2021-03-18
Al posto di inchieste sulla pandemia la Rai ci rifila un film insulso
Oggi il servizio pubblico trasmetterà il cortometraggio «Io sono... Italia». La solita carrellata di vip, da Beppe Fiorello a Giovanni Allevi, inneggerà alla «reazione» del Paese al lockdown. Più che inutili omaggi, vorremmo chiarimenti sulla disastrosa gestione della pandemiaSe ci si pensa bene, è soltanto un altro modo per attribuirci responsabilità che non abbiamo. A leggere le frasi pompose con cui viene presentato Io sono... Italia - cortometraggio che la Rai trasmetterà oggi per la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid - viene da pensare che qualcuno abbia completamente sbagliato il bersaglio. Il corto, dicevamo, è stato prodotto da Rai Cinema e dal'associazione Cultura Italiae, in collaborazione con Rai Teche, ed è stato realizzato da Vertigo. Il comunicato ufficiale lo presenta così: «Il brano composto da Giovanni Allevi, Kiss me again, fa da colonna sonora al viaggio per immagini tracciato dal testo di Mauro Berruto (l'ex allenatore della nazionale di pallavolo), nel quale ogni elemento parla in prima persona letto da Elena Sofia Ricci, Claudia Gerini, Paolo Briguglia, Lino Guanciale, Vinicio Marchioni, Flavio Insinna, Enrico Lo Verso, Francesco Montanari e Andrea Delogu, Massimo Ghini, Cristiana Capotondi, Valentina Lodovini, Beppe Fiorello e la figlia Anita». Ora, va bene che tutti questi vip hanno prestato il volto a titolo gratuito, ma davvero ce n'era bisogno? Giovanni Allevi, durante la conferenza stampa di presentazione del film, si è spinto molto in là: «In questo momento siamo come dei guerrieri chiusi nella nostra tenda a leccarci le ferite e affilare la spada prima di intraprendere nuove battaglie», ha detto. «Dobbiamo comunque avere un visione luminosa del futuro, non cedere alla tentazione di farci prendere dal panico e dallo sconforto. Sono convinto che questo piccolo corto contribuirà a rafforzare dentro di noi l'entusiasmo di cui abbiamo bisogno». Beppe Fiorello, spiegando sulla Stampa lo spirito del corto, ha scritto che «siamo stati capaci di venir fuori da fasi ancora più complicate della nostra storia, anche stavolta ce la possiamo fare». Ecco, il senso dell'operazione dovrebbe essere più o meno questo: un cortometraggio in cui un pugno di artisti celebra le virtù degli italiani in quest'anno di pandemia, il tutto condito da un po' di immagini di monumenti e generiche bellezze dello Stivale. Il problema, però, non è nemmeno l'originalità. No: il guaio sta nel fatto che qualcuno abbia pensato che noi italiani «ci meritiamo» una celebrazione di celluloide. Ma per che cosa, esattamente? Perché siamo stati bravi a farci rinchiudere? Perché siamo stati obbedienti anche davanti a norme di dubbia costituzionalità e di manifesta inutilità? A quanto pare sì. Uno degli ideatori del progetto, Angelo Argento, spiega che il film è «un omaggio agli italiani e alla loro capacità di reazione nel primo lockdown». Quale reazione, di grazia? La paura e la confusione? La sottomissione acritica? Diciamoci la verità. Di santini della pandemia ne abbiamo visti fin troppi. Ci siamo sorbiti medici e infermieri «star del Web», perfino a Sanremo. Abbiamo sopportato le foto «iconiche» del trasporto bare (bare! Vi rendete conto?) e persino le sfilate in diretta tv del camioncino dei vaccini, che poi i vaccini manco li aveva. Dunque ora basta, grazie. Non ci meritiamo alcuna celebrazione, perché non abbiamo fatto nulla. L'andamento della pandemia non dipende da noi, nel bene e nel male, ma dal modo in cui viene gestita dal governo e dal sistema sanitario. Dire il contrario significa imputarci colpe che non abbiamo al fine di sgravare altri. Non ci serve «entusiasmo» per uscire dal tunnel. Ci servono cure e rimedi, che finora i governanti non sono stati in grado di offrire. Se il servizio pubblico intende ricordare le vittime del Covid e aiutarci a costruire un futuro migliore, allora, eviti gentilmente le banalità, i piagnistei falsetti e le frasi a effetto con gli occhi un po' strizzati per mimare sentimenti profondi. Piuttosto, ci fornisca qualche bella inchiesta su come è stata gestita la pandemia, soprattutto nei primi mesi. Racconti - con clamore, non solo in seconda o terza serata e in pochissimi programmi coraggiosi - ciò che anche noi raccontiamo ormai da tempo: l'assenza di un piano pandemico; la censura ai danni di un ricercatore italiano che aveva svelato le magagne; le bugie dei ministri della Salute; i maneggi sulle mascherine; gli errori nella campagna vaccinale. Alle vittime del virus si devono rispetto, silenzio e preghiera. E poi giustizia. A tutti gli altri si devono chiarezza e verità. Non i complimenti perché abbiamo subito la propaganda di chi ci invitava a star chiusi in casa, mentre gli incapaci erano all'opera.