2019-10-11
Erdogan: «Zitti o mando milioni di profughi»
Il Sultano: «Se l'Ue definirà l'offensiva contro i curdi un'invasione, spalancheremo le porte ai rifugiati siriani che vivono in Turchia». Nel primo giorno di operazioni già 60.000 sfollati. La minaccia mostra che le migrazioni sono un'arma, non un fenomeno naturale.Non è la prima volta che Recep Tayyip Erdogan ricatta l'Ue sfruttando i migranti. Solo un mese fa il presidente turco aveva fatto sapere di voler rinegoziare l'accordo firmato a marzo 2016 e una settimana fa il ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer e il commissario europeo uscente all'Immigrazione Dimitri Avramopoulos erano andati ad Ankara per trattare il rinnovo del patto stretto con il Sultano per fermare i flussi dai Balcani. In ballo, e in discussione probabilmente durante il Consiglio europeo della settimana prossima, la terza tranche di 3 miliardi per la Turchia che in cambio dovrebbe tenere chiusi i rubinetti dell'immigrazione.Ma Erdogan è impegnato nell'attacco ai curdi e ieri ha deciso di tirare nuovamente fuori dalla fondina la sua arma preferita per «trattare» con Bruxelles. La Turchia «manderà 3,6 milioni di rifugiati» in Europa se Bruxelles definirà «un'invasione» l'operazione militare lanciata nel Nord della Siria, ha dichiarato il presidente turco intervenendo minacciando di «spalancare le porte» ai rifugiati siriani attualmente in Turchia. «Ehi, Unione europea! Non potete definire la nostra operazione come un'invasione», ha detto: l'unico obiettivo dell'operazione militare turca è quella di «eliminare il terrorismo». Una minaccia che dimostra ancora una volta che le migrazioni non sono fenomeni inevitabili e inarrestabili, ma fenomeni politici che possono essere usati come un'arma di guerra. E dire che, se solo volesse, l'Unione europea potrebbe decidere da sola la questione turca: l'Ue, infatti, rappresenta il 43% dell'interscambio turco mentre la Turchia solo il 4,5% di quello europeo.Erdogan, le cui forze ieri hanno conquistato due villaggi a Ovest di Tal Abyad, sfida tutti. «La Turchia ignorerà le critiche sull'operazione Fonte di pace che abbiamo lanciato contro elementi terroristici mentre più di dieci attori stranieri agiscono liberamente in Siria», ha dichiarato. Poi ha puntato il dito contro il mondo sunnita e i suoi alleati: «Chiedo all'Arabia Saudita di guardarsi allo specchio e di rendere conto di ciò che avete fatto in Yemen». Riferendosi al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, Erdogan ha detto che «l'Egitto non può dire nulla. Ha permesso al democraticamente eletto Mohammed Morsi di morire soffrendo in un'aula di tribunale».La guerra tra Turchia e Siria ha causato 60.000 sfollati in appena un giorno, con il ministero della Difesa di Ankara che ha reso noto di aver colpito 181 obiettivi curdi nel Nord Est del Paese. «I nostri eroici commando che partecipano all'Operazione continuano ad avanzare a Est del fiume Eufrate nel Nord della Siria», si legge in una nota, mentre fonti curde e siriane hanno riferito all'Ansa che alcune cellule dello Stato islamico, risvegliatesi dopo il lancio dell'offensiva turca, hanno sferrato un attacco alle forze dell'Ypg nelle zone di confine. Ieri è stata la giornata delle reazioni internazionali. La Russia chiede che la crisi «si normalizzi il prima possibile, prima di tutto in nome del rispetto del principio della sovranità del Paese e della sua integrità territoriale», come ha riferito il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, ricordando che Mosca «intende promuovere un dialogo fra Damasco e Ankara e anche con le organizzazioni curde» e rivendicando buoni rapporti tra i due Stati. Sempre ieri si è riunito a New York il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite mentre domani si terrà il vertice di «emergenza» della Lega araba.Si muove anche l'Italia. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha convocato l'ambasciatore turco a Roma per manifestare la protesta del governo italiano sull'offensiva anti curda. Il premier Giuseppe Conte ha chiesto via Twitter la cessazione immediata dell'«iniziativa militare unilaterale». La mossa di Erdogan sta causando qualche difficoltà agli Stati Uniti, con il presidente Donald Trump che ha dichiarato che «i curdi stanno combattendo per la loro terra», difendendosi dalle accuse di chi parla di «coltellata alla schiena». Trump ha anche lamentato «l'enorme quantità di soldi» spesa dagli Stati Uniti per consentire ai curdi di acquistare armi e munizioni. E dicendo «i curdi ci piacciono» ma non si può dire che «combattano per noi, loro combattono per la loro terra», li ha di fatto scaricati. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha assicurato che gli Stati Uniti non hanno mai dato il loro via libera alla Turchia, ha ribadito che la missione di sconfiggere l'Isis è stata portata a termine e ha spiegato che le truppe erano in pericolo e dunque sono state richiamate. C'è però a Washington chi non accetta l'iniziativa del presidente.Tra questi, un politico di primo piano del Partito repubblicano, il senatore Lindsey Graham, che ha annunciato di aver raggiunto un'intesa con il collega democratico Chris Van Hollen per dure sanzioni contro Ankara che colpirebbero i settori energetico e militare e che prevederebbero anche il congelamento dei beni della leadership turca negli Stati Uniti e il divieto per loro di viaggiare in America (anche per Erdogan).Queste sanzioni, ha avvertito Van Hollen, «saranno votate non appena il Congresso riprenderà i lavori, la prossima settimana». Ma Trump, deciso a non fare passi indietro rispetto al ritiro delle truppe e convinto che la Turchia possa distrarre da altri dossier la Russia e l'Iran, ha già avvertito: le sanzioni contro la Turchia devono scattare solo se Erdogan non si comporterà «nel modo più umano possibile».
Roberto Burioni ospite a «Che tempo che fa» (Ansa)
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