2024-07-22
«Saremo cerniera tra Ppe e Patrioti»
Il capodelegazione di Fdi all’Europarlamento, Carlo Fidanza: «Il voto per Ursula sovverte il messaggio delle urne: gli astenuti cresceranno. L’Italia non è isolata e noi conservatori lavoreremo a maggioranze alternative sui singoli temi».«Con la maggioranza Ursula bis hanno sovvertito il messaggio degli elettori. La prima conseguenza? Alimenteranno la rabbia dei cittadini, che hanno visto tradito il proprio voto. E l’astensionismo salirà ancora». Con Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al parlamento europeo, facciamo il punto dopo il no alla fiducia a Von Der Leyen. «L’Italia non è isolata, e il centrodestra è ancora in campo. Nella maggioranza europea già litigano, e noi faremo da cerniera tra Popolari e Patrioti. Puntiamo alla formazione di “maggioranze alternative”, per portare avanti le nostre battaglie, e fermare le nuove follie green».Si aspettava una Von der Leyen bis con l’aggiunta dei Verdi? «È chiaro che il messaggio uscito dalle urne è stato sovvertito. Il paradosso è che i gruppi usciti sconfitti alle elezioni - socialisti, liberali e verdi - sono risultati decisivi nella nascita dell’Ursula bis. Ovviamente è tutto legittimo sul piano democratico, ma di fatto è un rovesciamento del risultato elettorale».Nasce una maggioranza molto composita. Non pensa che su green, difesa e migranti, i Popolari e i Verdi inizieranno a litigare già domattina? «Non andranno molto lontano. È una vittoria di Pirro, con una maggioranza molto più fragile della precedente. Lo vediamo già in queste ore: dopo aver votato insieme, Popolari e Verdi si stanno già insultando».Chiudersi nel palazzo d’inverno e far entrare i Verdi in maggioranza, non è forse una scelta controproducente per la stessa Von Der Leyen? I partiti che la sostengono perderanno ancor più consensi? «Il voto di Strasburgo ha due effetti. Il primo è un ulteriore scollamento democratico. Ci lamentiamo perché le persone non vanno più a votare, ma sono esattamente queste scelte fatte a Bruxelles che alimentano frustrazione, astensionismo e radicalismo. Siamo di fronte a un tentativo disperato di preservare lo status quo».Vi accusano di aver isolato l’Italia sul piano europeo. «Accusa ridicola. Giorgia Meloni, da capo del governo, è protagonista in tutti i consigli europei e su Ursula si è astenuta dando voce al malumore di tanti leader. Nell’aula di Strasburgo, invece, votano i partiti, non i governi. Sono stati il Pd e la sinistra a minacciare Von der Leyen: “Se apri a Meloni, noi ti molliamo“’”. In base alla loro stessa logica, sarebbero stati proprio loro a imporre a Ursula l’isolamento dell’Italia e ad anteporre gli interessi di partito agli interessi nazionali. Dovrebbero tacere per dignità».Macron, Scholz e l’ala ostile all’Italia metteranno Roma in un angolo? «Potrebbero provarci ma non credo andranno lontano. Ora spetta a Von der Leyen comporre la Commissione e non avrà alcun interesse a tenere ai margini il governo più stabile tra quelli dei grandi Paesi europei. Al contrario, le servirà rafforzare la collaborazione con Giorgia Meloni, che ha già funzionato su Pnrr e immigrazione».Non sarebbe stato meglio entrare nella stanza dei bottoni e votare sì a Von der Leyen? Giocare sul campo, e non dalla tribuna? «Non siamo in tribuna. Siamo pienamente in campo. Ma non possiamo neanche metterci la casacca della squadra avversaria. Ripeto, il dato politico è piuttosto chiaro: Von der Leyen aveva necessità di blindare la sua maggioranza facendo concessioni ai Verdi, e questo ci ha impedito di votare a favore».Insomma, una questione di principio, la vostra? Ne valeva la pena? «Sì, si chiama coerenza politica. Se avessimo ragionato con la logica della “stanza dei bottoni” non avremmo mai creato Fratelli d’Italia. Un partito che fin dalla nascita, quando aveva il 2% dei voti, segue la sua stella polare: il rispetto degli elettori. Abbiamo appena incassato il 29% alle elezioni europee, con impegni ben chiari. Come facevamo ad esempio a votare la fiducia a chi propone la riduzione del 90% di emissioni entro il 2040 ovvero la desertificazione industriale dell’Europa? Non avremmo potuto più guardarci allo specchio».A proposito, il nuovo piano green annunciato da Von der Leyen potrebbe costare 300 miliardi l’anno. Dove sono le coperture? «Credo che non lo sappiano nemmeno loro. Non si parlerà di nuovo debito comune perché i Paesi frugali non ne vogliono sapere; ed è improbabile si possa puntare sui fondi della Bei o altre trovate estemporanee. La cosa più probabile è che questi progetti si traducano in nuove tasse, divieti e imposizioni. Motivo in più per votare contro».Pensa che, al di là del voto contrario a Von der Leyen, i gruppi di centrodestra riusciranno a imporre la loro linea nel merito dei provvedimenti? «Sono fiducioso. Questa Commissione agirà in un contesto molto diverso rispetto al passato. Oggi in Europa il centrodestra governa in molti Paesi: questi equilibri peseranno nel futuro Consiglio europeo e nell’orientamento dei commissari. E poi c’è il Parlamento, dove le forze di destra - pur con le differenti sensibilità - non sono mai state così forti».Dunque? «I Conservatori avranno un doppio ruolo da giocare. Uno, portare avanti la nostra linea politica e i nostri valori. Due, fungere da “cerniera” tra Ppe e le forze alla nostra destra (Patrioti e Sovranisti, ndr). Questo potrà fare la differenza nella nascita di maggioranze alternative sui singoli provvedimenti».Quindi, grazie a voi, anche i voti dei cosiddetti “Patrioti” potranno essere determinanti? «Tenere “congelati” quei voti fa solo il gioco della sinistra, che non può permettersi di dare patenti a nessuno. Quando si tratterà di contrastare i nuovi piani “green”, salvare l’industria automobilistica, fermare l’immigrazione irregolare, ci sarà bisogno dei voti di tutti. Dai Popolari fino ai gruppi più a destra. C’è in gioco il futuro delle nostre società».In Italia ci sono state scintille tra Forza Italia e la Lega. Antonio Tajani ha detto che il gruppo dei Patrioti sarà ininfluente, e i leghisti hanno risposto che è “imbarazzante” votare con la Schlein. Voi da che parte state? «Stiamo dalla parte di chi pensa che certi steccati ideologici non hanno più senso. Fratelli d’Italia dialogherà con tutti, senza pregiudizi, e si misurerà nel merito dei provvedimenti. In Europa la politica si gioca su meccanismi diversi da quelli cui siamo abituati in Italia: è possibile formare “maggioranze variabili” nel merito dei singoli provvedimenti. Da questo punto di vista, è facile immaginare che su alcuni temi, magari in politica estera, voteremo insieme a Popolari e Liberali. Mentre invece, quando ci sarà da arrestare le derive ultra-ambientaliste, potremo essere più incisivi votando con i Popolari ma anche con i Patrioti».Insomma, crede che sui singoli provvedimenti il centrodestra potrà imporsi? «Sì, e ovviamente molto dipende proprio dalle decisioni del Ppe. Dovranno decidere se ragionare con lo schema della maggioranza fittizia che ha eletto Von der Leyen, consegnandosi ancora a Socialisti e Verdi, oppure se guardare finalmente a destra».Sarà più difficile ottenere commissari “pesanti”, dopo il vostro strappo con Von der Leyen? «Sono certo che alla fine ci sarà riconosciuto il giusto peso, con un portafoglio adeguato a una grande nazione fondatrice dell’Ue. Non è interesse di nessuno avere un’Italia ai margini. Oggi la Germania è in recessione e la grande malata d’Europa si chiama Francia: il governo Meloni, invece, è garanzia di stabilità».Lei che dentro Fdi viene considerato un “trumpiano”, pensa che un’eventuale vittoria di Trump sposterà gli equilibri anche in Europa? «Non amo le etichette, ma è vero che anche nei momenti di difficoltà ho sempre scommesso su di lui. L’immagine di Trump che si rialza dopo l’attentato e incita il suo popolo a combattere ha una potenza straordinaria. Dopo quell’immagine, anche chi in Europa lo esorcizzava ha compreso che con lui dovrà fare i conti. Ma io sono ottimista. E poi credo che avrebbe un rapporto eccezionale con Giorgia Meloni».Dicono che con Trump vincitore gli Stati Uniti si ritireranno nel loro cortile, e lasceranno l’Europa - e l’Italia - in balia di sé stesse. Lei cosa prevede? «Lo dice il mainstream che pretende di sostituirsi agli elettori americani. Io dico che Trump magari cercherà di ridurre il surplus commerciale tedesco, certamente richiamerà l’Europa alle proprie responsabilità sulla Difesa ma avrà comunque bisogno di un bastione europeo per contenere l’espansionismo russo e cinese. L’ultima cosa che vorrebbe una Casa Bianca trumpiana è un’Europa “ventre molle”, consegnata alla Cina come già buona parte dell’Africa. Anche su questo, a partire dal piano Mattei, l’Italia sarebbe un partner fondamentale per Trump».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.