2023-05-30
Erdogan si prende Turchia, Nato e Germania
Recepp Erdogan (Getty Images)
La riconferma dell’uomo forte di Istanbul apre nuovi scenari. Il suo peso nell’Alleanza atlantica è destinato ancora a crescere e quasi tutti gli immigrati in Europa lo sostengono. I tedeschi, ma anche gli italiani, ne tengano conto e cerchino il dialogo.Alla fine dopo voci di malattia e qualche blackout, Recepp Erdogan non solo è arrivato al ballottaggio, ma l’ha vinto. Per la terza volta conquista la guida della Repubblica turca superando anche il primato dello storico Ataturk di cui quest’anno cade anche il centenario. Lo sfidante Kemal Kilicdaroglu si è fermato al 47,9%. «La nostra gente ci ha dato ancora fiducia, sarà il secolo della Turchia», ha dichiarato Erdogan, facendo un accenno nemmeno troppo velato al concetto dell’Impero blu, ciò che Ankara definisce la conquista del Mediterraneo. Certo il Paese è visto da fuori come diviso a metà con un’opposizione che incalza. Fra i temi più urgenti l’iperinflazione che si è attestata al 43% lo scorso anno, ma anche la debolezza della lira turca contro il dollaro e, sul fronte politico e sociale, la questione dei quattro milioni di migranti siriani giunti in Turchia nell’ultimo decennio. «Continueremo la lotta, la nostra marcia continua», ha replicato lo sfidante Kilicdaroglu, facendo appello alla libertà ed alla democrazia». Dopo la vittoria, Erdogan non terrà il suo discorso presso la sede del partito, l’Akp di Ankara, come da tradizione, ma parlerà dal palazzo presidenziale nella Capitale. Un dettaglio non da poco. Gli serve per rafforzare la presa e mettere subito a terra quelli che saranno i temi della seconda metà del 2023. Molti dei quali sono di natura esterna. Innanzitutto si tratterà di serrare i bulloni con i Paesi confinanti o vicini. L’ambasciatore turco e israeliano non hanno mai interrotto le relazioni e il riavvicinamento proseguirà. Interessante sarà comprendere come si muoveranno le milizie filo Ankara stanziate nel Nord della Siria. Mentre la relazione tra Erdogan e i vertici dell’Unione europea si appresta a riservare un sacco di novità. Dal momento in cui Angela Merkel ha lasciato il suo incarico di Cancelliere, la comunità turca presente in Germania sembra non aver ancora trovato un politico di riferimento, o meglio un politico da sostenere in forza. Se vi vanno a controllare i risultati del voto sottoscritto dai turchi residenti nel Vecchio Continente si vede chiaramente che sostengono Erdogan in percentuali quasi bulgare. Belgio (72%), Austria (71%), Olanda (68%), Germania (65%), Francia (64%) e Norvegia (51%). Se si torna allo scenario tedesco appare chiaro che circa 3 milioni di residenti originari della Turchia hanno votato per Erdogan e voteranno compatti alle prossime elezioni europee in modo altrettanto compatto. La domanda che dovrà porsi il numero uno del Ppe, Manfred Weber, è se voteranno per lui. Il leader della Csu sta lavorando a un progetto importante per sé e pure per il centrodestra italiano. Nel 2024 il Ppe e l’Ecr potrebbero allearsi e far cadere dal trono i socialisti. Quando, lo scorso anno, Mario Draghi definì Erdogan un «dittatore», Weber si mise in coda. Adesso potrebbe invece fare un diverso ragionamento e subentrare in quel rapporto che per molti anni è stato gestito dalla Cdu della Merkel. Anche l’attuale Cancelliere, Olaf Scholz, farà lo stesso ragionamento? Forse sì. In ogni caso la necessità della politica tedesca è altrettanto chiara a Erdogan che da abile e spregiudicato politico quale è non esiterà a calare le sue carte sul tavolo. Al di là delle critiche sui diritti umani che alcuni politici Ue avanzano nei confronti del governo turco, nel creare una nuova forma di relazione ci potrebbe essere un beneficio reciproco. Per i tedeschi sul fronte della politica interna e delle prossime europee come accennato sopra, per l’Italia sul fronte Sud della Nato. Erdogan con la terza vittoria, che fino a prova contraria è avvenuta democraticamente (citiamo il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani), rafforza il suo ruolo Nato e forse potrebbe essere diversamente coinvolto nella questione libica. Da un lato Ankara torna a tenere in pugno i Paesi scandinavi che hanno da poco avviato il percorso nell’Alleanza, dall’altro sono il solo partner Nato che oltre l’Italia può rimettere al centro il tema della sicurezza del Mediterraneo. Certo, si tratta di una sfida scivolosa con un partner molto più levantino di noi. Un motivo di alert che però deve spingerci ad alzare le antenne e al tempo stesso ad accettare la sfida. La Turchia è anche il Paese che dopo la Cina ha migliori relazioni in Africa. Lo sanno bene i militari di Emmanuel Macron che in soli sei anni hanno abbandonato ben quattro nazioni del Sahel. Infine ci sono i Balcani. Ieri in Kosovo, al di là delle barricate a Nord dove il Paese si chiama ancora Metokia, ci sono stati festeggiamenti in piazza per la vittoria di Erdogan e a fine ottobre il contingente Nato Kfor, adesso a guida italiana, vedrà avvicendare i vertici passando sotto la bandiera rossa con la mezzaluna e la stella. Che i turchi guidino militari Nato in Kosovo è un fatto storico così come quest’anno Erdogan farà di tutto per festeggiare il centenario della nascita della repubblica di Turchia. Le leve in mano turca cominciano a essere tante. E contrariamente a quanto si legge su numerosi media italiani, con la terza elezione di Erdogan le leve sono ancora di più. La Ragion di Stato e il buon senso ci spingerebbero in quanto italiani ed europei a tenere in considerazione nuovi accordi e nuove sfumature politiche. L’economia turca non è destinata a crollare. Per nulla. Certo ha numerose difficoltà, ma riesce a crescere all’estero e nei Paesi con maggiori tassi di opportunità. L’Europa dovrebbe essere più obiettiva, non basta definirsi un giardino dell’Eden per esserlo.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco