2021-05-06
Facebook squalifica Trump per altri 6 mesi
Donald Trump (Jabin Botsford/The Washington Post via Getty Images)
Il Consiglio di vigilanza del colosso del Web legato ai democrats conferma il divieto d'accesso all'ex presidente Usa. Un organismo non indipendente in cui c'è anche una manager della rete di George Soros. Replica furibonda di The Donald: «Faccio la mia piattaforma».Il Comitato di vigilanza di Facebook ha confermato ieri la misura, adottata dal colosso californiano, di sospendere i profili di Donald Trump per violazione degli standard della piattaforma. L'organo ha tuttavia precisato che «entro sei mesi da questa decisione, Facebook deve riesaminare la pena arbitraria inflitta il 7 gennaio e decidere la sanzione appropriata». Il comitato non ha neppure risparmiato una stilettata all'azienda di Mark Zuckerberg, dichiarando: «Nell'applicare una punizione vaga e senza standard e quindi deferire questo caso al Comitato per risolverlo, Facebook cerca di evitare le proprie responsabilità». Pronta la reazione del vicepresidente per gli affari internazionali del colosso, Nick Clegg. «Riteniamo che la nostra decisione fosse necessaria e giusta. E siamo lieti che il Comitato abbia riconosciuto che le circostanze senza precedenti giustificavano la misura eccezionale che abbiamo preso», ha detto. Annunciando poi una non meglio precisata «azione chiara e proporzionata», Clegg ha aggiunto che «i profili del signor Trump rimangono sospesi». Trump è stato bloccato da Facebook lo scorso 7 gennaio, poche ore dopo l'irruzione nel Campidoglio: in particolare, a finire nel mirino furono alcuni post dell'allora presidente americano che, secondo il colosso di Menlo Park, avrebbero violato le linee guida della piattaforma. Alcuni giorni più tardi la società deferì il caso al Comitato di vigilanza. Quest'organo - in teoria indipendente - è stato formalmente lanciato da Facebook nel maggio 2020 e - secondo The Guardian - l'azienda avrebbe stanziato circa 130 milioni di dollari per finanziarlo. Il suo obiettivo ufficiale è quello di pronunciarsi sui casi «più difficili e significativi» di moderazione dei contenuti. Eppure qualche dubbio sull'indipendenza di questa commissione onestamente viene. In primis, l'azienda ha partecipato al processo di selezione dei circa venti membri che la compongono. «Facebook», scriveva il colosso sul suo sito il 6 maggio 2020, «ha aiutato ad avviare il processo di selezione dei membri scegliendo quattro copresidenti, che da allora hanno lavorato con noi per selezionare i 16 membri aggiuntivi annunciati oggi». In secondo luogo, non tutti i componenti del Comitato appaiono politicamente neutrali. Tra di essi, figura per esempio l'ex primo ministro danese, la socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt, mentre un altro nome di rilievo è quello di Afia A. Asare-Kyei, program manager presso l'Open society initiative for West Africa: parliamo di un'organizzazione inserita nella rete internazionale delle Open society foundations. Una rete che notoriamente fa capo al miliardario George Soros: quello stesso Soros che, l'anno scorso, ha investito cifre esorbitanti a favore del Partito democratico americano. Basti pensare che, ad aprile 2020, Politico riportò che il magnate avesse donato oltre 28 milioni di dollari a gruppi legati all'asinello. Tra l'altro, le stranezze non si fermano qui, visto che vari alti esponenti del colosso di Menlo Park intrattengono stretti legami con i vertici del Partito democratico. L'attuale direttore operativo di Facebook, Sheryl Sandberg, vanta per esempio solidissime connessioni con il vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris: un legame, cementatosi negli anni, che ha portato la dirigente di Menlo Park a dare il proprio endorsement alla Harris lo scorso agosto. Inoltre, secondo il Center for responsive politics, il 92% dei finanziamenti elettorali, versati nel 2020 da ambienti di Facebook, è andato al Partito democratico. Infine, a novembre, Politico riportò che Joe Biden avesse inserito nel team di transizione svariati ex dirigenti proprio del gigante californiano. Insomma, le rassicurazioni sull'imparzialità di certi giudizi lasciano un po' il tempo che trovano. Anche perché non si capisce per quale ragione una piattaforma privata, che rifiuta gli oneri imposti agli editori, possa arrogarsi il diritto di censurare dei profili appartenenti a leader eletti e a capi di Stato. A maggior ragione se questa piattaforma intrattiene legami con gli avversari politici dei soggetti che vorrebbe silenziare. Trump nel frattempo non è rimasto con le mani in mano. Probabilmente prevedendo il verdetto ostile, martedì ha lanciato una propria piattaforma: una sorta di live blog, che l'ex presidente vuole usare per aggirare le censure dei social (non solo Facebook, ma anche Twitter e Youtube). E proprio da qui è intervenuto ieri, tuonando: «Quello che hanno fatto Facebook, Twitter e Google è una vergogna totale e un imbarazzo per il nostro Paese. La libertà di parola è stata tolta al presidente degli Stati Uniti perché i pazzi della sinistra radicale hanno paura della verità […] Queste società di social media corrotte devono pagare un prezzo politico». Tutto questo, mentre la decisione del Comitato di vigilanza sta ricompattando parte significativa del Partito repubblicano: parlamentari come Ted Cruz, Kevin McCarthy e Jim Jordan sono insorti, nelle scorse ore, contro la creatura di Zuckerberg. La battaglia, insomma, è solo all'inizio.
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