
Il ricordo del fratello del presentatore, che oggi avrebbe compiuto 61 anni: «Conosceva musica e cantanti, sarebbe stato il migliore. Siamo cresciuti imparando da “Alto gradimento". Io divenni compositore, lui fece un provino in Rai fingendo di lanciare Battisti».Fabio Frizzi, una vita da cult. Ha composto la colonna sonora di Fantozzi, Il secondo tragico Fantozzi e Febbre da cavalli, tre film entrati di prepotenza nell'immaginario collettivo, ha girato per il mondo con le musiche dei film di Lucio Fulci, regista di culto del cinema horror, e un suo brano, tratto dal fulciano Sette note in nero, è stato inserito da Quentin Tarantino nella colonna sonora di Kill Bill. Volume 1. Ma in questo malinconico autunno, su cui risuonano le note del festival di Sanremo, il pensiero non può non andare al fratello Fabrizio, scomparso poco meno di un anno fa, che oggi avrebbe compiuto 61 anni. Quel festival di Sanremo che Fabrizio avrebbe voluto tanto condurre...«Fabrizio ha sempre sperato di condurre Sanremo. Sarebbe stato il migliore perché conosceva la musica italiana ed era amico di molti cantanti. L'avrebbe meritato. Ha seguito molto la musica negli anni Settanta nelle radio private, avendo iniziato a Radio antenna musica. Anch'io l'ho fatta per un po', io sono uscito e lui è entrato». Com'era Fabrizio alla radio?«Noi siamo stati innamorati di Alto gradimento, ci riempiva non soltanto le giornate, ma anche le cassette che registravamo e riascoltavamo. Quando Fabrizio ha cominciato a fare radio pochi anni dopo, questa eredità se l'è portata dietro. C'era un personaggio televisivo quando io ero piccolo che si chiamava Angelo Lombardi, l'amico degli animali, che aveva registrato dei dischi in cui parlava con voce stentorea. Non lo sapevamo, lo scoprimmo dopo. Fabrizio aveva preso questi dischi, li aveva registrati su delle cassette e il personaggio d'intrattenimento in questa radio era spesso Angelo Lombardi, che lui non diceva essere Angelo Lombardi, ma un signore che entrava in trasmissione con la sua voce. Questa è la genialità che abbiamo sempre amato: per questo Fantozzi faceva parte del nostro Dna».Come fu chiamato in Rai?«È divertentissimo, te l'avrebbe raccontato volentieri lui. A un certo punto conosce Tullia Brunetto, che si occupava della promozione della Wea, l'etichetta musicale. Tullia è stata una delle anime della promozione discografica, non solo italiana perché la Wea aveva un grande repertorio di musica straniera. Per un programma di bambini di Rete 2 decidono di vedere gente nuova e indicono un provino. Tullia viene a saperlo e chiama Fabrizio. Lui va e gli dicono di presentare Lucio Battisti. Mi hanno detto che ha fatto una presentazione da morire dal ridere».Con Battisti presente?«No, inventando tutto! Finita la presentazione, l'hanno preso. Quando faceva televisione, agli inizi, ogni tanto andavo a trovarlo negli studi di Rai scuola, dietro via Teulada, e mi beavo di questo fratello così bravo. È bello parlare di Fabrizio, sembra che sia di là, adesso arriva e andiamo a prenderci l'aperitivo!». Tu quando hai cominciato ad appassionarti alla musica?«Fin da piccolo. Mi ricordo che quando andavamo in vacanza - allora si andava in vacanza dalla mattina alla sera! -, partivamo in macchina e si finiva regolarmente a cantare arie d'opera e canzoni di successo. Sia mio padre che mia zia avevano cantato in un coro. Poi a scuola ci fu un segno del destino: in seconda elementare la maestra di musica ci fece fare uno spettacolino per carnevale e mi affidarono il ruolo di direttore del coro. Mi sono vestito tutto carino, con la maschera, gli occhiali e il naso finto, come si usava all'epoca, e ho diretto il coro. In realtà non lo dirigevo io, ma la maestra!».E le prime lezioni di musica?«Sono stato un nuotatore, ma ho sempre sofferto d'asma. A 14 anni ho avuto un inverno molto brutto con continui attacchi e l'otorino disse che era meglio interrompere per un anno lo sport ed eventualmente riprenderlo successivamente. Una coltellata allo stomaco. Mio padre ha avuto una dolcissima intuizione: “Proviamo a dargli qualcos'altro". Un professore della mia scuola, che è stato poi il mio prof di fisica, suonicchiava la chitarra e suggerì a mio padre un suo amico. Questo signore venne a casa e cominciò a insegnarmi la chitarra. Si chiamava Vittorio Taborra, una persona straordinaria. Tutto quello che so di musica lo devo lui perché dopo aver fatto chitarra, ho fatto un po' di pianoforte e ho cominciato composizione. Anche Fabrizio ha studiato musica con Vittorio, il quale, forse per pungolarmi un po', mi diceva: “Tuo fratello non lo so mica...", mi metteva la pulce nell'orecchio! Ma lui aveva un altro amore: era un grande fantasista, un intrattenitore, un anchorman. Fin dai 13-14 anni faceva le imitazioni e quando venivano amici a casa era un punto di divertimento per tutti. Quindi ho proseguito solo io con la musica e dopo pochi mesi avevo già un complesso».Dove vi esibivate?«Le prime esperienze le abbiamo fatte nella messa beat, che all'epoca andava molto di moda. I preti scolopi dell'Istituto Calasanzio, la scuola dove studiavo, avevano una chiesa in via Trionfale, la chiesa di San Luigi, e vi celebravano una messa molto moderna. Io proposi di affidarla a noi, ma in modo diverso. Eseguivamo il Gloria Di Marcello Giombini, per il resto facevamo repertorio di musica leggera. Cantavamo Dio è morto di Guccini durante la messa! Il batterista era il mio compagno di classe Gigi Nicolosi, il tastierista era il più bravo della classe, Francesco Panfilo, il bassista il mio amico storico, Lorenzo Castiglione. Però era difficile a Roma fare musica di questo tipo in chiesa e le suorine ci sequestrarono la batteria. C'è stata l'insurrezione dei fedeli e dopo due settimane l'hanno rimessa al loro posto e abbiamo ricominciato. Tra le carte di mio padre ho ritrovato la lettera che aveva inviato alla Curia di Roma per autorizzare l'uso della batteria. Era lui che l'aveva scritta! Finito il liceo, ci siamo iscritti all'università, loro non avevano tempo da dedicare alla musica, mentre io ho proseguito con altri complessi. Mio padre voleva che facessi l'avvocato, ma ero troppo innamorato della musica». Come sei entrato nel mondo del cinema?«Come attore! Ho fatto tre musicarelli con Mal, Pensiero d'amore, Lacrime d'amore e Amore formula 2. Nel primo suonavo il Gloria di Giombini al matrimonio di Mal con Silvia Dionisio, si era sparsa la voce che suonava la messa beat e mi hanno chiamato. Nel secondo facevo il manager di Mal, anche se era poco credibile, nel terzo ero un discografico. Ho cominciato a conoscere dei musicisti e ho saputo che c'era un editore di nome Carlo Bixio. Sono riuscito a farmi ricevere da lui e Carlo mi ha accolto come accolse Claudio Simonetti e i suoi amici, i Goblin, e come aveva accolto Giorgio Gaslini e Augusto Martelli. Carlo è stato un genio. Costruiva progetti, con un carattere molto solare e divertente ed era aperto alle novità».Il trio Bixio-Frizzi-Tempera come si è formato?«Io ero un ragazzo di 21 anni con una buona musicalità, una certa esperienza… ho frequentato più cantine in quel periodo e non certo per il vino, non sono un grande bevitore! Suonavo ovunque, però ero ancora giovane, per cui Carlo ha pensato di affiancarmi qualcuno. Il primo che mi voleva affiancare era Giacomo Dell'Orso, il marito di Edda, che è sempre rimasto un amico e avrebbe poi fatto il direttore del coro in L'aldilà. Poi, per un lavoro destinato alla tv, 20 puntate di comiche che Vittorio Sindoni aveva comprato in America e andavano sonorizzate per essere mandate in onda su Rete 2, Carlo mi ha affiancato il fratello Franco. Franco mi ha insegnato l'arte della moviola, che è stata la base della mia carriera. Poi Carlo ci ha affiancato Vincenzo Tempera direttore d'orchestra. Il primo film di cui ho composto la musica è stato Amore libero - Free Love di Pier Ludovico Pavoni».In quel periodo, primi anni Settanta, conosci Lucio Fulci, con il quale è iniziata una lunga collaborazione, a partire dal western I quattro dell'apocalisse. Che ricordi hai del primo incontro con lui?«Da farsela sotto!».La fama lo procedeva…«Altroché. A bocce ferme, posso dire che Lucio approfittava un po' di quello che si diceva di lui, per interpretare il suo personaggio. In realtà era una persona molto carina, tormentata dalla vita e da tante cose brutte che gli sono successe. Con me, a parte le baruffe lavorative che fanno parte del quotidiano, era sempre di una dolcezza, che ho poi ritrovato nella figlia Antonella, la quale, quando lui non c'era più, mi ha confidato: “Non sai papà quanto ti volesse bene e ti stimasse!"».Fantozzi com'è nato?«Doveva essere distribuito dalla società per la quale lavorava mio padre, la Cineriz. Carlo Bixio era legato al carro della Cineriz, per cui alcune delle cose che facevamo erano loro. Non era un successo annunciato perché Villaggio veniva dalla tv e la prima regola dei cinematografari è che chi va bene in televisione non va bene al cinema. Il libro era bello, io l'avevo già letto, senza sapere che sarei stato coinvolto nel film. Mi ricordo l'incontro con Villaggio, a casa sua. Io dico sempre ai miei figli di non mitizzare le persone, ma quando ti trovi lì con un personaggio di cui parlano tutti... E poi era un uomo di grande personalità, ma con me fu molto carino. Mi sono seduto sul famoso pouf, che lui usava per gli sketch televisivi. Rischiavo sempre di cadere all'indietro!».Quale linea musicale ti ha indicato Villaggio?«Dopo alcune cose amene che si dicono quando ci si vede per la prima volta, mi ha chiesto se avevo visto un film: Harold e Maude. Io balbettai: “Forse no". Mi ha raccontato questa stranissima storia e mi ha detto: “Devi assolutamente vederlo perché la colonna sonora è di uno che forse ti piace... Cat Stevens". Quando ho sentito queste due parole, dentro di me ho pensato: “Bingo!", perché sono sempre stato innamorato di quel tipo di musica. Ho visto Harold e Maude molti anni dopo, un grandissimo film, e ho capito la sensibilità di un uomo che è stato raccontato in tanti modi».Hai composto le musiche per i primi due Fantozzi e poi per l'ultimo...«A un certo punto Paolo ha deciso di fare l'ultimo film della saga, Fantozzi 2000 - La clonazione, e mi ha fatto chiamare dal suo regista, Domenico Saverni: “Tu mi hai portato tanta fortuna all'inizio, siamo stati così bene, mi piacerebbe che l'ultimo film lo facessi tu"». Altro tuo film di culto è Febbre da cavallo. Com'è nato?«È nato dalle abili mani di Carlo, che era amico del produttore Roberto Infascelli, che purtroppo abbiamo perso l'anno dopo. Era un produttore straordinario perché era aveva le idee chiare. Siamo andati a registrare a Milano e Tempera ci ha detto: “Domani chiamiamo un mio corista e sulla ritmica mettiamo la sua voce". Vincenzo ha avuto questa idea bellissima, travolgente. Il film non andò bene, andò benino, poi con l'avvento delle televisioni private è diventato di culto».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
Le più iconiche moto della corsa nata nel 1979 saranno esposte a Milano in occasione dell'edizione 2025 della fiera internazionale delle due ruote in programma dal 6 al 9 novembre.
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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Ondrej Knotek, il capodelegazione a Bruxelles del partito sovranista che ha da poco vinto le elezioni: «Combatteremo l’agenda green. No al gender e ai migranti. Sulla guerra in Ucraina serve pragmatismo. Kiev non può entrare nella Ue».
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- Il difensore Aiello: «Se l’ex pm è corrotto, allora Stasi è innocente? Eresia giuridica».