2020-11-05
Trump può anche perdere le elezioni ma il trumpismo ha cambiato gli Usa
The Donald è stato dipinto da tutti i media come un pazzo e un dilettante. Eppure, con lui l'economia ha volato e non ci sono state guerre. Si tratta di risultati che resteranno, perfino in caso di sconfittaNon so come andrà a finire la conta per il presidente degli Stati Uniti. Al momento in cui scrivo, la partita mi sembra apertissima: potrebbe vincere Sleepy Joe o potrebbe spuntarla il più stravagante comandante in capo che si sia mai visto alla Casa Bianca. Comunque vada, una cosa è certa: il sistema dell'informazione, cioè giornali e tv, ha dimostrato ancora una volta di non capire nulla dell'America, altrimenti non ci avrebbe rotto i timpani con previsioni catastrofiche per Donald Trump. Fino all'altroieri, il clown con i capelli arancione era dato per spacciato, costretto ad arrancare gaffe dopo gaffe dietro un Joe Biden che la pandemia e la benedizione di Barack Obama avevano talmente rilanciato da consentirgli di correre verso il traguardo elettorale con una decina di punti di vantaggio. In realtà, quello stacco fra i due concorrenti non è mai esistito e i sondaggi servivano solo ad influenzare l'elettorato americano. A differenza nostra, negli Usa non esistono la par condicio e neppure il silenzio elettorale prima del voto: fino all'ultimo, i candidati giocano le loro carte e barano finché possono. Dunque, dire che non c'è partita fra i due contendenti, che uno dei due è un pallone sgonfiato e il match è già deciso, fa parte del gioco. Su The Donald è stata scaricata qualsiasi accusa, perché i media fin da prima che fosse eletto erano nella quasi totalità contro di lui. Una volta uscito vittorioso dallo scontro con la candidata preferita dall'establishment politico, economico e giornalistico, cioè Hillary Clinton, giornali, tv e star system hanno continuato a picchiare come fabbri sulla testa di Trump, dipingendolo come un imbecille. E se in America si martellava, in Italia si rincarava la dose. Risultato, vittime dei loro pregiudizi, in questi anni molti commentatori non hanno semplicemente guardato in faccia la realtà, che può essere bella o brutta, ma non la cambia un pensoso editoriale. Al contrario di ciò che è stato raccontato da molti indignati speciali, Trump ha conseguito dei risultati che lo hanno reso popolare fra l'elettorato meno considerato, cioè tra la working class, e tra quel ceto medio che la grande stampa spesso ignora, preferendo brucare nel giardino di casa propria, cioè parlare alla ristretta cerchia di radical chic che Tom Wolfe dipinse molti anni fa in un articolo sul New York Magazine. Dai loro attici, guardano con un complesso di superiorità e con un certo disprezzo ciò che accade intorno a loro e così hanno fatto anche con Trump, sia quando si candidò che in questi quattro anni. Dal giorno in cui mise piede alla Casa Bianca, è stata una battaglia continua contro il conformismo e il luogocomunismo, che - ahinoi - non è prerogativa solo italiana, ma è diffuso ovunque, America compresa, soprattutto nelle redazioni, nelle case editrici e nelle università. Risultato, benché negli ultimi quattro anni le condizioni economiche degli Stati Uniti siano migliorate e la disoccupazione prima del Covid abbia toccato il minimo storico, Trump ha continuato a essere descritto come un cialtrone, un po' guitto e un po' imbroglione. Che, a differenza di tanti presidenti democratici, non abbia ingaggiato alcuna guerra, ma abbia sparato un solo missile, freddando Quassam Soleimani, il capo dei servizi segreti iraniani, senza colpo ferire, per i radical chic non è molto rilevante. Per il loro gusto estetico, è più importante che Trump sia unfit, inadatto, inadeguato, proprio come con una celebre copertina sentenziò anni fa l'Economist a proposito di Silvio Berlusconi. Non conta quanti voti tu abbia raccolto, quanti elettori abbia convinto: conta il giudizio di una casta di eletti.Dunque, che la gente non abbia perso il lavoro, ma lo abbia trovato, che i salari siano migliorati, che l'America non sia stata trascinata in guerre in giro per il mondo, che la politica estera non sia stata così disastrosa come ai tempi di Barack Obama e delle primavere arabe, ma anzi in Medio Oriente si siano stretti accordi di pace fra Paesi arabi e Israele, sono tutte cose ritenute secondarie. Così come non ha peso la battaglia contro la Cina, per evitare che una dittatura si appropri dei dati e delle comunicazioni di mezzo mondo. No, pur di far fuori il puzzone, il pazzo e puttaniere, ogni risultato positivo è stato offuscato e l'unica cosa che è stata esaltata è la diffusione della pandemia, la gestione non sempre lineare e limpida dell'emergenza. Che tutti abbiano affrontato la situazione venutasi a creare in maniera maldestra non può essere addotta come scusante e perfino la morte di un cittadino afroamericano per mano della polizia è diventata motivo per attaccare Trump, anche se la polizia in America dipende dai sindaci e il sindaco di Minneapolis è democratico. No, non conta la realtà: conta far fuori il presidente che un incidente della storia e milioni di americani hanno portato alla Casa Bianca. Non so come finirà lo spoglio, se alla fine, nonostante ogni pronostico negativo, la spunterà The Donald o SleepyJoe. Due cose però sono certe: i commentatori hanno perso ancora una volta un'occasione per evitare di mostrare le proprie faziosità e incompetenze e comunque vada Trump ha cambiato la storia, dell'America e della giustizia americana, perché in quattro anni ha rifatto la Corte suprema e questo è un fatto che nessun giornalista riuscirà a cambiare.
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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