
Mentre la famiglia proprietaria del gruppo alimentare in crisi lavora per aprire un macello in Spagna, gli operai protestano contro Intesa, creditrice dell’azienda. Ma sbagliano bersaglio. L’ad della banca: «Noi non c’entriamo con la chiusura degli stabilimenti».Arriva fino a Milano la crisi finanziaria del gruppo Ferrarini, uno dei più importanti gruppi alimentari del nostro Paese, noto soprattutto per il prosciutto cotto. Sono state decise la chiusura degli impianti e le ferie obbligate per gli operai a partire da oggi, dopo che alcuni di loro hanno annunciato di voler protestare sotto la sede di Intesa San Paolo nel capoluogo lombardo e forse anche durante la prima della Scala la prossima settimana. «Riteniamo totalmente ingiustificata ogni decisione presa da parte della direzione aziendale, di inibire il luogo di lavoro ai dipendenti della Ferrarini Spa, senza darne giustificazione alcuna e dettata da mere ragioni riguardanti la difficile situazione legata alla procedura concorsuale in atto» si legge in una nota della Flai Cgil Parma del 30 novembre. Ma mentre i sindacati chiedono che venga riaperto il tavolo al Mise di Giancarlo Giorgetti, alcuni lavoratori (sotto la spinta dei delegati Cisl e Uil della rsu in dissenso con le loro stesse organizzazioni sindacali) invece di protestare a Roma sotto le finestre del ministero, hanno deciso di andare sotto Ca’ de Sass a Milano. Per quale motivo? Chi segue la crisi finanziaria del gruppo alimentare, che dura ormai da 4 anni, è convinto che una parte dei lavoratori sia spinta dalla stessa famiglia per chiedere a Intesa (titolare insieme con Unicredit e il gruppo Bonterre di un’altra proposta di salvataggio e creditrice della famiglia emiliano romagnola) di farsi da parte. Come già spiegato più volte dalla Verità, il salvataggio appare sempre più complesso. Sul tavolo ci sono 3 concordati, per un passivo che tocca i 900 milioni di euro. Il mese scorso c’è stata l’adunanza dei creditori Saf (Società agricole Ferrarini). Il passivo è di 252 milioni di euro, di cui 59 verso le banche, 97 per fidejussioni e garanzie, altri 11 verso i fornitori: è solo una parte del debito. A questo si aggiunge che tra meno di 2 settimane, il 14 dicembre, andrà all’asta villa di Rivaltella, sede del gruppo e principale centro di produzione, pignorata per iniziativa di Unicredit. Contro la cessione all’asta della villa erano stati presentati 3 ricorsi, da parte della vedova di Lauro Ferrarini, poi da parte del gruppo Pini (partner della famiglia Ferrarini e insieme con la società del Mef Amco in una delle due proposte concordatarie) e uno della Banca del Mezzogiorno, a sua volta creditrice, secondo la quale la stima del valore di Villa Corbelli fatta dal perito sarebbe troppo bassa. I ricorsi sono stati tutti respinti. Si parla di un prezzo di base di 3 milioni di euro insieme con 380.000 metri quadrati di terreni agricoli circostanti, al prezzo di 1 milione e 100.000 euro. È ormai sicura la delocalizzazione della produzione, anche perché negli scorsi mesi sono state confermate le motivazioni di non conformità edilizia e vincolistica dell’immobile. Lo stabilimento, in sostanza, non è utilizzabile. In mancanza di continuità industriale, senza lo stabilimento di Rivaltella che è parte integrante della proposta Pini/Amco, la società del Mef coinvolta nel salvataggio, la proposta concordataria non può essere accettata e ora se ne chiede giustamente la revoca e il commissariamento. Per di più i Pini sembrano già impegnati a costruire un nuovo macello in Spagna.Insomma l’obiettivo della marcia di Milano sarebbe quello di spingere Banca Intesa a fermare la vendita all’asta della villa che metterebbe a rischio la continuità aziendale con lo spettro del fallimento per Ferrarini SpA. Ma a fermare con tutta probabilità anche l’esecuzione mobiliare sui quadri, gioielli e conti della madre Lina Botti. Il problema è che non è stata Cà de Sass a promuovere la procedura coattiva. A chiarire la vicenda è stato lo stesso Carlo Messina, amministratore delegato del principale gruppo bancario italiano, dopo una richiesta di chiarimento da parte delle rsu. «Intesa Sanpaolo è un creditore intervenuto, che non ha avviato né dato impulso all’azione esecutiva, ed è titolare, anche secondo il giudice dell’esecuzione, del diritto di partecipare alla distribuzione del prezzo che sarà ricavato dalla vendita nel rispetto delle prelazioni dei creditori che la precedono e che, allo stato, non risulta abbiano rinunciato all’azione esecutiva». Le voci di questi giorni hanno portato gli stessi Ferrarini a un comunicato di smentita nel pomeriggio di ieri. «L’Azienda ha appreso che un gruppo piuttosto rilevante di dipendenti ha promosso una manifestazione a Milano, comunicata e autorizzata dalle Istituzioni preposte assicurando il massimo rispetto delle regole anti-Covid. Tale manifestazione non è mai stata promossa e tantomeno caldeggiata dall’azienda, come erroneamente riportato da alcuni». Chi segue il dossier si domanda perché i lavoratori non facciano invece un picchetto sotto casa della famiglia Ferrarini per capire come è stato possibile creare un buco finanziario di questo tipo.
Non solo i water d’oro: dettagli choc nell’inchiesta che scuote i vertici del Paese. I media locali: la gente è senza luce e quelli se la spassano. La Corte dei Conti Ue già nel 2021 parlava di corruzione insanabile.
Con lo scandalo nel settore energetico è iniziato il momento più buio per il presidente Zelensky. I vertici di Kiev tentano di prendere le distanze dai protagonisti dell’inchiesta sulla corruzione. Ma con scarsi risultati. Il popolo è ben consapevole che chi conduceva una vita agiata faceva parte della cerchia ristretta del leader.
Toghe (Ansa)
Invece di preoccuparsi delle separazioni delle carriere, l’Associazione magistrati farebbe bene a porsi il problema dei tanti, troppi, errori giudiziari che affliggono la macchina della giustizia.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.
Il primo ministro nipponico Sanae Takaichi (Ansa)
Le recenti tensioni tra Tokyo e Pechino per la questione Taiwan ci riguardano. Se vuole avere un’influenza globale, l’Italia consideri il Sol Levante come vicino.
Poiché gli interessi geoeconomici dell’Italia - export ed internazionalizzazione delle nostre imprese - sono globali mi sembra ovvio che l’attenzione e l’azione geopolitica di Roma debbano esserlo altrettanto. Cioè tutto il mondo è un’area viciniore dell’Italia e non solo quella geograficamente contigua (si faccia riferimento per l’argomentazione al mio Italia Globale, Rubbettino, 2023). Con questo in mente, che per altro è criterio antico della politica estera italiana ora intensificato dal governo corrente, va annotata la crescente divergenza tra Giappone e Cina con linguaggi inusualmente minacciosi e bellicisti da parte della seconda. Una parte della stampa italiana ha commentato questo episodio come un evento esotico lontano da noi. Qui cerco di argomentare perché, invece, è un fatto vicino, che ci coinvolge imponendo una riflessione strategica.
Donald Trump (Ansa)
Il presidente Usa prende pubblicamente le distanze dalla deputata anti sistema Marjorie Taylor Greene. Per ora si tratta di frizioni sotto controllo, ma in vista delle primarie del 2028 la lotta si annuncia feroce.
Terremoto nel mondo Maga. Venerdì, Donald Trump ha platealmente revocato il proprio endorsement a colei che, un tempo, era uno dei suoi più ferrei alleati: la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene. «Ritiro il mio sostegno e il mio endorsement alla “deputata” Marjorie Taylor Greene, del Grande Stato della Georgia», ha dichiarato il presidente americano su Truth. «Tutto ciò che vedo fare alla stravagante Marjorie è lamentarsi, lamentarsi, lamentarsi!», ha proseguito, sostenendo che la Greene si sarebbe offesa per non riuscire più a parlare al telefono con lui. «Non posso rispondere ogni giorno alla chiamata di una pazza che si lamenta», ha continuato il presidente, che ha anche accusato la deputata di essersi spostata su posizioni di «estrema sinistra».





