2020-08-13
Era ora: un vescovo rompe il silenzio sulla «cultura di morte» di Speranza
Monsignor Massimo Camisasca sulle linee guida per l'aborto farmacologico in day hospital annunciate dal ministro: «La ragione della scelta è gravare meno sulle strutture ospedaliere, anche a scapito della salute della donna».Sarà sempre più «invisibile», tanto che, ha scritto il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, «tra un po' non si parlerà neanche più di aborto». Le parole e il loro significato scivolano lungo un piano inclinato che viene cosparso continuamente di olio, magari, come ha scritto il ministro Roberto Speranza su Twitter, un unto profumato a base di conquiste di «civiltà».Secondo il ministro dare due pillole per interrompere la gravidanza in atto - la prima per far morire l'embrione in pancia, la seconda dopo due giorni per indurre le contrazioni espulsive - senza ricorrere al ricovero ospedaliero, rientra, infatti, nella categoria dei «passi avanti importanti». Come ha espresso in un tweet in cui appunto ha annunciato le nuove linee guida per l'aborto farmacologico in Italia.Di tutt'altro avviso monsignor Camisasca che martedì ha detto la sua. Voce di uno che grida (quasi) nel deserto, visto che di suoi confratelli, a parte il reattivo vescovo di Ascoli Piceno, monsignor Giovanni D'Ercole, per ora non se ne sono sentiti. Eppure anche papa Francesco sull'aborto ha detto cose poco mal interpretabili, la più celebre è che abortire, disse, «è come affittare un sicario». E sempre in quell'occasione fece una domanda che oggi potrebbe essere girata direttamente al ministro Speranza: «Come può essere terapeutico, civile o semplicemente umano un atto che sopprime la vita inerme nel suo sbocciare?»Colpisce nell'intervento di Camisasca il riferimento alla solitudine in cui viene sempre più lasciata la donna di fronte a una decisione «drammatica» e di fronte alle «ore oltremodo pesanti in cui devono agire i farmaci assunti per fermare la gestazione e provocare l'espulsione. La donna sarà sola, a casa con il proprio dolore e le possibili conseguenze negative sulla sua salute». Il sospetto di Camisasca è che il «passo avanti» del ministro Speranza sul piano della «civiltà» nasconda in realtà motivazioni meno nobili. «Si nasconde ipocritamente», ha scritto, «l'origine vera di questa decisione: gravare meno sulle strutture ospedaliere, anche a costo di pesanti conseguenze che il Consiglio superiore della sanità nelle sue linee guida del 2010 aveva riconosciuto come rischiose per la salute della donna». In effetti nel 2010 il testo diceva apertamente che con l'aborto farmacologico «è necessario restare in ospedale per un'attenta sorveglianza sanitaria» soprattutto per i rischi di «emorragia» e altri effetti collaterali «variabili e non stimabili a priori». Rischi che la letteratura scientifica ancora non ha dipanato del tutto, ma che per Speranza e i suoi esperti evidentemente non sono più rilevanti: «Le donne possono tornare a casa mezz'ora dopo aver assunto il medicinale», ha dichiarato il ministro.Quello che Speranza chiama «medicinale», il medico e genetista francese Jerome Lejeune (1926-1994), primo presidente della pontificia accademia della vita, lo definiva «pesticida antiumano». Sfumature, ma al di là delle terminologie ciò che Camisasca mette in evidenza nel suo intervento è la progressiva e inesorabile «invisibilità» dell'atto abortivo, frutto, dice, di «una cultura di morte in cui la decisione della donna di interrompere la gravidanza è sempre più banalizzata e presentata all'opinione pubblica come un qualunque intervento farmacologico».L'organizzazione pro life statunitense Live action ha denunciato in questi giorni la decisione di un giudice federale che, causa pandemia, mira a fare in modo che la donna non debba nemmeno recarsi in ospedale per la prescrizione della pillola. «Costituisce un ostacolo sostanziale all'aborto», ha detto il giudice Theodore Chuang del Maryland. Facile come una automedicazione, e che non si parli di embrioni o peggio di bambini. Deve essere rapido e invisibile.Di una «cultura di morte» aveva parlato chiaramente Giovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium vitae del 1995, spiegando che si radica «in una concezione della libertà che esalta in modo assoluto il singolo individuo, e non lo dispone alla solidarietà, alla piena accoglienza e al servizio dell'altro». In un certo senso gli ha fatto eco ieri mattina papa Francesco nell'udienza generale, parlando di come «a volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva». Alcune reazioni alle parole di Camisasca le vorrebbero semplicemente abortire. «In uno Stato laico», dichiarano i rappresentati di Possibile Reggio Emilia, «su un argomento che riguarda le donne, il silenzio è l'unica cosa che vorremmo sentire sull'argomento dagli uomini di Chiesa», perché tra l'altro trovano «gravissimo che il vescovo abbia definito “mamma" la donna che si indirizza all'aborto». Non si preoccupino troppo quelli di Possibile, perché uomini di Chiesa a parlare sono rimasti pochi, ma potrebbero gridare le pietre.