2023-09-21
Prodi incensa e spinge l’euro digitale. «Ma tecnicamente non so come si fa»
Per l’ex presidente del Consiglio è un’iniziativa che va portata avanti a ogni costo: «Altrimenti è un guaio». Giorgio Gobbi (Bankitalia): «Segue i nuovi strumenti di pagamento». Alessandro Agnoletti (Nexi): «Cina avanti con l’e-yuan».«L’euro digitale non crea un’alternativa, non è una criptovaluta: è l’euro, trattato in modo del tutto diverso. Sul piano tecnico, io, modestamente, sono del tutto ignorante... Ma se noi ne restiamo fuori, è un guaio». Romano Prodi, ex presidente del Consiglio, esalta l’introduzione dell’euro digitale ma, allo stesso tempo, ammette la sua totale ignoranza in materia. Spiega di non avere competenze tecniche per comprenderlo ma, dal momento che si tratta di euro, è comunque un’iniziativa che bisogna portare avanti a prescindere. L’ex presidente del Consiglio ne ha parlato a Milano, martedì scorso, a palazzo Castiglioni, in occasione dell’evento «Lutech Talks - Il cammino verso l’euro digitale», dedicato alla trasformazione che riguarderà nel prossimo futuro la valuta continentale e la sovranità digitale della Ue.Di sicuro - assicurano all’unisono tutti i relatori - l’euro digitale non sostituirà la moneta introdotta nel 2002. Dovrà integrarla e sarà utilizzabile solo in alcuni casi. Il problema è che i rischi sono molteplici, anche perché, oltre alla tutela della privacy, la capacità di utilizzarlo (essendo una moneta digitale dovrebbe essere accessibile a tutti), la gratuità del servizio (le transazioni non dovranno costare), ci sono anche potenziali effetti destabilizzanti sull’economia: dovrà essere un mezzo di pagamento e non una riserva di valore.Ma come verrà usata all’estero? Di piattaforme, al momento, non se ne vedono. Insieme con Prodi c’era anche l’amico Alberto Forchielli di Mindful capital partners, noto soprattutto per la sua conoscenza delle piazze d’affari asiatiche. Forchielli rimarcherà più volte, durante i suoi interventi, i passi avanti fatti dalla Cina sullo yuan digitale, l’E-yuan. «Siamo in ritardo rispetto ai cinesi di almeno 5 anni», sostiene l’ex numero del fondo Mandarin. Alessandro Agnoletti di Nexi, vero e proprio esperto in materia, impegnato su più tavoli da Francoforte a Roma per realizzare la nuova moneta, lo conferma: «Quest’anno chiudiamo l’investigazione che è durata due anni, se decidiamo di proseguire nella fase successiva serviranno altri tre anni di preparazione dove si andrà a costruire tutta la macchina di funzionamento per pagare l’euro digitale». In sostanza, se mai vedremo l’euro digitale, accadrà con tutta probabilità verso verso il 2028: uno lasso di tempo dove tutto può succedere. Secondo Agnoletti il primato della Cina è dovuto soprattutto alla politica, per un Paese governato da un solo partito dove i cittadini sono facilmente controllabili. «Abbiamo margine per recuperare», spiega Agnoletti, «ma i cinesi sono capaci di fare test su 120 milioni di persone. E possono anche decidere che i dipendenti pubblici di una certa area vengano pagati solo con l’e-yuan…». Del resto, ci sono ancora diversi problemi tecnici da risolvere in Europa sull’euro digitale. Innanzitutto non è ancora chiaro come la moneta sarà trattata dagli istituti di credito, anche perché in teoria, come dice Forchielli, l’euro digitale dovrà essere custodito dalla Bce.A cercare di fare chiarezza sul tema è stato Giorgio Gobbi, direttore della filiale milanese di Bankitalia. Gobbi cita i numeri. E spiega che in Italia circolano 5,5 miliardi di banconote, con un valore di 197,8 miliardi. In tutto l’eurosistema sono 29,5 miliardi, per un valore complessivo di 1.572 miliardi. Rispetto alle monete, invece, nel nostro Paese se ne contano 17,9 miliardi per 5,1 miliardi di valore. In Europa sono 145 miliardi, con un valore di 32,5 miliardi. Per Gobbi l’esigenza di un euro digitale è dettata anche dal cambio di strumenti di pagamento nell’eurozona. Nel 2016 solo il 46% dei cittadini europei utilizzava strumenti alternativi al contante; a distanza di 6 anni, dopo soprattutto la pandemia, sono diventati il 58%. Va sottolineato che il trend era già incominciato nel 2019. Sono diversi i motivi principali che spingono Bruxelles a investire in un euro digitale, per l’evoluzione del contante, ma anche come simbolo dell’unione monetaria, come per preservare la continuità dei servizi di pagamento o ridurre la dipendenza dai fornitori privati esterni.Ma, allo stesso tempo, Bankitalia avverte anche dei rischi. E ricorda che l’euro digitale dovrà essere usato come mezzo di pagamento e non come riserva di valore. In pratica, sarà un mezzo di scambio, per favorire le transazioni economiche ma non potrà essere un veicolo per la speculazione o l’evasione fiscale. Per questo, si è già parlato in passato, potrebbero essere imposti dei limiti alla quantità di euro digitali che un individuo o un’organizzazione può detenere. Secondo Gobbi, potrebbero esserci impatti anche sugli intermediari finanziari vigilati e sulla trasmissione della politica monetaria e stabilità finanziaria, con la sostituzione dei depositi bancari. Al momento sono 131 i Paesi che stanno lavorando all’introduzione di una moneta digitale, ma solo quattro hanno lanciato un retail del nuovo contante. Oltre alla Cina, sono Bahamas, Giamaica, Nigeria e Caraibi. Gli esempi non sono incoraggianti: in Nigeria, l’eNaira è utilizzato solo dallo 0,5% dei nigeriani. Un vero e proprio flop.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci