2021-03-05
Il Festival affonda però i vertici Rai anziché autocritica fanno filosofia
Sanremo è fiaccato da un format trito e ospitate poco incisive. Il direttore di rete si nasconde dietro Sigmund Freud e l'Ariston deserto.Flop, mezzo flop, crollo, sprofondo. Ci sono tanti modi per targare il calo di ascolti registrato dalla settantunesima edizione del Festival di Sanremo. Questione di sfumature. La sostanza è che dopo la prima serata che aveva già evidenziato una diminuzione (meno 1,5 milioni di telespettatori e 6% di share rispetto al 2020), anche la seconda ha consegnato un'audience ridimensionata: 7,6 milioni di spettatori con il 42,1% di share, a fronte di 9,7 milioni e il 53,3% dell'anno scorso. Di solito, in questi casi, si scartabellano gli archivi per risalire alla prestazione paragonabile con quella appena fotografata dall'Auditel, ma troppi numeri finiscono per confondere. Quel che è acclarato è che di flop si tratta. Il fatto ha un certo interesse perché smentisce le previsioni di tutti gli addetti ai lavori, sicuri che il coprifuoco avrebbe consegnato nuovi record ai vertici Rai. O, per lo meno, avrebbe favorito risultati molto positivi. Non a caso la concessionaria pubblicitaria era riuscita a imporre un aumento del 9% sugli spot. Niente di tutto questo: ricalcolo. Era sbagliata la previsione di nuovi primati?Ci sono molti modi per spiegare il modesto risultato che è sotto gli occhi di tutti. E ci sono molti posti dove andare a cercarne le cause. Prendiamo le motivazioni intrinseche, legate all'architettura dello show. Su molti giornali abbiamo letto che il crollo sarebbe dovuto alla mancanza di novità, al fatto che Amadeus e Fiorello, pur bravi, hanno finito per riproporre la formula dell'anno scorso. Al fatto che le canzoni sono modeste e gli ospiti non così eccelsi: da Elodie ad Achille Lauro, dal Volo a Laura Pausini è gente già conosciuta e di casa all'Ariston. Osservazioni corrette, che tuttavia non spiegano fino in fondo lo smottamento di pubblico. Paragonando l'attuale edizione a quella del 2020, va per esempio notato che, forse perché in sintonia con il clima di «unità nazionale», siamo di fronte al Festival più ecumenico degli ultimi anni. Un Sanremo che concilia gli opposti, Zlatan Ibrahimovic e Achille Lauro, «come se in un governo ci fossero insieme il Pd e la Lega», Fiorello dixit. Di conseguenza, mancano le polemiche. Un anno fa, per dire, con le partecipazioni di Rula Jebreal e Roberto Benigni, il dibattito aveva puntato maggiormente i riflettori sull'Ariston. Ci sono poi motivazioni più larghe, sempre di natura televisiva, legate alla controprogrammazione delle altre reti e delle piattaforme tv. Prima di planare sul tema troppo prosaico della concorrenza delle partite di calcio che avrebbero rosicchiato il 4,5% di share, il direttore di Rai 1 in conferenza stampa ha citato Il perturbante di Sigmund Freud: «Ho studiato tanto», ha premesso Stefano Coletta e non è colpa sua se usa un linguaggio colto, come gli rimprovera Fiorello. In quel saggio Freud parla del «rapporto con qualcosa di strettamente familiare che all'improvviso si vede in un modo diverso… e questo porta a una forma di spaesamento, di straniamento». All'Ariston non c'è più «la terza parete umana, il pubblico, interlocutore imprescindibile degli artisti. Perciò», ha proseguito Coletta nella sua ermeneutica festivaliera, «questa edizione è incomparabile con quelle del passato, ma è il risultato finale di un lavoro che ha visto tutta l'azienda occuparsi dell'eroica possibilità di far nascere un fiore nel deserto», ha detto con accenti retorici. Prima d'intestarsi «il dovere culturale che avevamo: compiere un salto nella composizione del cast dei cantanti». Insomma, un caso da manuale di come, a volte, l'intellettualismo finisca per allontanare dalla realtà.Senza bisogno di attingere alla sua raffinata biblioteca, il direttore di Rai 1 avrebbe potuto analizzare i risultati modesti di tutto l'intrattenimento della sua rete. Perché, se la tv è lo specchio del Paese come si ripete continuamente, prima ancora di accorgersi che gli show di Rai 1 sono logori e ripetitivi, avrebbe forse realizzato che, in questa situazione, una buona fetta di pubblico è poco portata a distrarsi. La crisi pandemica non è solo un momento da lenire con un po' d'evasione, tante famiglie hanno perso un loro componente, ne hanno uno malato o disoccupato. È un'Italia ripiegata su sé stessa quella che la sera impugna il telecomando. Lo conferma in qualche modo anche il fatto che calano gli ascolti del pubblico più stagionato, mentre crescono quelli dei telespettatori più giovani e inclini alle movide.«Portare spensieratezza» era una sfida particolarmente impegnativa anche per Amadeus e Fiorello. «Ci sono persone che non sanno se la sera riescono a mettere il piatto in tavola», ha detto il conduttore commentando il calo dell'audience. «È una situazione anomala. Se ti invitano quando sei arrabbiato non vai alla festa di compleanno... Senza il pubblico in sala, da evento, Sanremo è diventato un programma televisivo, anche se il più forte che c'è». Per questo il 42% di quest'anno «per me è una gioia maggiore del 52% dell'anno scorso. Sono molto felice e orgoglioso di questo Festival», ha concluso Amadeus: «Lo dico con grande convinzione».
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Giancarlo Tancredi (Ansa)