2019-03-14
«Fare fuori i cattivi». La storia degli 007 che difendono Israele riguarda anche noi
Il passaporto falso usato da Eichmann per entrare in Argentina / Ansa
Il documentario di Netflix Inside the Mossad spiega l'agenzia, da Adolf Eichmann ai terroristi. La sicurezza costa scelte dolorose: una lezione per tutta Europa.Dagli anni Cinquanta a oggi la storia del Mossad, il servizio segreto israeliano, è molto più del racconto di un'istituzione a garanzia indispensabile della sopravvivenza dello stato di Israele, con disinvoltura controllata nell'azione e autosufficienza morale nella strategia. È storia d'Occidente. Potrebbe giocare ancora un ruolo decisivo sugli scenari dell'Europa, che ha nella nuova ondata di antisemitismo - spesso di matrice islamica - un pericolo derubricato da molti governi a problema di ordine pubblico. Anche per questo Inside the Mossad, una produzione televisiva israeliana distribuita da Netflix, stimola un interesse che va al di là della narrazione documentaristica. Si affranca dalla tentazione emozionale delle serie televisive di fiction, tratta l'argomento intervistando i principali dirigenti del servizio segreto di Tel Aviv e gli agenti operativi. Ricostruisce decenni di azioni con l'intimità della voce dei protagonisti, ma anche col distacco necessario a non indirizzare aprioristicamente lo spettatore.Dal giorno della sua creazione il Mossad ha arrestato criminali nazisti, si è accreditato come interlocutore autorevole con governi amici e ostili, ha pianificato omicidi mirati di capi di organizzazioni terroristiche, perché talvolta «un'azione preventiva e difensiva che contempli l'uccisione di un colpevole, previene la morte di molti innocenti», dice Rafi Eitan, tra i principali ex comandanti del servizio segreto. Ha agito all'ombra del governo israeliano, esplorando il confine sottile tra lecito e illecito, eticamente controverso e però giustificabile. Proprio Rafi Eitan, uno dei protagonisti delle quattro puntate del documentario, ha diretto le operazioni che portarono al rapimento e all'arresto dell'ex ufficiale delle Ss Adolf Eichmann, uno fra i principali responsabili dell'Olocausto, rifugiatosi in Argentina sotto falsa identità dopo la Seconda Guerra Mondiale. Eichmann fu scovato grazie a uno strenuo lavoro di intelligence, avvicinato con una scusa dagli agenti del Mossad a Buenos Aires, drogato, caricato su una macchina e poi su un aereo diretto in Israele, dove fu processato e condannato nel 1961 all'impiccagione per crimini contro l'umanità. Ma è lo stesso Eitan a raccontare - col medesimo disinvolto pragmatismo che portò alla cattura di Eichmann - come il Mossad avvicinò l'ex ufficiale nazista Otto Skorzeny, non per arrestarlo bensì per offrirgli l'unica via d'uscita possibile a evitare l'arresto o peggio la morte: collaborare. Fornire informazioni utili sul conto degli scienziati tedeschi che a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta furono assoldati dall'Egitto per allestire un sistema d'attacco missilistico capace di colpire Israele. Il Mossad pianificò l'operazione Damocle - una serie di omicidi mirati e di intimidazioni deterrenti nei confronti degli ex scienziati nazisti al soldo del presidente egiziano El Nasser - che portò l'Egitto a desistere dai suoi piani bellici proprio grazie al contributo decisivo dell'ex nazista Skorzeny. Fu evitata una guerra in campo aperto che avrebbe causato migliaia di vittime, grazie a una battaglia surrettizia condotta con azioni studiate ad arte. Anni dopo, Skorzeny, già decorato con la croce di ferro da Hitler in persona, noto per aver liberato Mussolini nell'operazione Quercia, perì di morte naturale. Al suo funerale si radunarono centinaia di nostalgici del Reich, inconsapevoli che il loro camerata trascorse gli ultimi anni della sua vita come alleato di Israele. Ma la vicenda del Mossad è storia anche di rimorsi e incertezze. Il comandante Zvi Zamir racconta nel dettaglio le drammatiche ore che precedettero la morte degli atleti israeliani nel 1972 durante le Olimpiadi di Monaco, a causa di un assalto di terroristi palestinesi. Spiega le differenze di vedute tra le scelte che il Mossad avrebbe voluto compiere e le decisioni operative della polizia bavarese. Lo stesso Zamir racconta anche di quando fu a un passo dalla decisione di assassinare l'ayatollah Khomeini poco prima che completasse la rivoluzione culturale sciita in Iran. Le implicazioni diplomatiche, le incertezze sugli scenari successivi, i delicati equilibri politici mediorientali che sarebbero stati stravolti davanti all'uccisione di un capo di stato, portarono all'abbandono del proposito. Suscitando rimpianti in alcuni analisti di geopolitica dei decenni successivi: a oggi l'Iran costituisce una minaccia potenziale per la sopravvivenza di Israele. Proprio sul peso cruciale assunto da una decisione da prendere nell'immediato, dallo smantellamento di una cellula terroristica alla raccolta di informazioni su soggetti ostili, da un «sì» e da un «no» che potrebbero condizionare un futuro geopolitico, evitando o scatenando guerre dalle conseguenze imprevedibili, è uno degli aspetti su cui Inside The Mossad si concentra attraverso le interviste ai suoi protagonisti. Spiegando senza retorica come funzioni la macchina complessa del servizio segreto meglio organizzato nel mondo: ciò che si può dire e si deve fare, ciò che si può fare ma non si deve dire, la soggettività del bene da compiersi attraverso la soggettività del male, se serve a evitare un male ancora più grande. E poi il reclutamento degli agenti, la loro formazione ed educazione, i rapporti con i palestinesi, col Libano e la Giordania, con l'Europa, con gli Stati Uniti d'America, i legami avvertiti dai suoi componenti come costitutivi di un'identità collettiva. Il documentario, di riflesso, suscita considerazioni collaterali ma di stretta contingenza. È notizia recente, confermata dallo storico Georges Bensoussan, che la metà della popolazione di origine ebraica della città francese di Grenoble si sia trasferita altrove perché minacciata dalle continue aggressioni di cittadini musulmani di origine nordafricana. L'80% degli ebrei avrebbe lasciato il dipartimento della Seine Saint Denis per le medesime ragioni. La stessa aggressione subita dal filosofo ebreo Alain Finkielkraut a Parigi, durante una manifestazione dei gilet gialli, sarebbe avvenuta a opera di individui noti alle forze dell'ordine per la loro militanza in frange confessionali salafite, come confermato dallo stesso Finkielkraut. Dulcis in fundo, durante i festeggiamenti del carnevale nella città belga di Aalst, sostenuto dall'Unesco, un carro allegorico con le caricature di due ebrei ha sfilato tra gli applausi di molti presenti, verosimilmente sostenitori dell'esasperazione multiculturale relativista che applica pesi e misure differenti quanto al rispetto verso identità e confessioni religiose. L'antisemitismo con radici islamiste soffia nell'Europa che mette in dubbio le sue radici giudaico cristiane e molti ebrei si sentono oggi più sicuri in Israele piuttosto che in una strada di Parigi. Inside the Mossad racconta esclusivamente gli aspetti operativi di un servizio segreto a tutela della sicurezza di uno stato, ma è impossibile non pensare a come molte delle minacce alla sopravvivenza di quello stato oggi nascano su suolo europeo.
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