2023-01-23
Eugenio Capozzi: «L’Occidente sta diventando sempre più intollerante»
Eugenio Capozzi (fondazionemagnacarta)
Il filosofo: «Da terra delle libertà e dei diritti siamo diventati prima la mecca dei consumi e adesso una società fatta di dirigismo politico e poteri tecnoscientifici totalizzanti».Eugenio Capozzi è professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, e da tempo - libro dopo libro - sta portando avanti una riflessione sulla crisi dell’Occidente e la perdita di identità che ne deriva. Basta dare uno sguardo all’attualità per rendersi conto di come la sua lettura sia più pertinente che mai. In particolare quella proposta nel nuovo saggio Storia del mondo post-occidentale. Cosa resta dell’età globale? (presto in libreria e già disponibile sul sito dell’editore Rubbettino).Professore, lei parla di un mondo post occidentale, quasi che ci fosse stato un fallimento dell’Occidente. Forse però sarebbe più giusto dire che a fallire sia stato un certo tipo di liberalismo che si voleva universale. O no? «L’Occidente nel suo complesso ha creduto che dopo la fine della guerra fredda il mondo, sotto la sua egemonia economica e tecnologica, si sarebbe occidentalizzato, cioè avrebbe prima o poi adottato il suo modello di organizzazione sociale e la sua etica. Ma non è stato così. Come aveva ben visto negli anni Novanta Huntington, i processi di modernizzazione sono cosa ben diversa dall’occidentalizzazione. Le altre civiltà hanno percepito quell’egemonia come una minaccia, e hanno reagito aggrappandosi alle radici della loro identità. Perché il “modello” occidentale, oltre a tecnica e mercato, è consistito nel tentativo di esportare un’idea di diritti svincolata da un’idea condivisa di natura umana, ridotta a puro soggettivismo con velleità pedagogiche. Così le altre civiltà hanno assimilato la tecnologia e il mercato, ma adattandolo alla loro visione del mondo, e costituendo poli di potenza alternativi all’Occidente, e l’età della globalizzazione è stata non un’età di integrazione, ma di frammentazione e crescita dei conflitti».Sembra di capire, leggendo il suo libro, che questo modello si sia imposto con particolare vigore a partire dagli anni di Clinton. Erano sbagliate le premesse o è stata sbagliata l’esecuzione? «L’epoca clintoniana è stata quella in cui, grazie alla fine della guerra fredda e all’euforia della sostenuta crescita economico-finanziaria e tecnologica, si è diffusa la convinzione che non vi fossero più freni alla progressiva integrazione del mondo intero in una prospettiva di indefinita espansione del benessere e delle opportunità. Quella convinzione ha condotto le classi dirigenti statunitensi ed europee a ignorare le cause profonde di conflittualità culturale, religiosa, etnica, economica ancora presenti nel contesto internazionale, e a voler “esportare” il loro modello di società con le buone o con le cattive. Il risultato è stato solo un crescente sentimento antioccidentale nel resto del mondo».Mi chiedo: non è forse ora di avanzare qualche dubbio sul concetto di Occidente come lo abbiamo inteso negli ultimi anni, e cioè totalmente schiacciato sugli interessi americani? «Il problema non sono gli interessi americani, perché tutti gli stati hanno i loro interessi, ma la perdita di forza attrattiva della way of life occidentale. L’Occidente – con tutti i limiti connessi alla sua eredità coloniale e imperialistica – portava in sé l’idea dei diritti naturali dell’uomo come freno invalicabile a qualsiasi potere. Gli ordinamenti degli Stati Uniti, nella loro storia, sono stati per molti versi l’esempio più efficace di questa idea. Ma quando il modello di società proposto o imposto dall’Occidente si è svuotato delle sue radici religiose e filosofiche, diventando semplicemente quello di una società dalle aspirazioni di consumo sempre più elevate, caratterizzate da dirigismo politico, poteri tecnoscientifici sempre più invadenti, relativismo etico, è stato sempre più visto dagli “altri”, a torto o a ragione, come agente di destabilizzazione, corruzione e oppressione. Tanto più che gli “altri” nel frattempo si sono in gran parte affrancati dalla dipendenza economica e tecnologica, e dunque possono contrapporre la loro way of life senza più complessi d’inferiorità».A me pare che qui non si parli soltanto di una perdita di potere da parte occidentale a favore di altri. Qui c’è un profondo mutamento interno: la terra delle libertà sta diventando sempre più intollerante. Come è stato possibile? «Come ha detto Joseph Ratzinger un ventennio fa, l’umanesimo occidentale si è trasformato nella dittatura del relativismo. Se l’idea di diritti soggettivi e di libertà si riduce a un conflitto tra retoriche e narrazioni, queste ultime tendono sempre più ad affermarsi con la forza. I diritti diventano la narrazione dei gruppi culturalmente più aggressivi e prepotenti, imposta a tutti gli altri. Le tecnologie diventano strumenti di sorveglianza, controllo, propaganda onnipresente delle ideologie dominanti. Come possono i popoli di civiltà non occidentale essere attratti da questo modello di società? Anche quando sono governati da regimi autoritari, preferiscono questi ultimi al governo di un autoritarismo estraneo».In questo libro, come in altri precedenti, lei dedica una interessante riflessione al politicamente corretto. Che sembra però essersi molto evoluto, e non riguardare solo la sinistra. Esempio: in tempi di Covid alcune opinioni critiche sono state totalmente cancellate dal dibattito. Che ne pensa? «Non è un caso che la gestione emergenzialistica delle società durante la pandemia – a parte la Cina – si sia tradotta in fortissime limitazioni delle libertà personali e in un aumento enorme dell’invasività governativa soprattutto nei paesi occidentali. L’allarme sanitario generalizzato ha innescato un salto di qualità in una tendenza dirigistica, pedagogica e autoritaria dei poteri politici già esistente. Nelle società opulente, anziane e radicalmente secolarizzate di quello che era il “primo mondo”. l’idea dei limiti al potere viene sempre più accantonata, e il governo attraverso l’emergenza diviene sempre più la nuova normalità. Ma questa tendenza è tipica di società in declino, senza più voglia di crescere e rischiare, ossessionate dalla paura di perdere ciò che si ha. Conferma il quadro di un Occidente in via di ridimensionamento sul piano globale».Purtroppo questa sterilizzazione del linguaggio riguarda anche altri argomenti. Penso alla guerra in Ucraina. Anche in questo caso al minimo accenno di critica scattava l’accusa: putiniano! «Anche la politica dei paesi occidentali rispetto al conflitto russo-ucraino (Nato, G7) sembra confermare sia la fondamentale incomprensione della pluralità e frammentazione del mondo da parte delle classi dirigenti di quei paesi, sia la trasformazione cronica della politica in governo attraverso l’emergenza. Invece di cercare una soluzione diplomatica a una drammatica lacerazione di civiltà in un quadro generale di sicurezza continentale, si è adottato uno schema rigidamente ideologico ed eticistico, fondato su buoni e cattivi, accanendosi nel tentativo di imporre la propria idea di sovranità, diritti, libertà e democrazia ad altre civiltà, dalle quali è sentita come estranea, e imponendo sul fronte interno una narrazione unica, secondo i peggiori esempi della propaganda bellica degli imperi d’altri tempi. Se si pensa all’accesissima contestazione della politica estera statunitense e Nato che ha infuriato nelle società occidentali tra il Vietnam e la guerra irachena, ci si rende conto dell’involuzione della dialettica politica avvenuta nel frattempo».Affrontiamo infine il tema dell’ecologismo, di grande attualità. Siamo nell’era dell’ecologicamente corretto? O siamo di fronte a una sorta di nuova religione? «L’ambientalismo ideologizzato e apocalittico imperante oggi tra le élite occidentali è una tra le principali dimostrazioni dell’involuzione complessiva in atto nella nostra area del mondo. È una religione superstiziosa, figlia del vuoto spirituale lasciato dalla secolarizzazione radicale, fondata sul rinnegamento della centralità dell’umano, sulla colpevolizzazione della vita e dello sviluppo. Un culto che si traduce politicamente in un’ulteriore torsione dirigista e autoritaria, ed economicamente nell’imposizione dall’alto di una decrescita infelice, espiatoria. E non è condiviso da altre civiltà ancora vitali, meno ossessionate da un moralismo sconnesso dalla realtà. Il suo dominio contribuisce solo ad accrescere la tendenza al ridimensionamento occidentale rispetto ad altre aree in crescita, nel quadro di una post-globalizzazione sempre più plurale e conflittuale».
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