2018-08-13
Farinetti usa gli schiavi morti per il suo spot
A neanche una settimana dalla tragedia dei braccianti di Foggia, l'ex supporter di Matteo Renzi lancia una campagna pubblicitaria in cui spiega che Eataly «rispetta i lavoratori» e contrasta il caporalato. Della buona fede non si può dubitare, del buon gusto sì.Marketing geniale o sciacallaggio senza scrupoli? Ieri il megacondominio virtuale dei social network si è diviso (con significativa prevalenza del secondo schieramento) sull'ultima pensata del vulcanico Oscar Farinetti, il papà di Eataly, da qualche tempo proprietario anche del marchio Afeltra, pastificio e produttore di sughi e condimenti.In una tranquilla domenica di agosto, infatti, su diversi quotidiani (ad esempio, sul Corriere della Sera a pagina 7) campeggiava una pubblicità-choc, un annuncio difficile da non notare. Una lattina di pomodori San Marzano Dop Afeltra in bella vista, sotto questo titolone a caratteri cubitali: «Tu stesso puoi agire contro il caporalato». Poco più in basso, un sommario esplicativo: «C'è un semplice modo per combattere lo sfruttamento umano nella raccolta dei pomodori in Italia: comprare pelati di alta qualità. Li paghi poco di più (alla fine la differenza nel piatto è di pochi centesimi) e offri la possibilità al produttore di pagare come si deve i lavoratori». E, per chi non avesse ancora compreso, la firma: «Eataly per il rispetto dei lavoratori».Avete capito bene dove si va a parare. Sono passati soltanto sei giorni dal tragico incidente stradale in cui dodici braccianti agricoli stranieri hanno perso la vita in provincia di Foggia, e ne sono trascorsi appena tre dalla loro definitiva identificazione. Quei poveri corpi martoriati meriterebbero rispetto, riposo eterno, e - per chi crede - una preghiera. E, invece, c'è già chi non si è fatto problemi a rimettersi idealmente alla guida di quel macabro furgoncino e trasformarlo nello strumento di uno spot pubblicitario. Certo, diranno i supporter di Farinetti: non è affatto così, questa è un'interpretazione sbagliata, lui lo fa per una buona causa, per spiegare che ci sono aziende che non sfruttano i lavoratori. Lodevole scopo, si potrebbe rispondere: ma poteva bastare un'intervista, una dichiarazione, un gesto sobrio e composto. Non era certo indispensabile dare la sensazione (magari involontariamente, magari in buona fede: non vogliamo dubitarne) di usare questa circostanza come il set di un'operazione commerciale. Uno dei primi a rimarcare un problema di buon gusto, con amara ironia, è stato su Twitter il direttore di Lettera 43, Paolo Madron: «Certo che la classe di Farinetti non è acqua...». Un'altra voce nota, Toni Muzi Falconi, è stato ancora più esplicito: «Grande opportunismo talvolta anche sguaiato e sgradevole». Numerosissimi gli utenti che, come San Tommaso, vorrebbero verificare - buon gusto a parte - se Farinetti abbia davvero i titoli per salire sul pulpito e predicare: diversi vorrebbero passare al setaccio come e dove Farinetti-Eataly-Afeltra si procurino il pomodoro; c'è anche chi ironizza su questo punto («Non ti fidi di Farinetti? Vergognati!»); o chi ricorda che, oltre all'agricoltura, anche la ristorazione è a volte un settore in cui le condizioni di lavoro non sono esemplari. Ma questi ultimi - ci sia consentito - sono dettagli rispetto al cuore del problema, che è e resta la morte, e quei poveri cadaveri. Non si chiede a nessuno (neppure a Farinetti) di ripensare all'Ingmar Bergman del Settimo Sigillo, alla falce e alla clessidra, all'uomo braccato e poi fatalmente sconfitto dal destino che ci sovrasta. Non si pretende la solennità di un Requiem di Mozart o di Verdi. Ma magari - questo sì - un po' di silenzio, niente frastuono, niente uomini sandwich a spasso tra le bare. In tutte le civiltà, la morte è un'«ultima porta» alla quale ci si accosta con un rispetto letteralmente sacrale. Da millenni, quasi non si ricordano tempi e luoghi dai quali non ci sia giunta una testimonianza del culto dei morti, dove non sia stato dedicato il meglio dell'intelligenza e dello spirito umano (riti, cultura, arte, religione) per preparare e onorare il «dopo». Con tutta la buona volontà e senza cadere in moralismi che non ci appartengono, resta difficile cogliere in quel paginone pubblicitario un livello adeguato di rispetto, di tatto, di empatia. Ma Farinetti è uomo pratico e svelto, non dimentichiamolo. Lasciamo in pace i morti e occupiamoci dei vivi, anzi di un vivo, Matteo Renzi. Per anni (badate bene: negli anni del Renzi triumphans), Farinetti se n'è dichiarato amico, sostenitore, esegeta, quasi bodyguard, un Alexandre Benalla meno manesco e più simpatico. Non c'era trasmissione televisiva, non c'era talk-show, dove Farinetti non mettesse fisicamente corpo (e baffoni) a difesa dell'«amico Matteo». Non c'era occasione in cui i nemici di Renzi non fossero azzannati alla giugulare da un Farinetti più renziano di Renzi, più rottamatore del Rottamatore, più bomba del Bomba. Poi, però, si è materializzata la sconfitta di Renzi, con la vittoria dei gialloblù, e Farinetti non ha perso tempo: «Renzi? Se uno perde, significa che errori ne ha fatti. Paradossalmente, ora tifo questo governo». Un necrologio politico, in questo caso, e senza lattine di pomodori in bella vista. Ma pur sempre un addio. Con uno stile che ciascuno può giudicare.