Il governo ha iniziato un macabro gioco liberticida con un obiettivo impossibile da raggiungere: l’azzeramento dei contagi. Nuove restrizioni all’orizzonte dopo il 10 gennaio: si riduce lo spazio del green pass base. L’economia continua a precipitare.
Il governo ha iniziato un macabro gioco liberticida con un obiettivo impossibile da raggiungere: l’azzeramento dei contagi. Nuove restrizioni all’orizzonte dopo il 10 gennaio: si riduce lo spazio del green pass base. L’economia continua a precipitare.Non sappiamo se sia vero ciò che lasciò a verbale il 16 ottobre scorso il (progressista) Washington Post: l’Italia come una sorta di laboratorio politico-sociale, «sospinta in un nuovo territorio per le democrazie occidentali» anche per comprendere «che livello di controllo la società sia disposta ad accettare». Ecco, a volte, pur senza complottismi né sindromi da grande reset, sorge il dubbio che il nostro Paese sia davvero vittima di una deriva pericolosa e non facilmente arrestabile. A conferma dei timori più amari, siamo alla vigilia di un ulteriore salto di qualità. Non bastava più la dimensione – complicata ma forse non sufficientemente sadica – del cruciverbone, del super sudoku, dell’esercizio di enigmistica. Occorreva un brivido più forte e ancora più perverso, una specie di «Squid game», un gioco macabro con il palio un obiettivo palesemente impossibile da raggiungere (il Covid zero, il rischio zero, il contagio zero), con la presenza di occhiute guardie mascherate, e la quasi certezza che tutto finirà molto male, sia individualmente sia collettivamente. Ricapitoliamo. Ci sono stati imposti due tipi diversi di green pass: quello «base» (che consente una qualche chance di vita sociale, per 48 ore, anche a chi abbia fatto un tampone antigenico, e di 72 ore, a chi ne abbia fatto uno molecolare), e quello «rafforzato», concesso solo a guariti o vaccinati, e con totale esclusione dei tamponati. Dopo l’ultimo decreto (tragicomicamente ribattezzato «decreto festività»), per ricordarsi tutte le prescrizioni, bisogna dotarsi di un bloc-notes massiccio come un elenco del telefono. Ancora per un paio di settimane, entro e non oltre il 10 gennaio, la situazione è questa: con il green pass «base» si può mettere piede in palestra e in piscina (e nei relativi spogliatoi), nei centri sportivi, in alberghi e mezzi di trasporto. Ma già adesso serve quello rafforzato (altrimenti, raus) per entrare in un ristorante al chiuso, per prendere un caffè al bancone del bar, per andare al cinema, al teatro, allo stadio. È sempre più complicato anche non sbagliare nell’indossare la mascherina. Fino a fine gennaio, è obbligatorio averne una anche all’aperto e pure in zona bianca: e già qui siamo nella dimensione dell’atto di fede. Dopo di che, fino a fine marzo, servirà non una mascherina qualsiasi ma una Ffp2 per gli spettacoli (sia all’aperto sia al chiuso), gli eventi sportivi, e tutti i mezzi di trasporto. Per «sanificare le feste», più che per santificarle, sono state chiuse tutte le discoteche e vietati party e festeggiamenti fino al 31 gennaio. Con tanti saluti alla giaculatoria per cui il green pass («strumento di libertà», Mario Draghi dixit) serviva «per riaprire, mica per chiudere».Avete resistito nella lettura, fino a questo punto, senza che vi sia esploso un devastante mal di testa? E allora siete pronti per la prossima tappa dello «Squid game», dal 10 gennaio in poi, quando non avrete scampo se non sarete guariti o vaccinati. A quel punto, infatti, non basterà più il green pass «base», ma servirà necessariamente quello «rafforzato» anche per palestre, piscine, musei, mostre, centri termali e centri benessere, parchi di divertimento e tematici, centri ricreativi e culturali, corsi di formazione, e perfino sale gioco, sale bingo e casino. Rien ne va plus. Come si vede, un pazzesco tourbillon di divieti e restrizioni, un labirinto di regole a volte inutili, a volte assurde, a volte impossibili da rispettare. Scritte o con il retropensiero che non avvengano reali controlli o con un sovrano disprezzo della libertà di tutti noi e della vita di milioni di imprese ed esercizi commerciali. Sta di fatto che, già prima delle nuove norme e ancor prima dello spauracchio chiamato Omicron, il clima di terrore politico e mediatico aveva prodotto ciò che ora è sotto i nostri occhi: una valanga di disdette (probabilmente, alla fine, si attesteranno oltre il 50%) e, secondo le stime, tra gli 11 e i 15 milioni di mancate prenotazioni.Siamo alla fine, ed è rimasto da considerare un ultimo «dettaglio». Lo mettiamo tra virgolette perché, nella mentalità caratteristica della regolazione ossessiva, si tratta di un particolare insignificante: notoriamente, in quella logica perversa, quando la realtà non si adegua alla cappa regolatoria imposta dal sovrano, è colpa della realtà stessa (oltre che dei sudditi indisciplinati). E qual è questo dettaglio? È il fatto che tutto questo pazzesco apparato di imposizioni non serva praticamente a nulla, perché i contagi – inevitabilmente – aumentano e aumenteranno.Un approccio ragionevole avrebbe imposto da mesi di considerare solo due dati: i morti e il tasso di occupazione delle terapie intensive. E invece, in omaggio al pazzotico obiettivo dei contagi-zero, si è messa in piedi questa spaventosa architettura di restrizioni. Totalmente inutile, però: perché, come si vede, le varianti vanno e vengono, e le ondate pure.Non resta che un ultimo obiettivo per i nostri psico-regolatori. Non avendo saputo «salvare» né il Natale né il Capodanno, potranno dedicarsi – obiettivo più alla loro portata – a «salvare il Carnevale».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





