2018-05-09
Fabio Fazio, 8 milioni
di euro all’anno per non fare domande
Le sue interviste sono senza mordente, mai incalzanti per non disturbare il manovratore di turno, ovviamente di sinistra, da Massimo D'Alema a Paolo Gentiloni. Per essere così accomodante incassa dalla Rai oltre 8 milioni l'anno. Bruno Vespa l'ha definito «paraculo». Non è incalzante Fabio Fazio nelle sue interviste. Sembra un pescatore sulla riva: se il pesce abbocca, bene; se no, pazienza. Anche nell'ultimo testa a testa, si fa per dire, di Che tempo che fa, il premier uscente, Paolo Gentiloni, ha parlato come gli è piaciuto mentre l'altro assentiva sorridente. Quando Fazio poneva la domanda, non era per dare mordente ma per scandire i tempi televisivi. Le regole sono ferree. Se il monologo del politico supera i 2 minuti, il pubblico si distrae. Se arriva a 3, dorme. Fazio interviene solo per scongiurare il calo dello share. Si capisce che gli pare uno sgarbo e moltiplica i sorrisi barbati per scusarsi. Quanto sarebbe meglio, sembra dire, se potessi fare il metronomo con piccoli colpi di tosse senza doverla interrompere, Signor Primo Ministro. Poiché però mi tocca le chiedo perdono in anticipo. E fa una domanda che sembra una congiunzione tra ciò che l'ospite ha detto e ciò che dirà. Mai che noti una contraddizione o un'oscurità. Così, se Gentiloni afferma che per uscire dalla crisi bisogna fare le riforme, e lo ripete 2-3 volte, non è che Fazio chieda: «Quali riforme?», tanto per capirci. Lascia correre e noi ne sappiamo come prima. Oppure quando il premier sostiene che l'Italia è nel Mediterraneo per fare da attracco agli africani, non è che Fazio esclami: «Che caspita dice? L'Italia è un Paese, non una banchina. Nemmeno la batosta elettorale l'ha fatta rinsavire?». Nulla di nulla.Il cinquantatreenne Fazio ha teorizzato questa sua spiccata allergia alla ficcanza dicendo: «Le domande scomode sono un mito, che bisogno c'è di essere cattivi?». In effetti, non ha motivo di ricredersi. Il suo paragiornalismo lo ha colmato di soddisfazioni esonerandolo dagli obblighi dei giornalisti di mestiere che impongono, se non la paprika, almeno il sale nelle interviste. Anzi, se pure ha costeggiato il giornalismo iscrivendosi all'Albo dei pubblicisti, ha poi capito che era solo un peso e si è cancellato 2 anni fa. In ballo c'erano degli spot pubblicitari della Tim. Poiché agli iscritti le réclame sono vietate - per via dell'indipendenza e altre balle - e di mezzo c'era forse un bel gruzzolo, si è dimesso. Tra i soldi e l'Albo ha scelto da ligure. Savonese, abitante a Celle Ligure, con la moglie Gioia e 2 figli, in un'ampia casa con piscina, di cui non sa che farsi essendo tipo da sdraie, Fabio è un patito dei danari a palate. Per le interviste alla Gentiloni, più ammennicoli su Rai 1, il Nostro prende per sé 2.240.000 euro l'anno (contratto quadriennale); 3.000.000 (moltiplicati per 4 anni), per la sua casa di produzione, L'Officina; 2.800.000 di diritti per il format di cui è coautore. Fate voi la somma perché ho la calcolatrice surriscaldata. Pare, però, che l'auditel zoppichi e il rapporto costi-ricavi non torni. Poiché i soldi Rai sono pubblici, l'Anticorruzione di Raffaele Cantone ha segnalato il rischio default alla Corte dei conti.I lauti guadagni sono una costante di Fabio. Già nel 1993, dopo 10 anni di carriera, guadagnava 1,3 miliardi di lire per la conduzione del programma che lo lanciò, Quelli che il calcio. Raggiunse però la stratosfera nel passaggio tra i governi di sinistra e il ritorno di Silvio Berlusconi nel 2001. Assunto a La 7, allora in mano a Roberto Colaninno, cocco di Massimo D'Alema, Fazio fu licenziato dopo quattro mesi. C'era stato infatti un subitaneo cambio di proprietà. Il nuovo padrone, Marco Tronchetti Provera, senza dare spiegazioni, lo liquidò. Mal gliene incolse. Fabio, che è un furbo di tre cotte, aveva un contratto di ferro. Così, tra penali e liquidazioni, Tronchetti dovette versargli 28 miliardi di lire. Si disse che la profumata defenestrazione fosse un favore del pirellista al Cav cui il presentatore era indigesto. Di certo c'è solo che Fazio era devotissimo a D'Alema. Fu lui, nel 2001, a presentare il comizio con cui Max chiuse la campagna elettorale a Gallipoli. Tra gli astanti, quella sera, il collega Giacomo Amadori che ha descritto la scena. Accogliendo il leader sul palco, Fazio gorgheggiò: «Sono la tua Iva Zanicchi». Indicandolo alla folla, scandì: «Questa luna la dobbiamo a lui». Chiuse la serata proclamando: «D'Alema è uno statista clamoroso, importantissimo, bravissimo». Max perse le elezioni e Fabio si avvicinò a Walter Veltroni. Tra i due scoccò subito la scintilla per essere entrambi nel settore vaselina di cui sono produttori industriali. Walter, inoltre, è una potenza in Rai il che non guasta. Quando, nel 2007 fondò il Pd, Fazio disse di lui: «Rappresenta la sinistra che ho sempre sognato». Dopo la favolosa liquidazione di Tronchetti, Fabio si concesse una vacanza che però il Berlusca gli guastò. Accadde il 18 aprile 2002, col noto editto bulgaro. Da Sofia, dov'era in viaggio di Stato, il Cav stilò la lista nera dei televisivi che gli stavano sulle scatole: Michele Santoro, Enzo Biagi, Daniele Luttazzi. Fabio non c'era e ci restò malissimo. Così, s'intrufolò a forza. Il giorno successivo denunciò che gli era stata annullata la partecipazione a uno show di Fiorello. «Mi comunicano che non se ne fa nulla. Se fossi andato», disse drammatico, «avrei espresso la mia solidarietà» ai tre. Aggiunse: «Il clima di questi giorni è disgustoso, un imbarbarimento inaccettabile, ecc». Così, pure se non c'entrava un piffero, si prese la sua parte di solidarietà. Paladino della libertà di stampa, il Nostro non la tollera se ci va di mezzo lui. Il suo amico Luttazzi raccontò che Fabio aveva sfangato la naia su raccomandazione di quel demonio di Bettino Craxi. Striscia la notizia gli mandò ironicamente il tapiro. A Valerio Staffelli che glielo porgeva, Fazio - senza smentire la rivelazione - sibilò: «Vi diffido dal mandarmi in onda». Ha, infatti, la querela facile e un temperamento vittimista che rende bene anche in giudizio dove trova comprensione tra le toghe. Quell'esonero dalla leva gli era servito per non interrompere la carriera tv appena cominciata. Figlio di un impiegato di Varazze e di una casalinga di origine calabrese, entrambi molto cattolici, Fabio crebbe tra oratorio e scuola. Alla facoltà di Lettere di Genova, militava in una lista di destra moderata, contrapposta alla Figc dei giovani comunisti. Già sedicenne, collaborava a radio Savona scimmiottando Giulio Andreotti e papa Wojtyla. Come imitatore debuttò in Rai e di fatto è sempre rimasto in viale Mazzini, salvo saltabecchi dispettosi per alzare il prezzo di qualche collaborazione. Inutile ricordare i suoi successi. I quattro festival di Sanremo presentati, il pieno di ascolti col suo gemello Roberto Saviano, il primato di 27 premi tv. Tra i pochi cui sta antipatico, Matteo Salvini. «Da lui non vado. Mi sta sulle palle», dice. Ai più, invece, la sua bonomia da tinello, piace. Perché? Vi dico la mia. La gente ha bisogno di pillole rosa, senza crederci. Lui gliele propina senza essere credibile. Se vi sembra un arzigogolo, ecco l'aureo detto di Bruno Vespa: «Fabio Fazio è un paraculo».
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In Pluribus, da venerdì 7 novembre su Apple Tv+, Vince Gilligan racconta un mondo contagiato da un virus che cancella le emozioni e il conflitto. Un’apocalisse lucida e inquieta, dove l’unica immune difende il diritto alla complessità umana.