2019-05-14
Fatto il decreto, trovato l’intoppo. Il Salva sbancati vale pure per Carige
Il Mef approva il documento attuativo e prevede ristori in caso di «violazioni massive». Sorpresa: si scopre che riguardano anche gli azionisti dell'istituto genovese. Il Fondo interbancario: no alla conversione dei bond.Cambia in peggio lo scenario Carige: non si pone più solo la questione (sempre più complicata, dopo il fuggifuggi di ieri delle banche italiane, rappresentate dal fondo interbancario che non ha convertito il bond) del salvataggio in sé, ma pure quella della sorte degli azionisti. Detta brutalmente: come può sentirsi un piccolo investitore Carige, azzerato dal mercato, mentre - attraverso il provvedimento sugli sbancati - ci si prepara a ristorare gli azionisti delle altre banche oggetto di crac precedenti?Cominciamo allora da quest'ultimo tema, di evidente impatto sull'opinione pubblica. Fino a pochi giorni fa, era lecito sperare che non ci fossero rischi di bagno di sangue. Si confidava nel fatto che, diversamente da Mps e dalle banche venete, per Carige non esistessero obbligazioni subordinate in capo a risparmiatori. Va infatti considerato solo un bond di circa 318 milioni che fa riferimento al Fondo interbancario. Si diceva quindi: se tutto andasse male, non ci sarebbe l'azzeramento delle (qui inesistenti) obbligazioni subordinate, con relativo massacro dei piccoli risparmiatori. In questo caso, lo Stato dovrebbe solo scendere in campo per ricapitalizzare, diventando azionista, e poi aprendo il percorso per la vendita. Ora però sono nella tempesta gli azionisti. Che si fa? La soluzione più «friendly» per i danneggiati è la seguente: essendo stata inserita nel decreto attuativo relativo agli sbancati la fattispecie di «violazione massiva», inclusa la condanna per falso in bilancio, anche gli azionisti Carige dovrebbero essere fatti rientrare sotto l'ombrello dei rimborsi automatici. Delle due l'una: o vengono adottati criteri più restrittivi, oppure occorre ricomprendere anche i danneggiati Carige nel meccanismo di ristoro. Tertium non datur, a meno che il governo non voglia esporsi a una polemica rovente. Veniamo all'altro lato della vicenda, cioè al salvataggio. Dopo l'uscita di scena di BlackRock, da giorni è iniziata la ricerca affannosa di altri capitali privati, con tanto di dichiarazioni di Giuseppe Conte e Giovanni Tria nella direzione di un'auspicata «soluzione di mercato». E ad esempio nelle ultime 24 ore si sono registrati rumor sul possibile interesse del fondo Warburg Pincus. Nel frattempo, però, è arrivata una doccia fredda, con le banche italiane che - intanto - si sono sfilate. Ieri, il Consiglio del Fondo interbancario ha detto no alla conversione del bond da 318 milioni. Insomma, niente soldi senza un «cavaliere bianco». Su questo è stato esplicito il presidente del Fondo, Salvatore Maccarone: «L'operazione di conversione era e resta vincolata alla presenza di un partner forte, ma ad ora non c'è. Se dovesse arrivare, saremo pronti a confermare il nostro impegno». Dunque, siamo a un congelamento che sarà ribadito anche oggi in assemblea. Ricordiamo che, secondo lo schema saltato nei giorni scorsi, BlackRock avrebbe dovuto mettere circa 400 milioni, guadagnando la posizione di controllo, mentre il Fondo avrebbe garantito il resto. La prospettiva dell'intervento pubblico si fa sempre più vicina. Giova a questo proposito rileggere gli articoli del decreto varato a gennaio. Quel decreto prevedeva un fondo con una dotazione di 1,3 miliardi: un miliardo era destinato all'eventuale ricapitalizzazione, e 300 milioni a copertura della garanzia sulla futura emissione di bond (che a sua volta sarebbe potuta arrivare fino a 3 miliardi). In buona sostanza, il decreto impegnava complessivamente circa 4 miliardi, stanziandone immediatamente 1,3. In altre parole, lo schema consentiva anche la possibilità di una ricapitalizzazione con partecipazione pubblica. In base alle ben note regole europee, tuttavia, questa possibilità poteva (e può) avvenire solo nell'ambito del cosiddetto «burden sharing». E cos'è questa condivisione di oneri e rischi? Consiste nel fatto che lo Stato possa intervenire solo a patto che siano stati colpiti azionisti e obbligazionisti subordinati. E qui si torna all'altro corno del dilemma. Resta un ultimo tema, tutto politico. Non si capisce bene la furia delle opposizioni, vista l'analogia fortissima tra il decreto Carige e il decreto del 2016. Morale: come fa il Pd ad attaccare una soluzione, fingendo di non vedere che essa è stata ispirata alle vie seguite dai governi precedenti? Erano dunque «vergognosi» i governi del Pd e i suoi provvedimenti sulle banche? E, anche per ciò che riguarda Forza Italia, va ricordato che gli azzurri - a suo tempo - dissero sì ad autorizzare il governo di centrosinistra a rendere disponibili 20 miliardi dei contribuenti per eventuali interventi sulle banche. Anche qui, appare difficile sparare ora contro una cosa che Fi contribuì ad approvare allora.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)