2023-09-02
Al via l’eolico «buono» per rilanciare i porti
Gli impianti galleggianti (non solo pale) sono un’opportunità per il Paese, come dimostra l’«alleanza» che comprende Fincantieri e l’ex Ilva. Possibili sinergie per coinvolgere costruttori, scali e acciaierie. Ma le norme devono essere aggiornate.La produzione di eolico offshore galleggiante attiverebbe in Italia una produzione aggiuntiva in alcuni settori chiave per un totale di 255,6 miliardi e un’occupazione di 1,3 milioni di addetti. La stima del contributo dell’eolico marino galleggiante al processo di decarbonizzazione nel nostro Paese e le ricadute di questa tecnologia sull’economia e le filiere locali è stata fatta da uno studio della Floating offshore wind community, il progetto creato da The european house - Ambrosetti in collaborazione con Renantis, Bluefloat energy, Fincantieri e Acciaierie d’Italia. Si tratta, si legge in una nota, di un’iniziativa volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sull’eolico offshore galleggiante e a costruire una strategia comune per facilitare la diffusione di questa prossima frontiera della produzione energetica in Italia. Al netto delle previsioni numeriche, è rilevante il fatto che per la prima volta i diversi attori che possono partecipare allo sviluppo della tecnologia si siedano attorno a un tavolo e ragionino su strategie comuni. E la posta in gioco può diventare ancor più interessante se si considera che il cosiddetto floating è l’occasione per mettere a sistema su larga scala le acciaierie che produrranno la materia prima per realizzare gli impianti, i costruttori, colossi come Fincantieri che anche grazie alla controllata norvegese Vard è leader nella progettazione e costruzione di navi di supporto agli impianti eolici in mare aperto. «Prevediamo che quasi 150 nuove navi saranno ordinate entro il 2027», ha detto l’ad Pierroberto Folgiero.Le sinergie sono interessanti e possono coinvolgere anche il sistema dei porti. Come quello di Taranto dove, in realtà, uno schema simile è già partito nell’autunno dell’anno scorso facendo da apripista: il 5 novembre del 2022, infatti, Falck renewables e Bluefloat energy hanno definito un’intesa col gruppo turco Yilport, concessionario del terminal container di Taranto attraverso la società San Cataldo container terminal (Scct). L’obiettivo, avevano spiegato le società, «è raggiungere un accordo sulle modalità di utilizzazione a titolo esclusivo di un’area del terminal del porto per portare avanti le attività legate alle fasi di costruzione e di operatività dei progetti di eolico marino galleggiante che le due società energetiche stanno sviluppando in partnership paritetica». Falck renewables e Bluefloat energy si sono impegnate per la realizzazione di due grandi parchi eolici offshore al largo del Salento e di Brindisi. L’oggetto del memorandum è il potenziale utilizzo di un’area del terminal di Taranto, ubicato sul molo polisettoriale, «per lo sbarco, lo stoccaggio, la costruzione e l’assemblaggio delle piattaforme galleggianti e delle turbine eoliche in banchina». Le aziende hanno poi costituito un gruppo di lavoro per la concreta utilizzazione e valorizzazione dell’area che consentirà a Falck renewables e Bluefloat energy di programmare tutte le attività e a Yilport Taranto di valorizzare l’operatività completa del terminal. Una mossa che può diventare anche geopolitica: più investono i turchi e meno spazio di manovra resta ai cinesi. Che nel porto pugliese hanno già messo un piede nel 2020, ai tempi del governo Conte, con l’accordo per l’insediamento di Ferretti group, il costruttore di barche di lusso controllata dalla società statale cinese Weichai, nell’area «ex yard Belleli». Negli ultimi mesi, inoltre, sono spuntate nuove società: il caso più curioso, raccontato da La Verità, è quello della italocinese Progetto internazionale 39 che ha vinto la gara per aggiudicarsi la piattaforma logistica del porto pugliese. Un dettaglio non irrilevante considerando che Taranto ospita la base Nato che controlla una parte rilevante del Mar Mediterraneo. Altro dettaglio: a ottobre 2021 Falck è passata di mano. La famiglia ha ceduto il controllo al fondo Infrastructure investments fund (Iif), gestito dal colosso americano Jp Morgan. Non solo. Il 19 gennaio 2023, durante l’incontro al ministero delle Imprese sul futuro dell’ex Ilva, l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, ha fatto un elenco degli investimenti concordati con i soci citando tra questi un accordo con Falck renewables: «Noi diamo loro l’acciaio e loro daranno a noi energia rinnovabile», aveva aggiunto la Morselli. Di certo, se si vuole far diventare l’eolico galleggiante, la soluzione strutturale per accelerare la transizione energetica, bisogna progettare una filiera e servirà tanto acciaio.Per lo sviluppo di eolico marino galleggiante, il nodo del processo autorizzativo è centrale. Il dl 387 del 2003 però non è ancora stato aggiornato e le linee guida, tanto auspicate, non sono ancora state adottate. La bozza di aggiornamento del nostro Piano nazionale integrato energia e clima prevede che solo il 2% dell’obiettivo di potenza rinnovabile elettrica installata al 2030 provenga da impianti eolici offshore. Secondo le stime del Global wind energy council, l’Italia sarebbe, invece, il terzo potenziale mercato mondiale per l’eolico galleggiante. Inoltre, secondo il Marine offshore renewable energy lab e il Politecnico di Torino, il potenziale italiano di eolico offshore galleggiante è pari a 207,3 Gw in termini di potenza, e 540,8 Twh/anno in termini di generazione.
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)
Chicco Testa (Imagoeconomica)