2020-07-07
Fate silenzio, ora il cinema è ritornato muto
Ennio Morricone (Franco Origlia/Getty Images)
Con Ennio Morricone se ne va la colonna sonora dei nostri sogni. Un crescendo dagli spaghetti Western fino all'Oscar assieme a Quentin Tarantino. In mezzo, il «trombista» con il riportino da ragioniere, ha saputo trasformare in note un ululato o una goccia che cade.Bocca chiusa e dito indice appoggiato in verticale sulle labbra: silenzio. È la copertina del suo libro-testamento, è l'unico modo per celebrare Ennio Morricone. Perché la musica poi scorre naturale, affluendo dai centri nervosi, inondando lo spazio e il tempo senza essere corrotta dalle chiacchiere. Allora accompagni Eli Wallach mentre corre fra le tombe, Jeremy Irons che risale la cascata, aiuti Claudia Cardinale con i secchi d'acqua nel cantiere della ferrovia, guardi Bob De Niro che si addormenta nella fumeria di oppio e, per la prima volta dopo tre ore, sorride. Giù la testa con quel che ne segue, è morto il Maestro. Aveva 91 anni e un femore rotto in una caduta in casa, era ricoverato al Campus Biomedico della sua Roma. Come recita il comunicato fatto preparare dalla moglie e musa, Maria Travia, 64 anni di matrimonio: «Si è spento con il conforto della fede». I funerali del più celebrato musicista italiano riguarderanno solo i famigliari. Lo ha voluto lui annunciandolo in un necrologio che s'era scritto da solo nei giorni scorsi. «Io, Ennio Morricone, sono morto. Lo annuncio così, a tutti gli amici che mi sono stati vicini e anche a quelli un po' lontani che saluto con grande affetto. A Maria rinnovo l'amore straordinario che ci ha tenuti insieme e che mi dispiace abbandonare. A lei il più doloroso addio. C'è una sola ragione che mi spinge ad avere un funerale in forma privata: non voglio disturbare». Forse intuiva già il rumore dei tromboni attorno al feretro come Beppe Sala, Dario Franceschini, Roberto Fico in fila a farsi il selfie: «La fortuna di incontrarlo, l'onore di stringergli la mano». Matteo Renzi fa postare addirittura un video. Della serie: c'ero una volta io con lui a fianco. Dito alla bocca, per favore. Basta l'omaggio di Riccardo Muti: «Era straordinario non solo per le musiche da film, ma anche per le composizioni classiche». La notizia ha immediatamente fatto il giro del mondo per una commossa standing ovation. Con la stonatura del Washington Post, che in prima pagina annuncia con tono da sberleffo: «È morto a 91 anni il compositore italiano che ha scritto ah-ee-ah-ee-ah», riferimento sgangherato al tema de Il buono, il brutto, il cattivo. Forse perché era bianco e non se li era mai filati troppo. D'accordo, ha creato colonne sonore per Brian De Palma, Barry Levinson, Terence Malick, Mike Nichols, Quentin Tarantino (che lo adorava, «È meglio di Beethoven e dei Beatles»), ma questo è lavoro. Però non ha mai voluto imparare per bene l'inglese e ha messo piede a Hollywood per la prima volta nel 2007 per l'Oscar alla carriera, a 78 anni. Ci sarebbe tornato nel 2016 per il bis con Hateful Eight. Troppo chiassosi, gli americani, per un uomo che ci lascia con una delle frasi più misteriosamente magiche: «La musica crea la comunità del silenzio».Morricone nasce a Roma nel 1928, incontra Sergio Leone alle elementari, si diploma trombista (per lui la parola trombettista era dispregiativa) all'accademia di Santa Cecilia, ma anche compositore, direttore di banda e di musica corale. Debutta come maestro d'orchestra ne Il Federale di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi in orbace e le buche con acqua. È duttile, moderno, studia musica contemporanea con un monumento come Goffredo Petrassi, ha un particolare feeling con gli arrangiamenti: Abbronzatissima, Sapore di sale, soprattutto Se telefonando. Lo spunto per il suono bitonale, sul quale Mina fa da trapezista, lo prende dalle sirene delle auto della polizia di Marsiglia. In embrione è già lui, ricercatore di sonorità selvatiche, capace di trasformare in musicalità immortali l'ululato di un coyote, o una goccia che cade su uno Stetson. E poi romantico nell'accompagnare le scene di un film enfatizzandone il sentimento, inventandosi larghi travolgenti, lucidando l'anima dei personaggi come una zuccheriera d'argento. L'incontro con quel suo compagno di scuola goloso di merendine gli cambierà la vita; con Leone arriva la trilogia del dollaro, la sua fortuna e la sua maledizione. In una delle ultime interviste rivela al Guardian: «Ho scritto più di 500 pezzi e mi chiedono solo degli spaghetti western». Il regista lo stima a tal punto da invertire l'ordine dei fattori. Gli dice: «Ennio, tu leggi il copione e prepara la colonna sonora, io la ascolto e poi giro il film». Non per niente ripete a critici e attori: «Morricone non è il mio musicista, è il mio sceneggiatore».All'inizio quei western fanno storcere la bocca al discepolo di Petrassi. Per un pugno di dollari lo firma con lo pseudonimo di Dan Savio (Leone si nasconde dietro Bob Robertson, convinto che un regista dal nome americano attiri di più) e non ha paura di bocciare il pacchetto: «È stata la mia peggior colonna sonora e il peggior film di Sergio». Poi arrivano gli estratti conto e la musica cambia. Per un pugno di dollari: costo 200.000 dollari, ricavo 14 milioni. Per qualche dollaro in più: budget 750.000, introiti 15 milioni. Il buono, il brutto, il cattivo: costo 1,2 milioni, ricavo 25 milioni di dollari. Gli anni Sessanta non sono ancora finiti e loro diventano due maestri, soprattutto grazie a Il buono, il brutto, il cattivo, al tema di due note ripreso dall'ululato di un coyote, alla scelta di abbinare il flauto al buono, l'arghilofono (un'ocarina) al cattivo e la voce umana al brutto. All'idea di inondare il set con la musica per aiutare Clint Eastwood a recitare. L'estasi dell'oro, la corsa nel cimitero sudista alla ricerca della lapide di Arch Stanton, citata da Bob Kennedy in un comizio delle presidenziali, entra nella storia del cinema e della musica. I Red Hot Chili Peppers, i Ramones e i Metallica cominciano con quel brano i loro concerti (Bruce Springsteen preferisce il tema di Jill di C'era una volta il West), i Dire Straits e gli U2 dedicano pezzi a Morricone. E il timido arrangiatore romano con il riportino da ragioniere fantozziano si scopre un'icona pop.Il resto è un assolo di pianoforte. Con Maria sempre accanto, stupenda ragazza che aveva fatto innamorare inventandosi infermiere e accudendola nei mesi di gesso dopo un incidente stradale. Morricone diventa più importante dei film, può scegliere lo strumento del destino e l'azzardo continua: in Mission è l'oboe, in C'era una volta in America il flauto di Pan. Spiega lui stesso: «Cercavo un'autocelebrazione timbrica, Leone provocava l'occhio, io l'orecchio». Per ottenere quegli spartiti non ha bisogno della musica. «Compongo alla scrivania, non al piano. Sento la musica nella testa, la posso scrivere senza bisogno di suonarla». Gli rimarrà per sempre un grande rimpianto: non avere lavorato con Stanley Kubrick. «Mi aveva chiamato per Arancia Meccanica, ma stavo finendo un altro film e ho dovuto dirgli di no».Se ne va un grande musicista con un hobby totalizzante, gli scacchi. «Perché giocare è come scrivere note e le pedine sono tasti silenziosi». Giocava e vinceva facile con Malick su set de I giorni del cielo, faticava con il compositore e amico Aldo Clementi, ha finito per farsi triturare da Mephisto, la scacchiera elettronica. «Perdo sempre, ogni tanto qualche patta. Meglio il silenzio». Scacco matto, il re è morto.