
La norma spinta dall’associazione Coscioni fa della cultura dello scarto la sola opzione.Corsi e ricorsi della storia? Sì, ma all’insegna del «due pesi e due misure». Correva l’anno 2006 e alcuni amici di Federvita Veneto depositarono una proposta di legge regionale d’iniziativa popolare per «Regolamentare le iniziative mirate all’informazione sulle possibili alternative all’aborto». Si trattava di un’iniziativa per garantire la corretta informazione e divulgazione a sostegno della donna che vive una gravidanza difficile, offrendo a lei e a suo figlio un’alternativa umana, in linea, tra l’altro, con la legge 194 del 1978.La proposta, corredata da più di 20.000 firme di cittadini veneti, pur ottenendo il parere favorevole dell’Ufficio legislativo competente, fu «bloccata» dal parere della Direzione regionale per l’assistenza legislativa, che si espresse in senso contrario considerandola «contraria alla privacy». Le commissioni competenti approvarono a larga maggioranza la proposta (anche con il voto favorevole di due partiti dell’opposizione, Margherita e Per il Veneto per Carraro), la quale poi, misteriosamente, fu insabbiata. Non certo a causa dell’appropinquarsi del termine della legislatura (era iniziata da poco) né per un’eventuale incompetenza della Regione, attenendo la proposta a materie rientranti nelle competenze regionali. Allora per quale motivo fu cassata, nonostante il buon avvio del suo iter? Non se ne è mai conosciuta la vera ragione ma non è arduo immaginarla nella pavidità politica di fronte dell’offensiva ideologica scatenata. Dinanzi alla quale, naturalmente, le gestanti in difficoltà possono aspettare. Non poteva, per venire all’oggi, non tornarmi alla memoria quell’esperienza così amara e ingiusta verso una fascia di cittadine e di cittadini particolarmente fragili, dinanzi ai quali l’inerzia delle istituzioni sul punto rasenta l’irresponsabilità.Per converso, con una velocità sbalorditiva, la proposta di legge dell’associazione «Luca Coscioni» tesa a legalizzare il suicidio assistito, piomba sul Consiglio regionale veneto. Certamente, quanto ai tempi, forte della previsione statutaria regionale che pone il termine dei sei mesi dal deposito per la sua votazione, ma incurante di alcune questioni fondanti che militano per la sua bocciatura. In primo luogo, essa solleva un’immensa questione antropologica che implicherebbe che alla vita, tanto più se fragile e, magari, sofferente, va offerto il massimo della cura, che si traduce, per esempio, nelle cure palliative, nell’assistenza domiciliare, ma non solo. In secondo luogo, ma strettamente connesso con il tema che precede, ciò oblia il problema inerente il sostegno concreto che una società realmente «umana» dovrebbe garantire e offrire ai familiari, o a chi per essi, impegnati nella cura e nell’assistenza alla persona fragile.En passant, mi si lasci annotare che c’è, depositata in Veneto da qualche mese, una proposta di legge regionale incentivante le anzidette misure assistenziali. Come mai langue e le proposte ispirate dalla cultura dello scarto proseguono nel loro iter? In terzo luogo, non si può nascondere l’effetto «voragine» ingenerato dall’approvazione di proposte del tipo di quella della «Luca Coscioni».Come testimoniano i Paesi in cui la proposta legalizzazione è già legge (Belgio, Olanda, Canada), il pertugio apertosi, inizialmente per casi considerati assai gravi, si trasforma presto in una voragine, al punto che perfino molti cosiddetti depressi chiedono di farla finita, in un clima socio-culturale che, fomentando l’individualismo solipsista, condanna alla solitudine e pare offrire la morte come unica soluzione. Ma è davvero così complesso comprendere come i disabili, a partire da quelli più gravi, il malato oncologico o il depresso hanno bisogno di vicinanza, di cura, di premura, di affetto? In quarto luogo, si eccepisce la totale incompetenza regionale nel legiferare in materia, come anche l’Avvocatura generale dello Stato ha evidenziato in un autorevole parere. Per non dire della fuoriuscita, da parte della proposta di legge «Coscioni», finanche dai paletti posti dalla sentenza della Corte costituzionale numero 242 del 2019. Insomma, il quadro è sconfortante, e s’inserisce in una cornice intrinsecamente antiumana, laddove l’essere umano rischia di divenire un mezzo, un oggetto. I consiglieri regionali del Veneto riflettano sulle questioni antropologiche in gioco nella proposta portata alla loro attenzione nell’ormai imminente seduta dell’Aula. È in gioco il grado di civiltà di una comunità e delle sue istituzioni.Pino Morandini, vicepresidente nazionale Movimento per la vita
Piero Amara (Imagoeconomica)
Sul caso delle manovre per affossare colleghi, tra cui Palamara, due laici del centrodestra e un togato vogliono vederci chiaro.
Il caso del presunto inginocchiamento del pm Mario Formisano davanti all’indagato Piero Amara approda al Consiglio superiore della magistratura e potrebbe portare alla riscrittura di un importante capitolo di storia giudiziaria di questo Paese, con tanto di ritorno di Luca Palamara sul presunto luogo delitto, Palazzo Bachelet.
Giacomo Rocchi (Imagoeconomica)
- «Per noi anzi può essere una purificazione», spiega il presidente di sezione della Corte di Cassazione.
- E il capo della Procura di Padova, Antonello Racanelli, invita i colleghi a non far guerra alla politica: «Maggioranza legittimata dal voto, sì alla separazione delle carriere».
Lo speciale contiene due articoli
Al di là degli stereotipi e delle banalità politicizzate, parliamo del rapporto fra le donne e la cucina. Dalla quotidianità ai grandi ristoranti.
Acciaieria Ilva (Getty)
Il cappio della sinistra e dei pm sta uccidendo la più grande acciaieria d’Europa. Un omicidio in nome della salute che affossa il Paese e punisce 6.000 dipendenti.
Quando an che l’ultimo altoforno sarà spento, sulla storia dell’Ilva calerà il sipario e si potrà scrivere un libro per spiegare a scuola le ragioni del declino industriale dell’Italia. Immagino già il ti tolo: Così si uccide un’azienda. Sottotitolo: Eutanasia della più grande acciaieria d’Europa. Perché è questo ciò che accadrà. E a dire il vero sta già accadendo: nei prossimi giorni, 5.700 dipendenti saranno messi in cassa integrazione, poi a gennaio diventeranno 6.000. In pratica, il polo siderurgico di Taranto verrà messo in standby. Nessuno ufficialmente dirà di aver staccato la spina, ma la sostanza è questa. Lo dice il sindacato, che invoca l’intervento dello Stato per evitare la chiusura. Ma se anche il governo volesse, per l’Ilva non potrebbe fare niente, perché 13 anni di inchieste e processi hanno fatto il vuoto intorno alla fabbrica.






