2023-09-18
«L’Europa ha dormito. Così i prezzi del gas in inverno risaliranno»
Davide Tabarelli (Imagoeconomica)
L’esperto Davide Tabarelli: «Per contrastare l’inflazione bisognava aumentare l’offerta di energia, inutile adesso alzare i tassi di interesse».Christine Lagarde dalla Bce gira ancora il torchio dei tassi, ora ai massimi, per contenere l’inflazione che non china il capo, ma proietta l’economia europea e italiana in una traiettoria pericolosamente discendente. Possibile che all’Eurotower non sappiano che l’Europa ha fame di energia e che i prezzi di gas, petrolio e carbone sono destinati a salire mentre le rinnovabili sono largamente insufficienti? Il contesto internazionale ha acceso la spia rossa: l’Opec taglia la produzione di greggio per tutto il 2024, la Russia continua a vendere petrolio e gas anche in Europa a prezzi crescenti, il Gnl è in tensione. In Italia si è riaccesa la polemica sui rigassificatori tra Piombino e Vado. Nel suo discorso «sullo stato dell’Unione» Ursula von der Leyen ha insistito ancora sul green deal inseguendo la fata morgana delle emissioni zero. Sembrano lontane le cronache dal fronte delle bollette folli, ma tra qualche settimana potrebbe andare in scena la seconda edizione. A fare questa previsione è Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma Energia, il massimo esperto di energia e certamente il più scientificamente laico. Peraltro Nomisma ha già messo le mani avanti prevedendo che dal 1° ottobre le bollette potrebbero salire dal 7 al 10%. L’inverno in arrivo sarà di nuovo da brividi. Stando a Nomisma sono possibili prezzi internazionali superiori del 40% con le tariffe del gas superiori anche del 20% alle attuali.Previsioni tutt’altro che allegre, c’è da aspettarsi un nuovo pesante dazio energetico?«Ho appena finito di scrivere un documento importante che evidenzia: i prezzi dell’energia restano alti. Ormai da decenni non riusciamo a mettere mano a una seria programmazione energetica, non tenendo conto che non abbiamo affatto assorbito la crisi del ‘22 e che la tanto annunciata rivoluzione verde non decolla. Ma anche se lo facesse, richiederebbe un così drastico cambiamento, di cui non conosciamo proporzioni e conseguenze. Sappiamo però che adesso la nostra industria, la manifattura, che è il cuore del nostro sistema economico, sta soffrendo, se ne sta andando o sta chiudendo. Come meravigliarsi allora della crescita zero. Sostanzialmente abbiamo fatto pochissimo per cambiare il paradigma energetico».La Von der Leyen insiste sul green deal e sulle rinnovabili. È una prospettiva possibile?«Non funziona così. Si doveva pensare in Europa, e anche in Italia, se si vuole davvero puntare sulle rinnovabili che comunque vanno incrementate, ma con la consapevolezza che non saranno mai sufficienti a sostenere industria, mobilità e sviluppo delle filiere nazionali: dai materiali alle tecnologie. Fare politica energetica significa anche questo. Invece i pannelli fotovoltaici, le pale eoliche sono tutti tributari della tecnologia cinese e delle materie prime cinesi. Vedo che l’Enel sta provando a fare uno stabilimento al Sud per i pannelli, ma competere con i cinesi su questo terreno è impossibile. Loro hanno costi di manodopera e di produzione non sostenibili per noi. E poi vanno sparati a costruire gli impianti per le rinnovabili utilizzando le energie fossili e soprattutto il carbone. Tanto per dare un dato: la Cina sta costruendo centrali a carbone, che è il più inquinante di tutte le fonti energetiche, per 50 gigawatt nel solo primo semestre di quest’anno. Noi ne abbiano 13 e le stiamo chiudendo».Sempre la presidente della Commissione europea ha posto il tema del dumping che la Cina fa sulle auto elettriche... «Quando parliamo di auto elettrica si avvertono strane elucubrazioni. È un successo senza precedenti il 3% di vendite? È dal 2019 che abbiamo cominciato a fare politiche d’incentivazione, ma si continuano a non vendere: in Italia siamo a 300.000 vetture solo elettriche. Continuiamo a spendere tanto per le colonnine raccontando che con le auto a batteria si salva il pianeta, eppure non se ne vendono. La gente vuole mobilità a basso costo, vuole auto grandi e sicure e la certezza di poter fare tanti, tanti chilometri. Un conto è una mobilità urbana di due pensionati che girano con una vetturetta elettrica, un conto è la vera mobilità a cui nessuno è disposto a rinunciare. Quanto ai cinesi, è lo stesso discorso dei pannelli e delle pale eoliche: costruiscono a basso costo, hanno la tecnologia, usano il fossile per fare l’elettrico, comandano sulle batterie e quindi vendono a basso costo. Pensare di competere però con i suv americani, con la nostra Panda che è un gioiello perché costa poco, va bene e va lontano e tutti se la possono permettere, o con le auto tedesche di media-grossa cilindrata, è un altro discorso. Io non credo che tra vent’anni il parco auto sarà molto diverso da questo e che le auto tedesche a batterie ci avranno colonizzati. Anzi sono convinto che la scadenza del 2035 per l’abbandono del motore endotermico sarà rivista». Dunque diesel e benzina hanno ancora lunga vita? Ma il petrolio non doveva finire?«Di petrolio ce n’è ancora tantissimo e chi prevede che finirà mi deve portare i conti. Non credo che avremo scenari alla Blade Runner con le macchine volanti. Ci sarà e già c’è qualcuno che ha la sua casetta con in giardino il pannello fotovoltaico che ricarica l’auto a batteria, ma la percorrenza è e resterà limitata. È la fisica della particelle a dircelo. Poi certo io viaggio volentierissimo con il treno ad alta velocità e quella mobilità può essere alimentata da fonti rinnovabili ed è sicuramente un enorme progresso ingegneristico. Ma pensare alle grandi navi o agli aerei che volano a batteria non è nell’ordine delle cose. Il limite è dato dal peso delle batterie e dalla loro autonomia. C’è stato un grande progresso con i tram a Milano e con il trasporto a fune sulle Alpi, eravamo a fine Ottocento e non hanno avuto bisogno di Elon Musk. Negli anni Sessanta la mobilità era fatta dalla 500 che aveva 27 cavalli, oggi ci sono motori da 100 cavalli che consumano pochissimo ed emettono ancor di meno: il futuro è ancora il diesel».E sulle case green quale futuro ci attende?«Anche questo è un altro dei punti del green deal su cui va fatta chiarezza. Siamo in mano alle pompe di calore, che sono un’altra delle infatuazioni per l’elettrico. Anche qui ci sono dei limiti: le pompe di calore funzionano bene fino a 50 gradi ed è necessario che le case siano ipercoibentate. Se si istalla una pompa di calore, che tra l’altro costa un sacco di soldi, su una casa vecchia, magari in pietra, non ce la fa. Dunque la pompa di calore va bene per chi si può permettere la casa nuova».La rivoluzione verde dunque può attendere?«L’hanno sempre chiamata rivoluzione e quello dovrebbe essere. Ma è complicata. Per i Frans Timmermans è diventato il problema dei problemi, ma lui faceva il suo mestiere di politico di sinistra orfano delle grandi battaglie sociali, del lavoro, della scuola, dell’uguaglianza, e si è messo a fare l’ecologista. Come il Pd, che invece di parlare di scuola, di salario, di occupazione, si è messo ad occuparsi e a preoccuparsi di cambiamento climatico, di salvare il pianeta. Evidentemente sono sicuri che sia l’uomo a causare il cambiamento climatico. Ecco, il problema è sapere se ne sono davvero sicuri». Lei pensa che i prezzi dell’energia aumenteranno? Ma questo non alimenta l’inflazione che la Bce continua a volere combattere a colpi di rialzo dei tassi? «Quando vedo la Lagarde che alza i tassi così, mi chiedo se abbia ben presente il problema dell’energia. Per combattere l’inflazione ci sono due strade: o comprimi la domanda o allarghi l’offerta. Noi abbiamo perso il 40% dell’offerta che è quella russa. E cosa abbiamo fatto? Nulla. Al Ttf di Amsterdam il gas sta ancora oltre i 35 euro, negli Usa il prezzo è 6 dollari. È chiaro di cosa stiamo parlando? E poi ci chiediamo perché le nostre imprese non riescono a competere? Invece che rialzare i tassi, cerchiamo di fare qualcosa per aumentare l’offerta di energia. I cinesi ci danno giù col carbone. I tedeschi, che sono in stato confusionale con questo governo a semaforo, hanno chiuso il nucleare, moltiplicano i rigassificatori, ma continuano a bruciare carbone. Il mercato del gas naturale liquefatto è in tensione, noi stiamo qui a disputare sul rigassificatore a Piombino o a Vado. Mi pare che non ci sia la percezione del rischio».Rischio che invece c’è?«Sì e ci tocca sperare in un autunno mite e in un inverno caldo. Per fortuna, pensa cosa mi tocca dire, che c’è un po’ di rallentamento del manifatturiero, altrimenti avremmo problemi seri. L’Europa, calmata la crisi dello scorso inverno, ha dormito!».Allora ha ragione chi dice che serve il nucleare?«Se parliamo di numeri sì: l’unica vera alternativa è il nucleare. Che però continua ad avere molti alti problemi».Lunga vita al petrolio? Lei peraltro ha detto che è la sola energia democratica…«Sapete qual è la vera emergenza ambientale che c’è sulla terra? È la povera gente che non accede a forme di energia moderna, che usa biomasse povere come legna o scarti di agricoltura povera come lo sterco secco, che viene bruciato in ambenti non areati, in stufe rudimentali, con i bambini che respirano fumi e particolato che ammazza i polmoni e senza la possibilità di sviluppare un’economia efficiente. Portare dei prodotti petroliferi o il Gpl a queste popolazioni significa migliorare loro la vita. Questa è la prima manifestazione del vantaggio del petrolio. Che è quello che serve ai carrarmati dell’Ucraina, agli aerei dei turisti che arrivano a frotte, alle ambulanze. Che muove i trattori o le motozappe in Africa. Non c’è alternativa per ora all’utilità e duttilità del petrolio, alla capacità di stoccaggio, all’abbondanza. Chi contesta questo portasse, se ne è capace, delle alternative».
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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