Dalla protezione dell’allevamento di mucche e maiali dipende la filiera lunga del made in Italy che vale circa 80 miliardi. Si parte dal grana e si arriva al prosciutto di Parma o San Daniele, ma anche al sistema moda.
Dalla protezione dell’allevamento di mucche e maiali dipende la filiera lunga del made in Italy che vale circa 80 miliardi. Si parte dal grana e si arriva al prosciutto di Parma o San Daniele, ma anche al sistema moda.Hanno inarcato il sopracciglio: ma come no alla carne coltivata? Così l’Italia arretra sia dal punto di vista scientifico sia da quello economico e si perde un’opportunità. C’era da aspettarselo. E così il day after del disegno di legge del ministro per la sovranità alimentare Francesco Lollobrigida sostenuto convintamente dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni e da tutto il mondo agricolo oltreché dalla Regioni che vieta la produzione e la vendita di cibi e mangimi costruiti in laboratorio partendo da cellule animali è un coro di: siamo governati da retrogradi. Ha cominciato + Europa, poi Angelo Bonelli dei Verdi che bolla il disegno di legge come propagandistico. Roberto Defez dell’Università di Napoli e Cnr bioscienze sostiene che «non è coretto parlare di carne sintetica, la ricerca deve andare avanti». E così dall’Accademia dei Lincei e dall’Università di Udine il professor Michele Morgante ordinario di genetica commenta: «Si ha l’impressione che la decisione non sia stata presa sulla base di elementi scientifici». A nessuno viene in mente che il Governo abbia messo le mani avanti per evitare un danno enorme all’economia del Paese. Perché all’Efsa, l’ente che deve dare il via libera ai nuovi cibi in Europa, i tifosi del cibo Frankenstein sono tanti. Lo scrivono proprio: «L’agricoltura basata sulle cellule e in particolare la carne coltivata e i frutti di mare coltivati, potrebbero essere considerati una soluzione promettente e innovativa per contribuire al raggiungimento degli obiettivi della strategia Farm to fork per sistemi alimentari equi, sicuri, sani e rispettosi dell'ambiente».Al fondo di tutto c’è l’ossessione green che attanaglia l’Europa. E allora andiamo a trovarli questi killer dell’ambiente che allevano le vacche. Andrea Dipietrantonio se ne sta con la sua azienda sopra Belforte del Chienti in provincia di Macerata. Azienda a ciclo chiuso: 150 vacche da latte, 7 fattrici, 100 vitelli e poi 70 maiali e 500 pecore. Produce formaggi, salumi e vende la carne. «Siamo – spiega Andrea – un’azienda completamente verde. Con gli scarti produco biogas, le deiezioni degli animali con un processo di depurazione biologica diventano acqua irrigua per i foraggi che coltivo e do ai miei animali e con l’impianto fotovoltaico faccio andare macello e caseificio e grazie a questo lavoro mantengo i pastori che hanno altri 10 mila capi. Se viene avanti la carne sintetica non solo io chiudo, ma non ci sarà più formaggio e l’ambiente intorno sarà degradato perché abbandonato. Non è affatto vero che bloccare la produzione di carne in provetta fa arretrare l’Italia: noi siamo un’avanguardia zootecnica nel mondo e produciamo il mioglior alimentare del mondo».Altro Appennino, siamo in Casentino. Simone Fracassi a Rassina è il re dei macellai e dei norcini. «Vorrei che venissero a vedere il mio allevamento: 50 capi di Chianina allo stato brado e i miei maiali grigi del Casentino tutti liberi dentro la macchia. Anni fa la Provincia di Arezzo commissionò una ricerca sulle proprietà nutrizionali di tutte gli animali da carne: dallo yak alla Cherolet. Ebbene la classifica delle carni vede prima la Chianina, seconda la Piemontese, terza la Marchigiana. Le razze bianche dell’Appennino sono le migliori del mondo e va rilevato che non sono razze da carne, ma da lavoro. Il punto è che ci si basa sugli allevamenti intensivi nel dare giudizi e che nel mondo circola al massimo un 15% di carne buona. Che va pagata: la Chianina la vendo a 39 euro al chilo. L’equilibro sta qui: poca e ottima. Umberto Veronesi l’oncologo che doveva sconfiggere il cancro in 15 anni e il cancro è ancora lì fece una battaglia contro la carne rossa. Gli portai tutte le ricerche nutrizionali sui miei animali e lui mi rispose: Simone hai ragione, ma come si fa a spiegare alla gente che deve scegliere si fa prima a dire che fa male. Ecco siamo fermi lì. E chi dice che l’Italia dallo stop alla carne finta riceve un danno economico non si è fatto bene i conti. L’Italia vive di artigianato e anche noi siamo artigiani della terra, vive di cuore e di pensiero. Se ci facciamo omologare ci spazzano via, la nostra vera ricchezza è l’unicità della nostra produzione. La carne in provetta la puoi fare ovunque, io le mie bestie le allevo a Caprese Michelangelo, vorrà dire qualcosa?». Dalle vacche e dalla zootecnia in genere dipende una filiera lunga. Senza vacche niente latte dunque niente Grana padano, niente Parmigiano Reggiano, senza bufale niente mozzarella. Senza maiali niente prosciutto di Parma o San Daniele o Toscano. Senza vacche addio concerie che sono le migliori del mondo che conciano alla maniera etrusca con tannini naturali e vendono i pellami alle nostre aziende di moda. Addio a due terzi della meccanica al servizio all’agroalimentare. Il preteso arretramento dell’Italia che dice no alla carne in provetta vale spannometricamente lungo la filiera alimentare una sessantina di miliardi (21 sono realizzati dalle prima dieci produzioni) lungo quella meccanica 5 miliardi, per le concerie 4,2 miliardi, per la pelletteria sono in ballo 18 miliardi di cui 11 dall’export. Giusto per saperlo conceria, pelletterie, meccanica sono settori dove il nostro primo concorrente, che però ha qualità bassissima, è la Cina. Sommando tutto da una vacca e da un maiale dipende un’ottantina di miliardi dell’Italia di cui metà realizzati all’estero. Forse ci si potrebbe chiedere perché siamo così interessati a resistere alla carne in provetta e perché invece le multinazionali con Bill Gates in testa sono così interessate dall’imporcela.
Simona Marchini (Getty Images)
L’attrice Simona Marchini: «Renzo mi vide e volle il mio numero, poi mi lasciò un messaggio in segreteria per il ruolo in “Quelli della notte”». Sul divorzio dall’ex romanista Cordova: «Mi tradiva. Herrera? Terribile: lasciava che le fanciulle rimanessero in ritiro per giorni».