2020-03-16
Evviva lo zafferano la pianta carissima da usare pochissimo
Risotto giallo gigante (Ansa)
Una dose da 20 grammi può essere mortale ma in un piatto ne bastano 0,15 Spezia ricca di sostanze aromatiche usate anche per prodotti di bellezza.È la specialità italiana che valorizza al meglio il fiore che dona l'inconfondibile colore giallo al piatto. Tradizione rivisitata con alcuni tocchi dello chef: impiegare lo scalogno, cuocere in brodo di carne e infine guarnire con una gelatina di coriandolo.Lo speciale contiene due articoliQuesta spezia di nome zafferano, che ha il colore dell'arancio e tinge di un giallo-oro pregno e bellissimo tutto ciò che tocca, ha etimologia araba: la parola za'farān, che vuole appunto dire «giallo». Possiamo però certamente dearabizzarla, perché è talmente integrata e da talmente tanto tempo nell'agricoltura e nella cultura alimentare italiane da essere diventata a tutti gli effetti un ingrediente identitario: senza zafferano non può esserci il risotto alla milanese, la ricetta più nota - insieme con costoletta alla milanese e panettone - della tradizione meneghina. Facciamo attenzione, quindi. Per preparare il nostro risotto giallo (il nome popolare del risotto alla milanese) comperiamo sempre zafferano puro proveniente dall'Italia: non molti lo sanno, ma quando costa troppo poco è d'importazione e potrebbe essere anche stato contraffatto con il cartamo, una spezia nordafricana nota come «zafferano del Marocco», o con la curcuma.La pianta dello zafferano appartiene alla famiglia delle Iridaceae, attualmente è coltivata nell'Asia minore e nei paesi del bacino del Mediterraneo: da noi soprattutto nelle Marche, in Abruzzo, in Sicilia, in Sardegna, in Umbria, in Toscana e in Basilicata. La pianta, che nella classificazione di Linneo si chiama Crocus sativus, funziona così: il bulbo tubero, largo circa 5 centimetri, contiene 20 gemme, ma soltanto 3 gemme principali daranno luogo a fiori e foglie, poiché le altre produrranno solo bulbi secondari. Le gemme principali del bulbo sviluppano un getto per gemma, perciò da ogni bulbo spunteranno due o tre getti. Fuoriuscendo dal terreno, il getto si apre e tira fuori fiore e foglie. Il fiore è così costituito: sei petali di un colore viola molto acceso, poi la parte maschile, cioè le antere gialle sulle quali si trova il polline, e infine la parte femminile, cioè ovario, stilo e stimmi. La parte di zafferano che noi mangiamo è costituita da quei tre stimmi, la parte finale dello stilo prodotto dall'ovario. Pensate: per avere un chilo di zafferano puro ci vogliono 250.000 stimmi, per ottenere i quali occorrono oltre 4.000 metri quadrati di fiori. Proprio nel mese di marzo, dopo il rallentamento dell'attività vegetativa dell'inverno, le piante di zafferano stanno generando i nuovi bulbi: a maggio le foglie inizieranno a seccarsi, mentre i nuovi bulbi, a giugno, dopo aver accumulato materiale di riserva, entreranno in stasi vegetativa per tutta l'estate fino a settembre. A ottobre, dal bulbo origineranno delle spate dalle quali verranno poi fuori foglie e fiori. La raccolta dei fiori con gli stimmi avviene tra la seconda settimana di ottobre e la prima di novembre: la raccolta manuale si fa di primo mattino, quella meccanizzata all'ora di pranzo, quando il fiore è aperto, così che l'estrazione degli stimmi per mezzo di macchine sia più agevole.Anche la mondatura, cioè il repulisti degli stimmi da polveri e impurità, può essere fatta a mano oppure meccanicamente. Altresì l'essiccazione può avvenire in maniera antica, con gli stimmi poggiati su vassoi di legno e posti al sole di giorno e vicino alla brace del fuoco durante le ore notturne, mentre l'essiccazione «contemporanea» si fa con essiccatori elettrici a 45 gradi. Solo in Italia, prima dell'essiccazione si effettua la feidatura, cioè si umettano leggermente gli stimmi con olio extravergine di oliva. Lo zafferano, nonostante l'apparenza, è una pianta molto resistente: sopporta temperature invernali anche molto basse, tanto che la sofferenza per la pianta può cominciare soltanto da una temperatura da -12 gradi in giù, mentre normali neve e gelo non la disturbano. Anche d'estate, il bulbo che ci dona l'oro rosso non ha problemi a causa del caldo. Considerato che richiede una bassa piovosità, per evitare i ristagni d'acqua che sembrano essere uno dei pochi veri attentatori della sua salute, l'Italia è una zona climatica perfetta per la sua coltivazione. Che ha anche sviluppato, unica nel panorama agricolo mondiale, una tecnica virtuosa. La tecnica di coltura dello zafferano può essere, infatti, di due tipi: annuale o poliennale. Solo lo zafferano italiano proviene da coltura annuale, un tipo di lavorazione che richiede più manodopera e anche per questo il vero zafferano, coltivato con tecniche antiche che garantiscono maggiore qualità, costa di più. La tecnica di coltura annuale consiste in questo: ogni anno, i bulbi tuberi vengono prelevati dal terreno in cui si trovano e rimessi a dimora in un nuovo appezzamento di terreno. Innanzitutto, in questo modo il bulbo viene controllato ogni anno dalle mani che lo coltivano: durante questo espianto e reimpianto si può verificare se ci sono piante malate e, in caso positivo, separarle dalle altre, così evitando che si diffonda il parassita (mai come in questo periodo di pandemia da coronavirus possiamo comprendere quanto possa essere importante l'isolamento del malato a scopo di tutela). Il bulbo a coltura annuale, poi, ha possibilità di essere mondato, cioè se ne elimina la tunica prima di ripiantarlo al massimo pochi giorni dopo.I bulbi vengono trasferiti su un terreno che, per risultare più nutriente del precedente, deve essere preparato correttamente: arato per circa 30 centimetri di profondità e concimato con letame bovino, dopo essere stato ripulito dalle erbe infestanti. Tutto questo si traduce in un terreno più ricco per la pianta, che produrrà stimmi più lunghi e più pregiati. Questa tecnica richiede molto lavoro, oltretutto concentrato nel periodo di luglio e agosto, ed è un lavoro che può essere svolto soltanto manualmente. La coltura annuale dello zafferano è l'esempio perfetto di una economia agricola «sovranista», che crea lavoro grazie alla tradizione e che, sempre grazie al rispetto di quest'ultima, garantisce una produzione di maggiore qualità rispetto a quella meccanizzata. La coltura poliennale prevede, infatti, che questo trattamento di rimessa a dimora in nuovo terreno venga effettuato ogni 4 ma anche 7 anni: è una coltura che costa di meno, al produttore e al consumatore, perché richiede meno manodopera ed è di minore qualità. Ed è un vero peccato gestire in questo modo così depauperante una pianta che di suo è ricchissima: lo zafferano contiene ben 150 sostanze aromatiche volatili che compongono il suo olio essenziale e che gli donano le sue caratteristiche organolettiche. Il colore giallo oro che lo zafferano trasferisce anche sugli altri alimenti con i quali entra in contatto deriva dalle crocine, che sono solubili in acqua e grassi. Dal safranale deriva l'aroma: la degradazione della zeaxantina dà luogo alla picrocrocina che a sua volta degrada diventando l'aldeide terpenica volatile safranale, con notevoli proprietà antiossidanti. Il gusto dello zafferano è dato dalla picrocrocina: durante l'essiccamento essa libera l'aglicone (che, perdendo una molecola d'acqua, darà al luogo al safranale). È grazie alla picrocrocina che lo zafferano ha quel suo tipico gusto leggermente amaro.Con la cosmetica naturale che prende sempre più piede, lo zafferano, dotato di notevoli proprietà antiossidanti, è entrato a far parte anche degli ingredienti di bellezza. Creme viso, bagnoschiuma, c'è di tutto e di più. Ma il suo maggiore consumo è quello alimentare. Non bisogna esagerare: pensate che 20 grammi di zafferano al giorno possono anche risultare mortali. Per fortuna, ne basta molto molto meno per preparare un perfetto risotto alla milanese o per colorare e dare aroma a qualsiasi altra ricetta. Una cosa che sanno in pochi, infatti, è che noi italiani con lo zafferano non coloriamo soltanto il risotto giallo: tra i prodotti tipici del nostro territorio, seppur non conosciutissimo - anche per via dell'omologazione alimentare che spesso lascia colpevolmente sconosciute a livello nazionali eccellenze microlocali - c'è per esempio il formaggio siciliano Piacentinu ennese dop, presidio Slow Food e tipico della zona, in provincia di Enna, tra i monti Erei e la valle del Dittaino, situata tra 400 e 800 metri sul livello del mare. Fin dai tempi antichi, il latte degli allevamenti ovini che lì sono sempre stati numerosi viene unito allo zafferano, coltivato sempre nella stessa area, per realizzare il gustoso e profumato piacentino giallo-arancione. Se siete amanti del francese Mimolette, degli inglesi Cheddar, Leicester e Gloucester, tinti con l'annatto, o dello spagnolo Queso de afuega'l pitu roxo, tinto con la paprika, non potete non apprezzare anche il Piacentinu ennese. Piacentinu vuol dire “che piace" nel dialetto di Enna, e ci crediamo che piaccia questo pecorino giallo e aromatico, formaggio storico che ancora pochi produttori oggi realizzano secondo tradizione cioè soltanto con latte crudo, caglio naturale e zafferano locale.La provenienza dello zafferano, ovviamente, è molto importante: non ci stancheremo mai di ripetere quanto sia fondamentale acquistare quello italiano. La produzione mondiale di zafferano e di circa 178 tonnellate annue: il 90% è prodotto dall'Iran, il restante 10% da India, Grecia, Marocco, Spagna, Italia. La nostra esportazione non è piccolissima, tra il tritato e non polverizzato e il tritato e polverizzato, noi ne esportiamo per 551.202 euro. Solo che ne importiamo per 22.937.838 euro, che corrispondono a circa 22.472 chilogrammi di zafferano. A livello mondiale, ahinoi, importiamo troppo ed esportiamo troppo poco: i maggiori esportatori sono gli iraniani, seguiti a ruota degli spagnoli. Anche per questo motivo, comperare italiano (più domanda può creare più offerta) diventa sempre più importante: la nostra forbice produttiva sta tra i 450 e i 600 chili annui di produzione, con circa 320 imprese agricole attive nella produzione di zafferano, solitamente di piccole e medie dimensioni. Sarebbe bello se aumentassero, imprese e chili prodotti. Non serve molto zafferano per usufruire delle sue proprietà, ricordatelo: acquistato in polvere o in pistilli - costa sempre lo stesso perché il peso è uguale - una bustina solitamente ne contiene dai 125 ai 150 milligrammi, che bastano per un risotto alla milanese per quattro persone.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/evviva-lo-zafferano-la-pianta-carissima-da-usare-pochissimo-2645497868.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-marchesi-a-cracco-ecco-il-miglior-risotto" data-post-id="2645497868" data-published-at="1757772420" data-use-pagination="False"> Da Marchesi a Cracco, ecco il miglior risotto Il risotto alla milanese di Gualtiero Marchesi, con la geniale aggiunta cromatica e anche materica della foglia d'oro è, a nostro avviso, il momento più alto della storia della cucina italiana d'autore che rivisita la tradizione. Ne abbiamo già dato la ricetta, insieme a quella della variante alla curcuma, nella Verità del 10 dicembre 2018. Perciò, questa volta ci dedicheremo al risotto alla milanese secondo Carlo Cracco, a nostro avviso il vero erede di Marchesi. È tratta dal suo bestseller Se vuoi fare il figo usa lo scalogno. «Ingredienti per 4 persone: 240 grammi di riso Carnaroli, 80 grammi di burro, 30 grammi di cipolla, 40 grammi di grana, 2 litri di brodo di manzo, 1 bicchiere di vino bianco, 1 midollo, zafferano in pistilli (circa 10 pistilli per persona), sale e pepe bianco. Preparazione e cottura: 30 minuti circa. Attenzione: nella tradizione lombarda si usa il riso Carnaroli, un riso che ha un chicco grande e robusto. Però, se volete provare qualcosa di diverso, usate il Vialone nano, che è un prodotto fantastico con un chicco piccolo e di forma ovale. Attenzione però: è molto più difficile da cuocere e da mantecare!». «Cominciate tritando la cipolla molto fine (se volete fare i fighi usate lo scalogno). Fatela cuocere con 30 grammi di burro a fuoco molto dolce, per circa 7-8 minuti, finché non risulta stracotta ma bianca. Unite il riso e tostatelo leggermente a fuoco medio per 2 minuti, quindi aggiungete i pistilli di zafferano e tostate ancora per circa 1 minuto. La tostatura del riso è importantissima, perché è come la rosolatura della carne quando si fa un arrosto: serve a sigillare il chicco in modo che cuocia uniformemente». «A questo punto versate il vino bianco che dovrà evaporare a contatto con la casseruola calda. Una volta evaporato, bagnate con il brodo di carne che avrete preparato in anticipo e salate leggermente. Cuocete il riso per circa 14-15 minuti, versando il brodo a mano a mano che si asciuga. Potete anche usare la farina di riso (un cucchiaio raso ogni due persone, come elemento «legante» del risotto), aggiungendola quando mancano solo 3-4 minuti al termine della cottura. Spegnete il fuoco, mettete da parte la casseruola e lasciate riposare per circa 1 minuto, poi mantecate con il resto del burro e grana, aggiungete due giri di pepe e se necessario aggiustate di sale». «“Mantecare" significa “legare" il risotto, in maniera da renderlo lucido, omogeneo e soprattutto morbido, perché così sarà ancora più buono. Il modo migliore per farlo è muovendo la casseruola finché il risotto crei delle “onde", per evitare di rompere i chicchi. Se necessario, in questa fase versare ancora un po' di brodo. Una cosa che mi piace aggiungere nel risotto, togliendo eventualmente un po' di burro, è un cucchiaio di olio extravergine di oliva buono: dà un po' di profumo e un po' di freschezza al piatto. Nel mio ristorante servo il midollo al centro, dopo averlo cotto su una piastra particolare. Il mio suggerimento per una preparazione domestica è di sgorgarlo sotto l'acqua (cioè sciacquarlo per pulirlo dal rosso del sangue e renderlo bianco), tagliarlo a cubetti e aggiungerlo al momento della mantecatura». Ecco, sempre secondo le indicazioni di Cracco, come fare il brodo di carne: «Togliete la prima pelle della cipolla, tagliatela a metà, quindi infilzateci dentro 2 chiodi di garofano dalla parte del gambo e fatela tostare in una padella antiaderente senza grassi. Quando la cipolla nella parte tagliata sarà bruciata, mettetela nella pentola assieme a sedano, carota, eventualmente del porro e un mazzetto guarnito di prezzemolo. Sapete perché bisogna far bruciare la cipolla? Serve a far diventare il brodo più chiaro e non torbido. Riempite una pentola con 5 litri di acqua fredda, 1 chilo di biancostato (un pezzo che costa poco, misto e con ossa) e un pugno di sale grosso (30 grammi circa). Se dovete fare il brodo, partite sempre con acqua fredda, perché tutti gli elementi che metterete potranno sprigionare al meglio le loro proprietà. Al contrario, se fate un bollito, dovrete partire con acqua bollente e poi immergervi tutti i vari pezzi». «Lasciate cuocere per tre ore e con l'aiuto di un mestolo ripulite la superficie dalle varie impurità. Una volta passate le 3 ore, recuperate le verdure e la carne separatamente e fatele raffreddare. Il brodo in più lo potete anche mettere in congelatore con un'etichetta con nome e data di produzione. Una volta che la carne è tiepida, pulitela dal grasso in eccedenza e dalle ossa, tagliatela a julienne, come pure le verdure, e condite con olive, capperi, un filo d'olio, sale e pepe. È un'ottima insalata mangiata anche fredda». Infine, il tocco dello chef: «Se con il risotto siete già più che esperti e sicuri di voi, potete aggiungere un sapore e una consistenza che arricchiranno il vostro piatto. Prendete un bel mazzo di coriandolo (10 grammi), fatelo sbianchire tuffandolo in acqua bollente per pochi secondi e poi raffreddandolo in una ciotola con ghiaccio. Questo serve a mantenere il colore vivo. Asciugatelo, frullatelo in un mixer con un po' di acqua, quindi passatelo al setaccio. Mettetelo in un pentolino e aggiungete 2 grammi di agar agar con 1 litro d'acqua, portandolo poi a ebollizione. Colatelo in una placca in maniera da formare un velo abbastanza sottile (al massimo alto 1-2 centimetri), coppatelo con un coppapasta numero 4 e, una volta che il vostro riso è sul piatto, adagiatevi sopra questo disco di gelatina. Se volete stupire ancora di più i vostri commensali, una volta rappresa, frullate la gelatina per dare una consistenza cremosa e distribuitela sul piatto col cucchiaio. Infine, come ultimo tocco, prendete un nocciolo di nespola (la stagione di questo frutto va da marzo-aprile fino a giugno) e grattugiatelo sopra il risotto con l'aiuto di un microplane, una grattugia moderna che serve a non far ossidare i cibi».
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)