2021-05-22
Con l’estate tornano i preti pro immigrati
Oltre ai flussi dall'Africa sono ricomparsi i sacerdoti che si schierano in favore degli arrivi indiscriminati. La curia piemontese attacca la Regione perché si oppone alle redistribuzioni, anziché capire come mai a Ceuta girano foto del Papa con scritto «Venite».Tutti a bordo. Con l'arrivo della bella stagione e della rassicurante tregua regalataci dal virus cinese, irrompe nel dibattito italiano un refrain classico, da crooner: il grande abbraccio ai clandestini (pardon, migranti irregolari). E mentre i virologi da talk show abbandonano mestamente le postazioni acquisite nel prime time, ecco che vengono sostituiti dai professionisti dell'accoglienza diffusa, i benecomunisti involontari che prefigurano un presente (gli esempi sono migliaia) da nuovi schiavi per i disperati in arrivo dall'Africa subsahariana.A dare il via alla nuova stagione è il vescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che giovedì sera ha tuonato: «Il governo centrale si è attivato con le prefetture per identificare opportunità e assicurare disponibilità all'accoglienza di gruppi limitati di persone. Nelle ultime ore una presa di posizione da parte regionale (Regione Piemonte, ndr) ha evidenziato perplessità e sollevato eccezioni. Lo sguardo concentrato su di sé non è mai stato lo stile della gente del Piemonte. L'impegno profuso nel passato non solo non è scusante per un ritiro nel presente ma è stimolo a costruire l'oggi e il domani in continuità con scelte che hanno dato qualità al vivere civile, al sentire umano, alla percezione religiosa della nostra regione».Si potrebbe obiettare che «il vivere» dentro l'ex villaggio olimpico di Torino sgomberato per la disperazione due anni fa non era propriamente «civile» (un centro di degrado, disperazione e malavita dominato dalla mafia nigeriana), ma in fondo non è questo il punto. Piuttosto è singolare il riflesso pavloviano dell'alto prelato, che non ha lasciato passare neppure 24 ore dall'uscita dell'assessore Fabrizio Ricca per innalzare le barricate. Il responsabile della Sicurezza regionale aveva protestato contro la strategia di Luciana Lamorgese di redistribuire al Nord i migranti. «Il Piemonte ha già dato abbondantemente, ora dobbiamo pensare ai piemontesi che devono essere vaccinati», aveva puntualizzato il politico leghista, concludendo con una domanda retorica: «Possono le regioni italiane farsi carico da sole delle ondate migratorie che ci attendono da qui all'estate? Per noi la risposta è no». La polemica nasce dalla passività colpevole del ministro dell'Interno, incapace di ottenere soddisfazione dall'Europa nella sacrosanta opera di redistribuzione degli immigrati e quindi impegnata a ricominciare la dislocazione a pioggia nel Paese già provato dalla pandemia. Tutti a bordo, riecco la vecchia polemica. E come accade nell'ascoltare un'antica canzone, sembra di tornare indietro di un decennio. Per prevedere le prossime mosse basta chiudere gli occhi: Lamorgese insisterà, i 60 stranieri destinati al Piemonte diventeranno migliaia e saranno presi in carico da associazioni e Comuni, il peso dell'operazione finirà per gravare sui territori, la crisi economica (il blocco dei licenziamenti prima o poi finirà) acuirà le diseguaglianze sociali, la guerra fra poveri ripartirà, gli italiani verranno tacciati di «colpevole indifferenza» dai professionisti del buonismo di Stato, da Enrico Letta a Nicola Fratoianni attraverso tutta la sinistra sociale. E si arriverà facilmente alla surreale copertina di Famiglia Cristiana con il titolo «Vade retro Salvini».Purtroppo è tutto scritto e i vuoti appelli alla fratellanza senza alcuna prospettiva di integrazione andranno letteralmente a farsi benedire. La nota polemica delle diocesi piemontesi è firmata non a caso, oltre che da monsignor Nosiglia, dall'incaricato per la Caritas monsignor Piero Delbosco, vescovo di Cuneo, e dall'incaricato per migrantes e missioni Marco Prastaro, vescovo di Asti, titolari della cattedra in termini spirituali ma anche garanti concreti di quel business dei migranti pronto a ripartire nell'estate degli sbarchi. È normale che i sacerdoti siano favorevoli al grande abbraccio, meno che lo facciano per riflesso condizionato senza contestualizzare, se non in un piccolo illuminante passaggio: «Accoglienza di gruppi limitati di persone». Limitati. I monsignori sono i primi a sapere che tirare la corda è pericoloso, ma sembrano costretti a farlo. Il problema è reale, la sua portata è enorme e il Recovery Fund in questo caso non aiuterà. Ancora una volta, in nome dell'accoglienza diffusa, si rischia di frenare in ritardo e di finire dentro il guardail della contraddizione con tutta la fiancata. Qualche tempo fa il vescovo di Bologna, Matteo Zuppi, disse: «La solidarietà è un principio costitutivo dell'Europa». Frase che somiglia a un candelotto a miccia corta. Perché quando i cittadini vedono che è la solidarietà dispensata con ambiguità pelosa (la cattolica Spagna può espellere liberamente, la cattolica Italia deve accogliere acriticamente) finiscono per non credere nelle ricette che arrivano dal pulpito e dubitano della buona fede del predicatore. Più che strapazzare gli assessori regionali sarebbe utile alzare la voce con Bruxelles, aiutare concretamente il governo di Mario Draghi nell'opera di sensibilizzazione del moloch europeo. E finalmente «dire» a Cesare ciò che è di Cesare. È l'unico modo per uscire dall'ambiguità e togliere agli italiani il dubbio che la carità coincida con il business. Quando Papa Francesco sottolinea che «la situazione è inaccettabile e vergognosa» non parla verosimilmente al sindaco di Pinerolo o di San Giovanni Bianco ma a chi guida la Ue voltandosi dall'altra parte. L'altroieri alcuni disperati di Ceuta avevano in tasca immaginette di Bergoglio con la frase: «Venite, vi accoglieremo tutti». Il santo padre usato come testimonial dagli scafisti non dice proprio niente?
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Charlie Kirk (Getty Images)