2025-10-17
La Fao delle «carestie» non digerisce i dati
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)
L’organizzazione ha festeggiato ieri a Roma gli 80 anni dalla sua fondazione tra capi di Stato e premier. Presente anche il Papa. Ma la retorica è la stessa: la fame nel mondo resta una tragedia epocale con poche soluzioni. Dal 2000, invece, è calata del 35%.A Roma, ieri, alla Fao si è celebrata la Giornata mondiale dell’alimentazione con la solennità con cui si celebrano le giornate mondiali: bandiere al vento, slogan ben confezionati, leader mondiali in abito scuro e tono grave. La fame nel mondo, infatti, è stata raccontata come una tragedia epocale priva di soluzioni. Eppure, i numeri raccontano una storia leggermente diversa: non rosea, certo, ma nemmeno disperata. L’Indice globale della fame (Ghi), che nel 2000 era a quota 28, è oggi sceso a 18,3. Tradotto in un linguaggio meno da addetti ai lavori: un calo del 35% circa. Nello stesso arco di tempo la popolazione mondiale è passata da sei a otto miliardi di persone. Insomma: non c’è da brindare, ma forse si può silenziare per un attimo la sirena d’allarme.L’atmosfera al palazzone della Fao, nel cuore di Roma, è stata quella dei grandi appuntamenti globali: ottantesimo compleanno dell’organizzazione, partecipazione di capi di Stato, premier, ministri, regine e, naturalmente, papa Leone XIV. Un parterre importante, com’è giusto che sia di fronte a un problema reale e drammatico, ma che ha avuto il tono monocorde della tragedia annunciata.Il pontefice ha lanciato parole forti: «Chi patisce la fame non è un estraneo. È mio fratello e devo aiutarlo senza indugio». E ancora: «A nessuno manchi il cibo necessario». Poi l’affondo, che ha attraversato la sala come una lama: «Gli scenari dei conflitti attuali hanno fatto riemergere l’uso del cibo come arma da guerra».Un concetto ripreso anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha parlato di «un triste paradosso: proprio mentre crescono le risorse e le potenzialità tecnologiche, assistiamo a nuovi scenari di carestia e a un regresso del sistema multilaterale». Parole dal significato pesante: l’umanità, pur sapendo come sfamarsi, sceglie di non farlo per alimentare i conflitti.Eppure - e questo è il punto che rischia di perdersi nel coro unanime di sirene - il pianeta ha fatto progressi concreti. Dal 2000 al 2024, mentre la popolazione esplodeva soprattutto in Africa e Asia, l’incidenza della fame globale è diminuita in modo significativo. Non per magia, ma per una combinazione di miglioramenti agricoli, cooperazione internazionale e progresso tecnologico.Non si tratta di minimizzare: 700 milioni di persone affamate nel mondo restano un’enormità. Ma ignorare il trend positivo rischia di trasformare una sfida complessa in un destino ineluttabile. E il fatalismo non ha mai sfamato nessuno.Nel 2024, secondo la Fao, il 28% della popolazione mondiale vive in una condizione di insicurezza alimentare moderata o grave. Ma l’Europa viaggia su cifre molto più basse (6,8%), mentre in Africa si sfiora il 59%. Dati che non gridano «missione compiuta», ma neppure «catastrofe totale».Nella mattinata, dopo il saluto di Mattarella, si sono alternati interventi che hanno trovato un punto fermo: il multilateralismo. La regina Letizia di Spagna ha provocato la platea: «Se c’è qualcuno che pensa ci sia un’altra strada della cooperazione multilaterale, allora venga qui a raccontarcela». Antonio Tajani ha annunciato nuovi aiuti per il Medio Oriente, mentre la principessa, Basma Bint Ali, figlia del re di Giordania, ha puntato il dito contro l’uso del cibo come arma a Gaza.Il Papa, nel suo discorso, ha alzato la posta: «Raggiungere la fame zero sarà possibile solo se ci sarà la volontà reale di farlo». E ha richiamato governi, istituzioni e cittadini a non «accontentarsi di manifesti», ma ad agire. Giorgia Meloni ha ricordato l’impegno italiano per rafforzare la sovranità alimentare africana. Un po’ meno catastrofismo, un po’ più di concretezza. Forse il punto è proprio questo: non serve dipingere l’apocalisse per muovere la macchina della solidarietà. Al contrario, riconoscere i progressi fatti può essere un motore potente per fare meglio. La fame non è più un destino biologico, ma una questione politica, logistica, etica. E come tale può - e deve - essere affrontata con decisione.La platea della Fao, fra citazioni solenni e dichiarazioni roboanti, sembrava dimenticare che, nel frattempo, le aspettative di vita sono cresciute (in Europa fino a 83,8 anni), la mortalità infantile è crollata, e l’agricoltura sfama miliardi di persone in più rispetto a due decenni fa. Non un successo assoluto, ma certamente un progresso reale.«Passare dagli slogan ai progetti», è stato detto più volte sul palco. È un invito saggio, purché valga per tutti. Perché tra chi urla alla fine del mondo e chi crede che “vabbè, tanto va tutto bene”, esiste una terza via: quella della responsabilità consapevole.Il bicchiere della lotta alla fame, insomma, non è vuoto. È mezzo pieno - e non solo di lacrime e buone intenzioni, ma di risultati tangibili. Riconoscerlo non significa abbassare la guardia, ma alzare lo sguardo.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)