2023-08-15
Un altro asso nelle mani di Erdogan: scovati i nomi di 10.000 jihadisti
Sequestrato dall’intelligence turca un elenco del Califfato con l’identità di migliaia di terroristi. Il dossier stava per essere venduto all’Iran per 8,5 milioni di euro. Una carta in più per il Sultano da giocare con l’Occidente. Ascolta a questo link il podcast Occhi sul Terrorismo | Tra noi ci sono ancora 10.000 lupi solitari pronti a colpire Martedì 8 agosto 2023 il Millî istihbarat teskilati (Mit), l’Organizzazione nazionale di intelligence turca, e la polizia di Istanbul hanno sequestrato un database segreto dell’organizzazione terroristica dello Stato islamico nel quale ci sono i nomi di quasi 10.000 lupi solitari. Il database è stato per anni il desiderio di tutte le agenzie di intelligence globali visto che contiene informazioni sui terroristi delle cellule dormienti dell’Isis di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Austria e Spagna. L’Italia non sarebbe nell’elenco. Il dossier contiene i nomi e le biografie di 9.952 terroristi oltre ai dettagli segreti sul loro addestramento alle armi e le loro capacità organizzative. Include anche i dettagli della nazionalità, dei membri della loro famiglia e i relativi indirizzi. Si tratta di un grosso colpo per l’intelligence di Ankara e non solo, visto che ora Recep Tayyip Erdogan, già al centro delle trattative sulla guerra in Ucraina e gli accordi sul grano, ha una carta in più da giocarsi sui tavoli che contano. Il dossier ora dovrebbe - il condizionale è d’obbligo - essere condiviso con altre agenzie di intelligence globali come la Cia, il servizio segreto di intelligence MI6 del Regno Unito e il Mossad israeliano, ma non sarà certo gratis per chi lo vorrà consultare. Poco dopo la morte del califfo dell’Isis Abu Bakr al-Bagdadi i servizi segreti di tutto il mondo si misero alla caccia del dossier segreto, ma nonostante le ricerche il dossier non fu trovato nel rifugio del terrorista iracheno che, per sfuggire alle forze speciali americane, si suicidò il 27 ottobre 2019 in una caverna vicino al suo nascondiglio presso Barisha, un villaggio nel nord-ovest della Siria. Sapendo che le agenzie di intelligence internazionali stavano per mettere le mani sul dossier, al-Bagdadi decise di inviarlo in un altro Paese, ma il corriere da lui incaricato all’epoca trattenne il database e riuscì a fuggire. Successivamente gli uomini dell’allora califfo dell’Isis lo catturarono e gli tagliarono entrambi i piedi durante gli interrogatori, e alla fine confessò a chi lo aveva consegnato. Qualche tempo dopo, gli uomini dell’Emni, l’unità di intelligence interna dello Stato islamico, identificarono e localizzarono il membro dell’Isis che custodiva il prezioso database, si dice in Uzbekistan. Così dopo averlo raggiunto lo giustiziarono mentre due suoi complici in Siria venivano decapitati nello stesso momento. Quindi, gli uomini delle forze speciali Usa non trovarono il prezioso elenco perché era già arrivato nelle mani di colui che divenne il successore di al-Baghdadi, ovvero il misterioso Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi morto nell’ottobre del 2022 durante un attacco Usa in collaborazione con gli alleati nella provincia meridionale di Daraa. Al-Qurashi poco prima di morire stava cercando di riguadagnare prestigio personale attivando le cellule dormienti terroristiche dell’Isis in Iraq, Siria e Afghanistan e il progetto successivo era quello di attivarle anche in Europa. Con la sua morte l’operazione si arenò, visto che i suoi successori, identificati in Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi (morto nel 2022) e Abu al-Hussein al-Husseini al-Qurashi del quale l’Isis con una nota ufficiale ha annunciato la morte lo scorso 3 agosto, non hanno avuto il tempo di consolidare la loro leadership. Con la conferma della morte del quarto califfo, si dice per mano dei jihadisti rivali di Hay'at Tahrir al-Sham (già fronte al-Nusra, che hanno però smentito), il portavoce dell’Isis Abu Umar al-Muhajir ha reso noto il nome del nuovo capo dell’Isis, che si chiamerebbe Abu Hafs al-Qurashi, del quale non esiste ancora una biografia nè fotografie. Per tornare all’operazione del Mit, le unità di intelligence e dell’antiterrorismo della polizia di Istanbul alcuni mesi fa avevano segnalato una strana conversazione tra degli uomini intercettati da mesi in merito a un traffico di armi. A un certo punto si parlò di un possibile «scambio di un carico appartenente all’Isis». Poi in una successiva telefonata a parlare «era un terrorista straniero dell’Isis che faceva riferimento ad un carico digitale in vendita». In pochi istanti è scattata l’operazione del Mit e della polizia turca che si sono subito resi conto che si trattava di qualcosa di serio. E con chi parlava l’uomo? Secondo gli inquirenti turchi erano agenti dei servizi segreti iraniani che si erano detti «pronti a pagarne il prezzo solo dopo aver visto un’anteprima del database». Secondo una dichiarazione di Abdurrahman Soguksu, direttore dell’antiterrorismo della polizia di Istanbul, il database era trattato da cinque uomini identificati come Mehmet Celik, Zeyneddin Çaliskan, Hikmet Aliyev, Seymur Rzayev e Ilyas Yildirim, tutti legati all’intelligence iraniana. Il dossier, secondo Soguksu, è stato rubato alla leadership dello Stato islamico, ma il membro dell’Isis stava negoziando la vendita del database con i cinque uomini, ignaro dei loro legami con l’intelligence iraniana. L’uomo ha accettato di vendere il dossier al prezzo di 8,5 milioni di euro con consegna a Istanbul. La polizia turca a quel punto ha aspettato che l’operazione si chiudesse e quando il corriere è arrivato a Istanbul per la vendita lo hanno fermato subito dopo averlo intercettato al terminal degli arrivi dell’aeroporto. Contemporaneamente sono stati arrestati anche i cinque uomini che lavoravano per l’intelligence iraniana in un caffè di Istanbul.
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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