Wikileaks, organizzazione nota per la pubblicazione di documenti classificati di alto profilo. Nel mirino di Assange finiscono l’esercito statunitense, i diplomatici e lo staff di Hillary Clinton. Sarà quest’ultima, nel 2016, a dichiarare ai suoi collaboratori di volersi sbarazzare di lui: «Non possiamo lanciare un drone contro quest’uomo?», avrebbe detto l’allora segretario di Stato, «dopo tutto, è un bersaglio facile: uno che se ne va in giro a ficcare il naso ovunque senza paura di reazioni da parte degli Stati Uniti», diceva la sfidante di Donald Trump alla Casa Bianca.L’opinione pubblica si divide: da una parte i sostenitori del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che garantisce, senza limiti, la libertà di parola e di stampa. Dall’altra, il governo degli Stati Uniti, che afferma che le azioni di Assange minacciano la sicurezza nazionale. L’epopea giudiziaria inizia intorno al 2010, quando Wikileaks, in nome della trasparenza, pubblica migliaia di documenti riservati che mettono in pessima luce l’azione dei governi Usa in quegli anni, soprattutto riguardo l’attività militare americana in Iraq e Afghanistan. È in quello stesso anno che Assange viene accusato di violenza sessuale ed è costretto a rifugiarsi per sette anni all’interno dell’ambasciata ecuadoregna a Londra per evitare l’estradizione in Svezia: l’indagine sulle aggressioni sessuali viene poi abbandonata dal pubblico ministero svedese. Dopo le elezioni del 2016, che vedono trionfare Trump contro Hillary Clinton, Wikileaks pubblica decine di migliaia di documenti che, secondo il Dipartimento di giustizia Usa, sarebbero stati rubati ai democratici da hacker del governo russo. Tre anni dopo, nel 2019, un gran giurì federale incrimina Assange di 18 capi d’accusa relativi alla diffusione da parte di Wikileaks di una vasta gamma di documenti di sicurezza nazionale e gli imputa il reato di cospirazione, accusandolo di aver pubblicato informazioni sulla pianificazione e le operazioni militari americane consegnategli dall’ex analista dell’intelligence dell’esercito Usa Chelsea Manning. Assange viene prelevato dall’ambasciata ecuadoregna e incarcerato in Gran Bretagna. Lui si dichiara innocente: la diffusione di informazioni sensibili sulla sicurezza nazionale è «nell’interesse pubblico» e merita le stesse protezioni del Primo emendamento concesse ai giornalisti investigativi.La sua scarcerazione non è del tutto inaspettata: da anni gli attivisti per la libertà di parola e di stampa lo sostengono, e ultimamente il fondatore di Wikileaks ha anche ricevuto qualche supporto politico: per almeno due volte, nei mesi scorsi, il premier australiano Anthony Albanese ha chiesto la liberazione di Assange «la cui incarcerazione non serve a nessuno». Anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz è intervenuto contro la sua estradizione negli Stati Uniti, mentre la relatrice speciale Onu sulle torture, Alice Jill Edwards, si è pronunciata contro la sua estradizione rilevando che Assange soffre di «disturbo depressivo» e la sua salute è a rischio («era in una cella di 2x3 metri, isolato 23 ore al giorno», ha scritto ieri Wikileaks in un comunicato); nel 2021 Assange ha subito un piccolo ictus in carcere. È per queste pressioni, e certamente per le elezioni americane incombenti, che l’amministrazione di Joe Biden ha deciso di chiudere il caso: il presidente americano vuole giocarsi la partita passando come sostenitore della libertà di parola. Dal fronte repubblicano (che negli anni passati si era schierato contro il fondatore di Wikileaks), nessun commento se non quello di Mike Pence, ex vicepresidente di Trump, che ha definito l’accordo «un errore giudiziario». Ma Trump non si è ancora pronunciato sulla sua liberazione che, se tecnicamente non costituisce un precedente perché non c’è stata una sentenza, deriva di fatto da un’ammissione di colpa per «atti di giornalismo».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.