
Il dem rivendica le garanzie da parlamentare: le intercettazioni in cui era coinvolto andavano autorizzate. Per gli inquirenti erano casuali, ma La Verità ha provato che l'onorevole era sotto la loro lente da tempo.È finito all'attenzione della Corte costituzionale l'articolo della Verità sul pedinamento e le intercettazioni del deputato dem Cosimo Ferri, travolto dall'inchiesta per corruzione a carico del pm Luca Palamara. In una istanza indirizzata al presidente della Consulta, Marta Cartabia, i difensori Alfonso Celotto e Luigi Panella hanno infatti chiesto lo slittamento della camera di consiglio, per valutare l'ammissibilità del ricorso sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, al fine di poter studiare gli atti del procedimento di Perugia anche alla luce delle rivelazioni del nostro giornale.Ferri contesta la legittimità e l'utilizzabilità delle conversazioni spiate dal trojan, inoculato nello smartphone di Palamara, in violazione dell'articolo 68 della Costituzione che attribuisce specifiche garanzie ai parlamentari. Le trascrizioni delle chiamate e il deposito nelle informative, firmate dalla guardia di finanza, pur non avendo portato all'iscrizione nel registro degli indagati dell'ex sottosegretario alla Giustizia, hanno comunque innescato un procedimento disciplinare ai suoi danni promosso dal procuratore generale della Corte di Cassazione per presunti «comportamenti scorretti» nei confronti dei magistrati candidati alla guida della Procura di Roma. La poltrona ambitissima attorno a cui si muovevano politica e giustizia in riunioni notturne dal sapore carbonaro per sponsorizzare o, al contrario, azzoppare candidature sgradite.La polizia giudiziaria delegata ha sempre sostenuto di aver intercettato per caso fortuito la voce di Ferri (oltre a quella di Luca Lotti, l'altro parlamentare finito nella rete del virus) in occasione dell'incontro del 9 maggio 2019, e di aver prontamente disattivato il software di captazione elettronica nel momento in cui ci fosse stata la certezza di un incontro tra Palamara e un parlamentare. Nell'articolo di mercoledì scorso, dal titolo «Caso Csm: Ferri era pure pedinato», abbiamo però elencato le tracce, disseminate negli atti processuali perugini, che portano a Ferri ben prima di quell'appuntamento di maggio. Tra cui, appunto, anche un'attività di «Ocp» che, tradotta dal gergo tecnico, sta a indicare «Osservazione, controllo e pedinamento» risalente a quasi un mese prima, il 18 aprile 2019. Quando un gruppo di finanzieri in borghese aveva fotografato e «schedato» tutti i partecipanti a una cena organizzata, presso il ristorante Il San Lorenzo di Roma, dal notaio Biagio Ciampini, a cui avevano preso parte lo stesso Palamara, l'ex consigliera laica del Csm, Paola Balducci (indagata per corruzione a Perugia per i suoi rapporti con il discusso imprenditore Fabrizio Centofanti) e l'ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini. A quell'incontro era arrivato, seppur in ritardo, il deputato del Pd. E non era passato certo inosservato, anzi gli investigatori lo avevano immediatamente individuato dedicandogli questo appunto: «Alle 22.30 gli operanti notavano sopraggiungere e fermarsi dinnanzi all'ingresso del ristorante un'autovettura dotata di lampeggiante dalla quale scendevano per fare immediato ingresso nel pubblico esercizio, il deputato Cosimo Maria Ferri, una donna non meglio identificata e un uomo identificabile nel citato Paolo Criscuoli» (componente di Palazzo dei Marescialli). Inoltre, sempre dall'incartamento giudiziario umbro, appare evidente che l'identificazione di Cosimo Ferri risale a ben prima della famigerata riunione del 9 maggio 2019, sia perché il deputato - chiamato con il nome di battesimo da Palamara nelle telefonate - usa un'utenza intestata a sua sorella (quindi a un soggetto che ha il suo stesso cognome), sia perché la polizia giudiziaria incrocia i dati del compleanno del figlio di cui egli stesso parla al cellulare, avendo conferma del suo status.Che il politico del Partito democratico fosse un target investigativo lo scrivono, d'altronde, gli stessi inquirenti quando sottolineano che «nell'attuale periodo di monitoraggio le attività di ascolto consentivano di rilevare come tra il Palamara e il Ferri intercorresse un rapporto non limitato alla mera appartenenza ad associazioni di magistrati bensì ad altri contesti connotati da elementi di opacità». Sarà per questo, probabilmente, che il 4 ottobre 2019, quando il caso era da mesi esploso, il magistrato Massimo Forciniti è stato chiamato a rispondere, in qualità di persona informata sui fatti, a una domanda sui presunti rapporti tra lo stesso Ferri e Centofanti, l'uomo delle vacanze di Palamara e di Balducci. «Non ne sono a conoscenza, non escludo che fosse amico di qualche altro consigliere. Perché, ripeto, l'ho visto in occasione di eventi a cui erano presenti magistrati», è stato il chiarimento offerto dall'ex consigliere del Csm. Nemmeno l'interrogazione parlamentare di Vittorio Sgarbi, sulla conduzione dell'inchiesta, è riuscita a far luce: in una nota alla Procura di Perugia, la finanza ha ribadito infatti che le intercettazioni del deputato erano casuali. Chissà se la Corte costituzionale riuscirà a fare finalmente chiarezza.
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