2025-05-13
L’Europa si rimette di traverso: «Mosca bluffa, ora altre sanzioni»
Kaja Kallas ed Emmanuel Macron (Ansa)
Macron prova a sabotare il bilaterale di Istanbul, i leader riuniti in Inghilterra invitano a diffidare dello zar. La solita Kallas accusa: «Gli invasori continuano a bombardare». E i polacchi aprono una crisi diplomatica.Offerta di Indra, sostenuta dal governo di Madrid, per la divisione militare di Iveco. Leonardo e Rheinmetall avevano proposto il doppio degli iberici: 1,5 miliardi.Lo speciale contiene due articoli.I ministri degli Esteri europei «accolgono con favore gli sforzi di pace» degli Usa. Ma in realtà, i leader del Vecchio continente faticano a celare l’insofferenza per l’ipotesi di un incontro tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, dopodomani in Turchia. Il copione non cambia: Donald Trump cerca di intensificare la pressione su Mosca per arrivare a una soluzione; loro, di rinviare il momento in cui, all’atto di siglare la pace, sarà messo nero su bianco che la guerra contro la Russia è perduta. E che l’hanno persa l’America di Joe Biden e l’Europa delle Ursula von der Leyen, delle Kaja Kallas, degli Emmanuel Macron.Proprio il presidente francese, domenica sera, tuonava: niente vertice a Istanbul senza prima un cessate il fuoco. L’inquilino della Casa Bianca, invece, spingeva per lo storico colloquio anche in assenza di una tregua al fronte. Zelensky ha dato retta all’americano: sarebbe disposto a vedersi con lo zar in ogni caso (e il tycoon potrebbe seguirlo). Una mossa intelligente, che ha costretto il Cremlino a scoprire le carte, con una fumosa predica contro «il linguaggio degli ultimatum». Soprattutto, una sberla al galletto che, insieme al tedesco Friedrich Merz e al britannico Keir Starmer, si era fiondato a Kiev per catechizzare il capo della resistenza. Così, mentre il presidente ucraino confida che si avvicini la fine della guerra e Recep Erdogan assicura che farà ogni sforzo con il «caro amico» Trump, l’inquilino dell’Eliseo s’industria per piazzare qualche mina. Evocando, ad esempio «ulteriori sanzioni» a danno dei russi.Bruxelles è sintonizzata sulla medesima lunghezza d’onda: domani gli ambasciatori dei Paesi membri si riuniranno per discutere del diciassettesimo pacchetto di contromisure economiche, che prevede di inserire nella lista nera europea le navi della flotta ombra di Mosca, oltre che di colpire le attività ibride della Federazione, le violazioni dei diritti umani e l’uso di armi chimiche. Più facile a dirsi che a farsi. Il punto politico, però, è cristallino: la guerra deve andare avanti. La versione delle cancellerie è che Putin bluffa. L’Alto rappresentante, Kaja Kallas, ha accusato la Russia di continuare a «fare giochetti», mentre insiste a bombardare. «Bisogna essere in due per fare la pace», ha lamentato. Morale della favola? Servono ulteriori sanzioni. Anche dalla riunione del gruppo Weimar +, che si è svolta ieri a Londra, è emerso un sentimento di «scetticismo» verso le parziali aperture del Cremlino: sono una «mossa tattica», tagliavano corto fonti diplomatiche; «la Russia non ha mostrato alcuna seria intenzione di compiere progressi» verso la pace, accusava il testo delle conclusioni. Giorgia Meloni ha lodato Zelensky per la sua scelta di offrirsi al bilaterale con il presidente nemico. E il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha insistito: non c’è da fidarsi di Putin. Può darsi abbia ragione. È evidente che Oltrecortina puntano a tirarla per le lunghe, sperando di blindare le posizioni sul terreno, oppure di scucire amplissime concessioni a un Trump esasperato. È anche vero che resta da sbrogliare quello che lo zar considera il vero nodo: lo status della Federazione quale potenza dotata di una sfera d’influenza che l’Occidente - pretendono i russi - dovrebbe impegnarsi a non insidiare. Tanto per contribuire al disgelo, poi, la Polonia ha chiuso il consolato di Mosca e ha convocato l’ambasciatore, per chiedere conto delle risultanze di un’indagine che attribuisce a sabotatori di Putin la responsabilità di un incendio in un centro commerciale a Varsavia, avvenuto nel 2024. L’atteggiamento dell’Europa, per di più, apre una breccia in cui potrebbe infilarsi la Cina. La quale, come Macron e l’Ue, condivide il proposito di ostacolare il riavvicinamento tra Mosca e Washington. Era il senso della presenza di Xi Jinping alla parata russa per celebrare gli 80 anni dalla vittoria sul nazismo; anche perché, vista la situazione, il Dragone, blindando il suo rapporto speciale con la Russia, la ridurrebbe a un comodissimo Stato vassallo. Ieri, Pechino ha sollecitato un «accordo di pace vincolante», mentre il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha sottolineato che la proposta di Putin per una trattativa diretta con Zelensky ha «il sostegno dei leader di molti Paesi», inclusi i Brics. Interlocutori preziosi per il credito di cui godono presso lo zar. Tuttavia, aggiungere altri posti a tavola renderebbe più arduo raggiungere un accordo vantaggioso. Su di esso, finirebbero per pesare gli appetiti dei troppi commensali.Vale sempre lo stesso ragionamento: c’è chi, con fatica, prova a ricavare un sentiero per negoziati risolutivi; e c’è chi va a caccia di motivi per tenere aperte le ostilità. A che scopo? Coprire uno smacco strategico epocale e giustificare, in nome della minaccia russa, il piano miliardario per il riarmo. In ballo ci sono gli investimenti delle aziende della Difesa in Ucraina; la task force dell’Ue per integrare le rispettive industrie; la Von der Leyen che incontra i campioni del settore; le Borse che calano ai primi segnali di distensione; la rincorsa di Parigi e Londra per intestarsi la guida del continente manu militari. «Pace disarmata e disarmante»: se qualcuno ascoltasse il mite ruggito di Leone...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/europa-negoziati-ucraina-2671938579.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-spagnoli-vogliono-salire-su-iveco" data-post-id="2671938579" data-published-at="1747078310" data-use-pagination="False"> Gli spagnoli vogliono salire su Iveco Il gruppo spagnolo Indra ha presentato un’offerta non vincolante per acquistare la divisione militare di Iveco, come riporta El Economista, citando fonti di mercato. L’unità, specializzata in veicoli blindati e controllata da Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, ha un valore stimato attorno al miliardo di euro. Di per sé non è una novità. Da anni Exor vorrebbe vendere, ma la trattativa di quatro anni fa con i cinesi non ha mai marciato visto la spada di Damocle del Golden power. Ora la mossa di Indra arriva mentre la competizione si fa serrata: appena una settimana fa, Leonardo e la tedesca Rheinmetall hanno messo sul piatto 1,5 miliardi di euro, secondo quanto dichiarato dall’ad di Leonardo, Roberto Cingolani. Le fonti riferiscono che l’offerta spagnola si aggirerebbe su circa la metà di quella della cordata italotedesca. Partecipata al 28% dal fondo sovrano Sepi, Indra può contare sull’appoggio del governo di Madrid, deciso ad aumentare la spesa per la difesa di oltre 10 miliardi di euro nel 2024. L’interesse per Iveco defence vehicles - fornitore chiave dell’esercito spagnolo, a cui procura tra l’altro la flotta di camion - rientra nella strategia di rafforzare l’industria nazionale e consolidare il ruolo del gruppo nel panorama europeo della difesa. L’annuncio delle offerte ha mosso i mercati in modo contrastante. Iveco ha guadagnato il 6,45% a 15,6 euro, spinta dall’interesse crescente sull’operazione. Al contrario, l’intero comparto Difesa ha subito vendite: segnali di distensione geopolitica, dal cessate il fuoco tra India e Pakistan ai dialoghi tra Ucraina e Russia, hanno raffreddato l’entusiasmo degli investitori. Così, mentre gli indici europei beneficiavano delle speranze di un riavvicinamento tra Usa e Cina, i titoli della Difesa hanno chiuso in rosso. La corsa per Iveco defence vehicles mette in evidenza il fermento che attraversa oggi l’industria europea della Difesa. Da un lato, Indra punta a rafforzare la propria presenza globale con il supporto politico di Madrid; dall’altro, Leonardo e Rheinmetall difendono il loro primato sul continente. Ma a decidere l’esito non sarà solo la cifra offerta, bensì la capacità di integrare l’asset in un contesto geopolitico e industriale in continua evoluzione. Come spiega il quotidiano spagnolo, Iveco defence vehicles rappresenta un asset strategico di primo piano nello scenario europeo e si integrerebbe pienamente nel piano di crescita di Indra, che punta a diventare un attore di riferimento nel comparto Difesa, in particolare nel segmento dei veicoli terrestri. In passato, anche altri grandi nomi del settore - dall’alleanza francotedesca Krauss-Maffei Wegmann e Nexter (riunite in Knds), alla ceca Csg, fino alla britannica Bae Systems e al fondo americano Kps Capital - avevano manifestato interesse per l’acquisizione, ma al momento sembrano essersi sfilati dalla gara. Da parte sua, Iveco group mantiene il massimo riserbo sulle trattative in corso. Ufficialmente, già a febbraio, contestualmente alla presentazione dei conti 2024, il gruppo aveva comunicato l’intenzione di valutare la separazione della divisione Defence nel 2025 tramite uno spin off. In diverse occasioni successive, il management ha confermato che lo scorporo resta l’opzione preferita. Tuttavia, ha sempre lasciato la porta aperta a proposte di acquisizione, sottolineando che ogni offerta sarà attentamente esaminata, pur ribadendo l’impegno a non cedere un asset di tale rilievo a condizioni sfavorevoli. Quello che è certo è che il titolo Iveco nel 2025 ha messo il turbo, spinto dall’interesse per la Difesa. Dall’inizio dell’anno le azioni sono cresciute del 60%. Ora i riflettori sono tutti puntati sui conti trimestrali che il gruppo presenterà il prossimo 15 maggio. Non solo per i numeri del gruppo, ma per il pretendente al trono che verrà scelto.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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