2023-01-14
I fan che applaudivano la riforma groviera
Da sinistra: Alfonso Bonafede, Sabino Cassese, Sergio Mattarella e Stefano Bonaccini (Ansa)
Il Quirinale, Bruxelles, un candidato alla segreteria del Pd: al club degli estimatori del testo che ha riempito di buchi la giustizia si sono iscritti in tanti. Quasi tutti a sinistra. Con in testa Sergio Mattarella, che fu il grande sponsor di una legge che definì «ineludibile».Di lei resteranno i foulard di Hermès. Dai corifei di Mario Draghi veniva dipinta con i tratti del genio, ora Marta Cartabia rischia di diventare una Elsa Fornero qualsiasi. I buchi della riforma della giustizia sono enormi, la sperimentazione quotidiana è impietosa e non basta il semplice afflato garantista (peraltro tiepido) per giudicare positivamente una legge sbagliata. Eppure la primavera scorsa non c’era giurista, tecnico o commentatore mainstream che non inneggiasse alla ministra prediletta di Sergio Mattarella e alla sua raffinatezza giurisprudenziale. A cominciare da Sabino Cassese, ex membro della Corte costituzionale e pontifex pluri-intervistato del diritto, che affermava: «La sostanza della riforma è quella di aver ottenuto tre risultati eccellenti. Al di là della teatrale lotta fra galli sulla prescrizione, c’è una legge importante che fa fare i primi 500 metri su quella montagna che è la riforma della giustizia».Dopo neanche mezzo chilometro si è perso il sentiero e si mandano liberi i criminali, ma allora gli obiettivi erano due: inneggiare a qualsivoglia decisione del governo Draghi e trasformare una ciofeca in un manicaretto pur di «non perdere i soldi del Pnrr». L’intero governo si fece irretire dalle lusinghe dell’Europa e lo stesso premier, prima di mettere ai voti gli articoli della legge, rassicurò: «Siamo tutti d’accordo, i contenuti sono ampiamente condivisi e non sarà necessario porre la fiducia». Non era vero perché Forza Italia tentò fino all’ultimo di cambiarla in Commissione e Giulia Bongiorno (Lega) la accettò per lealtà governativa turandosi il naso: «La votiamo ma è una riforma anacronistica. Ne serviva una costituzionale, la faremo noi nella prossima legislatura».Per il centrodestra il superamento della terribile «Spazzacorrotti» da macelleria messicana partorita dal governo Conte 2 era già da considerarsi un successo; in più la sindrome dei compiti a casa per tranquillizzare Bruxelles aveva fatto effetto. Lo stesso Matteo Renzi buttò lì: «È più inutile che dannosa». È il contesto pasticciato di una legge partorita per accontentare tutti, dall’ex disc jockey grillino Alfonso Bonafede a Luca Palamara, che peraltro disse: «La montagna ha partorito un topolino, il sistema delle correnti continuerà ad avere totale controllo».Poi c’è Sergio Mattarella, che la firmò non solo come presidente della Repubblica ma come numero uno del Csm. Il Colle non si limitò a protocollare la «legge groviera» ma la sponsorizzò su larga scala. Il capo dello Stato riteneva che una ristrutturazione della giustizia fosse «non più rinviabile», quindi «ineludibile» e che «pertanto è di grande urgenza approvare nuove regole per il funzionamento del Csm, affinché la sua attività possa mirare a valorizzare le indiscusse professionalità di cui la magistratura è ampiamente fornita». Manco a dirlo, il Pd celebrò il topolino di Palamara come se fosse un bianco destriero e a forza di avvicinarsi alla ministra firmataria nella foto ricordo finì per intestarsi il flop che oggi è davanti agli occhi di tutti.Anche recentemente la responsabile giustizia del partito, Anna Rossomando, ha minacciato sfracelli contro il governo di Giorgia Meloni che rinviava l’entrata in vigore del provvedimento. «Riteniamo grave la scelta. Se c’era la necessità di verificare alcuni elementi tecnici, il rinvio poteva essere limitato a quegli aspetti. Se questo è il preludio a uno stravolgimento del testo su norme urgenti come misure e pene alternative e con il rischio, che nonostante le rassicurazioni permane, di mettere a rischio i fondi del Pnrr, ci opporremo duramente».Segue anacronistico peana: «La riforma contiene processi più rapidi, presunzione di innocenza, più riti alternativi e pene sostitutive al carcere, impossibilità di chiedere il rinvio a giudizio se non c’è una ragionevole previsione di condanna, stop alla gogna mediatica. Ora la priorità è attuare queste riforme. Ci sono in gioco i fondi del Pnrr e la credibilità della politica stessa».Anche Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria dem, è caduto nella trappola: «Non può esserci una giustizia à la carte. La pretesa di cambiarla ogni volta che c’è un nuovo governo è esattamente la ragione per cui la giustizia in Italia non funziona. Avevamo condiviso una riforma importante col precedente governo. Evidentemente a destra hanno un problema: quando parlano di sicurezza urlano, ma poi hanno bisogno di bloccare le indagini e far saltare i processi».Surreale e perentorio il tesoriere del Pd, Walter Verini: «La riforma Cartabia non si tocca».Pur di accontentare l’Europa, l’urgenza della questua ha fatto premio sui contenuti. E l’Europa è contenta, poco importa se i criminali italiani riescano a fare slalom fra le pieghe della riforma. Infatti il commissario per la Giustizia Didier Reynders fu tra i primi a elogiare il minestrone del Guardasigilli: «L’Italia sta realizzando una riforma della giustizia su larga scala; alcuni buoni esempi sono le riforme della giustizia civile e penale per migliorarne l’efficienza». L’accoglienza tiepida da parte dei tecnici avrebbe dovuto far riflettere. Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense: «Non è la migliore possibile ma è un passo avanti verso un maggiore equilibrio tra funzioni e poteri».Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere Penali: «Non è la nostra riforma ma ci fa uscire da quella che è forse la pagina più buia per la giustizia nel nostro paese». Dal buio alla penombra. Troppo poco.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco