2025-06-08
L’Europa fa muro sui dazi contro gli Usa. Pechino e Washington vicine all’accordo
Bruxelles pensa a possibili alternative, ma per Confindustria bisogna trattare. Emmanuel Macron va in Groenlandia e complica tutto.Serve una convergenza tra maggioranza e opposizione per un progetto di ampio respiro. L’obiettivo è aumentare l’export e ridurre il debito per salvare il Paese dal declino.Lo speciale contiene due articoliLe trattative tra l’Unione europea e gli Stati Uniti sul commercio non stanno andando bene e a Bruxelles qualcuno comincia a preoccuparsi, in vista della scadenza del 9 luglio. In quella data infatti scadrà la sospensione dei dazi del 50% imposti da Donald Trump su tutti i beni esportati negli Usa da parte dell’Ue. La piattaforma negoziale europea si basa sulla rimozione reciproca di tutti i dazi, in ottica zero-per-zero. Una proposta non molto allettante per gli Stati Uniti, che hanno un deficit commerciale enorme e dunque non avrebbero vantaggi da una soluzione di questo tipo, che lascerebbe inalterato lo squilibrio. Nel 2024, l’Ue ha registrato un surplus commerciale con gli Stati Uniti di circa 198,2 miliardi di euro, con l’Ue che ha esportato beni per 531,6 miliardi di euro, mentre le importazioni dagli Usa sono state di 333,4 miliardi di euro. L’amministrazione americana ha già fatto sapere che la proposta, messa in questi termini, non è interessante. Come riporta il sito Politico.eu, alcuni anonimi funzionari europei hanno espresso pessimismo sull’esito del negoziato su queste basi. Ragion per cui, a Bruxelles si sta iniziando a ragionare su proposte diverse. Ma per il presidente di Confindustria Emanuele Orsini «il governo italiano è consapevole che gli States sono il secondo Paese per le nostre esportazione. Quindi serve il dialogo, che piaccia o non piaccia».Nell’incontro di questa settimana a Washington con il neocancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente Trump ha fatto chiari riferimenti al fatto che l’Europa comprava molto gas dalla Russia, sottolineando il fatto che gli USA sono oggi il maggior esportatore di Gnl al mondo. I negoziatori europei, dunque, stanno ragionando su come inserire il Gnl americano nella trattativa sui dazi per formulare una proposta accettabile per la Casa Bianca. Vi è poi la questione dell’acciaio: l’innalzamento dei dazi al 50% su acciaio e alluminio in ingresso negli USA da qualunque paese (salvo Messico e Regno Unito) avrà effetti deleteri sul comparto europeo, che sarebbe spazzato via dall’eccesso di produzione asiatica. In quest’ottica, una collaborazione europea per limitare l’ingresso dell’acciaio cinese nel circuito commerciale occidentale potrebbe avere il duplice vantaggio di proteggere l’industria europea e di piacere a Washington. La Casa Bianca però ha fatto riferimento più volte alle barriere non di prezzo che l’Ue pone all’ingresso nel proprio mercato. Questi ostacoli si annidano nella regolazione dei mercati, dunque Trump si aspetta non tanto di poter esportare di più alcune merci in particolare, quanto di avere parità di trattamento in generale per le aziende americane. Formalmente, il negoziato viene descritto da parte europea come costruttivo. Il rappresentante dell’Ue per il commercio Maroš Šefčovič ha incontrato mercoledì a Parigi l’omologo statunitense Jamieson Greer e le successive dichiarazioni alla stampa erano improntate all’ottimismo.Non gioverà certo alla trattativa la visita che il presidente francese Emmanuel Macron effettuerà in Groenlandia per dimostrare il suo sostegno al territorio autonomo danese, ambito da Donald Trump, come ha annunciato l’Eliseo. Si recherà lì «su invito» del premier della Groenlandia, Jens-Frederik Nielsen.Ma la preoccupazione inizia a serpeggiare a Bruxelles. La Banca Centrale europea ha lanciato l’allarme. Nello scenario «grave», cioè con i dazi Usa al 25% e con relativa risposta reciproca europea, il Pil dell’area euro sarebbe inferiore di uno 0,5% nel 2025, 0,7% nel 2026 e 1,1% nel 2027. con un’inflazione dell’1,8% nel 2027 anziché 2%. Intanto, dall’altra parte, riprendono le trattative tra gli Usa e la Cina. Dopo la telefonata tra Trump e Xi Jinping di questa settimana, il presidente americano ha annunciato per domani a Londra un nuovo incontro tra negoziatori americani e cinesi. «Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, quello al Commercio, Howard Lutnick e il rappresentante Usa per il Commercio, Jamieson Greer, vedranno i rappresentanti di Pechino per l’accordo commerciale» ha scritto Trump in un posto sul social Truth.Mentre i commenti di politici e analisti si concentrano sul possibile raffreddamento dell’economia come effetto della politica commerciale di Trump, sembra sfuggire ai più che quella commerciale è soprattutto una leva negoziale che la Casa Bianca sta utilizzando per allineare l’Occidente in chiave anti-cinese.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/europa-fa-muro-dazi-usa-2672328306.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spetta-pure-ai-dem-spingere-il-pil" data-post-id="2672328306" data-published-at="1749328632" data-use-pagination="False"> Spetta pure ai dem spingere il Pil L’analisi di scenario strategico su come l’Italia potrà mantenere ed accrescere la propria ricchezza nazionale nel cambio di mondo in atto indica un requisito di azione (geo)politica molto preciso: estendere il raggio dell’export italiano (che vale circa il 40% del Pil italiano) coprendolo con accordi bilaterali e multilaterali ed allo stesso tempo aumentare l’attrattività del sistema Italia per investimenti esteri allo scopo di compensare il gap di spesa pubblica per futurizzazione competitiva e detassazione stimolativa dovuto al costo di rifinanziamento dell’enorme debito pubblico (dagli 80 ai 90 miliardi di euro l’anno). Parecchi colleghi ricercatori che condividono tale scenario ritengono come condizione di sua realizzazione la continuità di un governo di centrodestra nel breve termine e nella prossima legislatura in base ad un’analisi che valuta le sinistre italiane incapaci di perseguire la strategia di ricchezza nazionale detta. Concordo, ma aggiungo la necessità che destra e sinistra trovino una convergenza su alcuni punti essenziali di un Progetto nazionale, senza addolcire la loro concorrenza politica, ma evitando disordini interni che compromettano l’interesse collettivo della nazione. Possibile? Negli ultimi mesi sono stato contattato da esponenti centristi delle sinistre e da sindacalisti che mi hanno chiesto dati proiettivi elaborati dal mio gruppo di ricerca euroamericano Stratematica dedicato alla scenaristica globale. Alcuni ricordavano la presentazione del mio libro Formula Italia (Angeli, 2010) a Reggio Emilia organizzata dalle cooperative rosse dove esposi già ai tempi una convergenza selettiva, -cioè su pochi punti, ma essenziali- tra sinistra e destra. Ricordo gli occhi vigilanti di Ivan Soncini durante la presentazione per calmierare eccessi ideologici che nascondessero l’analisi di interessi comuni. Ciò mi fece ricordare -e lo dissi alla platea emiliana- la presentazione del libro Il fantasma della povertà (Mondadori, 1995) scritto con Edward Luttwak e Giulio Tremonti organizzata dal Pds dei tempi nelle Marche: in sala vi fu convergenza sulla ricerca di soluzioni innovative per invertire la tendenza declinante dell’economia italiana. Le idee che esposi in questi ed altri eventi restarono quelle di un liberista e liberale di destra quale sono, ma corrette dal requisito che il capitalismo deve essere di massa e non per pochi. Inoltre, anche istruito dalle ricerche in comune di «Geopolitica economica» con il professor Paolo Savona (1999-2005) integro nell’analisi geopolitica, economia e finanza con metodo sistemico. Quando ricevetti il Premio Capalbio per la letteratura economica (Lo Stato della crescita, Sperling, 2000) -penso grazie a Giuliano Ferrara- in un ambiente dominato dalla sinistra osservai fastidio, ma anche interesse per convergenza con una argomentazione importante di alcuni politici e ricercatori della sinistra stessa: è finito il tempo di un liberismo economico selettivo, ma anche quello di un welfare redistributivo che non funziona per la ricchezza diffusa socialmente. Annotai e intensificai le ricerche su un nuovo modello di welfare, che oggi si trova nei miei scritti come «welfare di investimento» gradualmente sostituivo di quello assistenziale ormai depressivo. Su questo so che ci potrebbe essere confronto con la sinistra, pur non convergenza piena, ma certamente una modernizzazione delle garanzie economiche per aumentare il potenziale di ricchezza nazionale. Tuttavia, è più urgente un confronto tra sinistre e destre su alcuni temi specifici entro un progetto nazionale di convergenza selettiva anche se le proposte referendarie della sinistra sono sconfortanti. Le agenzie internazionali di rating (voto di affidabilità) stanno aumentando la rilevanza dell’ordine politico interno di una nazione per la valutazione delle prospettive economiche. Tale valutazione influenza gli investimenti esteri. Per averne di più in Italia bisognerebbe rendere meno politici gli scioperi (messaggio a Cgil e Uil e non a Cisl) salvo il diritto di farli. Ciò implica un’evoluzione del sindacalismo da azione politica ad iniziative di vera tutela tecnica dei lavoratori. È interesse collettivo che la sinistra razionale spinga quella ideologica in questa direzione. Il governo, via ministero delle imprese (Mimit), sta facendo uno sforzo enorme per risolvere i tavoli di crisi. Mi sembra ovvio raccomandare una convergenza selettiva tra sinistre razionali e destre che mostri alla sinistra bellicista la maggiore convenienza della convergenza stessa per i propri tutelati. Stessa argomentazione per la sicurezza, nel caso l’istituzione di un tavolo di confronto permanente tra maggioranza ed opposizione realistica entro il perimetro di competenza del ministero dell’Interno. Avrei la tentazione di suggerire un tavolo di convergenza in materia di politica estera dove le sinistre esibiscono un europeismo non realistico mentre quello del governo appare esserlo con la formula di duplice lealtà all’Ue e agli Usa nonché la ricerca di un terzo fattore di rilevanza geopolitica ed economica, cioè la centralità nella regione mediterranea costiera e profonda. Ma vi rinuncio perché nei partiti di sinistra prevale l’idea ingenua (forse stimolata dall’esterno) che una dipendenza maggiore da Francia e Germania sia positiva, non valutando la loro tendenza alla compressione dell’Italia: in Europa sì, ma con una nostra capacità autonoma. Ma non posso rinunciare alla ricerca di una convergenza tematica tra sinistra e destra per un’operazione «patrimonio pubblico contro debito» che riduca il secondo nell’arco di 10-15 anni via valorizzazione e vendita di parte del primo. Sarebbe la salvezza dell’Italia tutta. www.carlopelanda.com