2019-11-24
Entrano in campo i pasdaran dell’Ue. «Approvatelo o saranno guai seri»
Dopo la gita romana di Pierre Moscovici, ora è Berlino a fare pressioni sull'Italia: il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ci fa la lezioncina su «Repubblica». E Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni si mettono sull'attenti.La maggioranza gialloblù era compatta contro l'accordo ma con la scusa del «pacchetto» il premier ha fregato tutti.Lo speciale contiene due articoli«Immagina. Puoi», diceva una nota pubblicità. Pensate cosa sarebbe successo se, qualche mese fa, l'allora vicepremier Matteo Salvini, alla vigilia di una votazione delicata del Bundestag, si fosse messo a rilasciare interviste ai giornali tedeschi per spiegare (a loro) il bene della Germania, con tanto di avvertimenti obliqui sulle conseguenze di una decisione opposta ai desideri italiani. O se un politico di un altro Paese si fosse messo a girare per i palazzi di Berlino lasciando cadere moniti e qualche velata minaccia. Apriti cielo!E invece in Italia è possibile questo e altro, con tanto di coretto mediatico a cappella di benvenuto. Prima la passeggiata romana di Pierre Moscovici tra Quirinale e Palazzo Chigi (addirittura, a vertice di maggioranza in corso); e ieri l'intervistona a Repubblica del ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz. Dopo le consuete giaculatorie sull'Ue che deve diventare «più solidale», Scholz arriva al punto del Mes: «Con il Fondo salvastati rafforziamo l'Eurozona, perché gli Stati siano in grado di superare meglio le crisi che verranno». E già qui l'approccio è eloquente: anziché spingere per la crescita e per l'uscita da una stagnazione che morde la stessa Germania, già si dà per scontato l'arrivo di nuove crisi, rischiando di innescare il meccanismo della profezia destinata ad autoavverarsi.Subito dopo, la prima bastonata: «Il Mes ha tradizionalmente il compito di sostenere Paesi in difficoltà. Perciò concede crediti che sono legati a determinate condizioni». È il meccanismo della condizionalità, cioè una specie di inflessibile commissariamento imposto ai «salvati». Chi lo intervista gli chiede se ci sarà una ristrutturazione automatica del debito, e Scholz risponde di no. Il guaio - però - è che, pur in assenza di automatismi, tutto il meccanismo è affidato a valutazioni tecniche ad altissimo impatto politico e sociale: un po' come dire che la condanna a morte non è automatica, ma la deciderà il boia. Non una prospettiva rassicurante.Ma la bastonata più dura arriva quando Scholz si diffonde sulla sua idea d'Europa: «Per l'Ue dobbiamo accelerare i processi decisionali e impedire i veti». Sentite come: «Dobbiamo rinunciare al principio dell'unanimità nella politica estera e delle finanze. Dobbiamo poter decidere a maggioranza». Avete capito bene: immaginate un'Ue nella quale, sulle partite più delicate e strategiche, una maggioranza semplice o anche una maggioranza qualificata possa imporsi sui Paesi riottosi o politicamente sgraditi, imponendo loro di restare nella gabbia ma sottoponendoli a qualunque tipo di decisione. Come si vede, l'approccio è sempre più dogmatico e illiberale, e non si capisce quali opzioni siano offerte a cittadini e governi. Non gli si consente di uscire dall'Ue (perfino la potentissima Gran Bretagna è costretta a un calvario impressionante per realizzare una Brexit votata dagli elettori); non si consente di chiedere «meno Europa»; e ora si vorrebbe imporre «più Europa» anche semplicemente a colpi di maggioranza. Su tutto questo, il leghista Claudio Borghi ha twittato, riportando le parole di Scholz: «Lo sentite il brivido lungo la schiena, vero? Lo capite che dire no al Mes potrebbe essere l'ultima possibilità? Lo sapete chi è “la maggioranza" in Ue?». Dalla festa del Foglio, si allinea totalmente ai desideri di Parigi e Berlino il neo commissario Paolo Gentiloni: l'accordo «è frutto di una trattativa più che accettabile fatta dal governo gialloblù. Dovremmo smetterla di farci del male da soli perché queste rappresentazioni poi hanno delle conseguenze sui mercati. Oggi fa bene il ministro Gualtieri a difendere quell'accordo. È singolare che chi come Salvini di quel governo ha fatto parte, lo attacchi. Fa parte di una serie di azioni contro l'Ue di cui dobbiamo essere molto preoccupati». Se ne deduce che la Lega dovrebbe smentire oggi le sue posizioni e risoluzioni parlamentari, secondo Gentiloni. Ma l'intervento più pesante della giornata - sia pure indiretto, per quanto il link appaia facilmente «leggibile» - è stato quello del presidente della Repubblica: parlando dell'Alto Adige, Sergio Mattarella ha colto l'occasione per le rituali esternazioni pro Ue. Decisamente irrituali, però, e anzi politicissimi, i passaggi che tanti hanno collegato al dibattito sul Mes, quando il Capo dello Stato ha sottolineato che «è il crescente livello di collaborazione garantito dall'Unione a proteggere le comunità nazionali, i cittadini europei, da tensioni esterne così forti che nessun paese europeo, da solo, potrebbe fronteggiare». E ancora: «Al di fuori di questo progetto non vi può essere, in realtà, per i popoli europei, né sovranità né indipendenza, ma l'esatto contrario». Resta tuttavia misterioso perché non si possa nemmeno discutere di come debbano funzionare le regole di protezione, come correggerle, come evitare effetti devastanti per l'autonomia di una nazione libera. E come mai un Paese debba – per così dire – essere richiamato ad accettare un pilota automatico esterno sempre più invadente. Daniele Capezzone<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/entrano-in-campo-i-pasdaran-dellue-approvatelo-o-saranno-guai-seri-2641440670.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-manovre-di-giugno-con-cui-conte-e-tria-aprirono-al-salvastati-malgrado-lega-e-m5s" data-post-id="2641440670" data-published-at="1758062745" data-use-pagination="False"> Le manovre di giugno con cui Conte e Tria aprirono al salvastati malgrado Lega e M5s Ue: Tria, sovranismi non in Italia ma in paesi del nord Nel concitato, e a tratti assai confuso, dibattito sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità c'è un aspetto che emerge con chiarezza: nessuno dei protagonisti di questa vicenda vuole rimanere con questo pericoloso cerino in mano. Su questo punto si gioca infatti non solo la sopravvivenza del governo giallorosso, ma anche la tenuta dell'economia italiana (che verrebbe massacrata da un'eventuale ristrutturazione del debito) e l'esistenza della stessa eurozona. Facile dunque comprendere perché dalle parti di Palazzo Chigi abbiano attivato già da alcuni giorni la modalità scaricabarile. «Il delirio collettivo sul Mes è stato suscitato dal leader dell'opposizione, lo stesso che qualche mese fa partecipava ai tavoli discutendo di Mes», ha affermato il premier Giuseppe Conte. Una provocazione che Matteo Salvini non poteva certo lasciare cadere nel vuoto: «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. Se fosse onesto direbbe che a quei tavoli, così come a ogni dibattito pubblico, compresi quelli parlamentari, abbiamo sempre detto di no al Mes». Viene da chiedersi chi sia il Pinocchio di questa versione moderna di «È stata tua la colpa». Facciamo un salto indietro di qualche mese e proviamo a ricostruire gli eventi. Nel corso dell'Eurogruppo del 13 giugno, i ministri dell'Economia dell'eurozona raggiungono un accordo sulla bozza di riforma del trattato del Mes. Prima ancora Salvini, dietro consiglio dei suoi, si era raccomandato nelle riunioni informali con Conte perché il Mes non passasse. La palla passa quindi all'Eurosummit del 21 giugno. Due giorni prima, com'è consuetudine prima dei vertici europei, il premier si reca in Parlamento per riferire la posizione del governo. All'inizio della seduta, Conte spiega in aula il funzionamento del nuovo Fondo salvastati. C'è da dire, però, che nel lasso di tempo che va dalla pubblicazione della bozza (15 giugno) alla convocazione dell'assemblea (19 giugno), i deputati di M5s e Lega si accordano per assemblare il testo di una risoluzione durissima nei confronti del nuovo Mes. Come spiega all'Huffington Post il presidente della Commissione Bilancio Claudio Borghi, quella versione in realtà non verrà mai discussa. Nello specifico, Conte chiede di rimuovere il paragrafo nel quale il Parlamento impegna il governo «qualora nell'ambito della riforma del Mes le predette condizioni (l'inclusione tra le condizionalità di altri fattori, tra cui il livello del debito privato, la consistenza della posizione debitoria netta sull'estero, e l'evoluzione delle sofferenze bancarie, “onde evitare che il nostro Paese sia escluso a priori dalle condizioni di accesso ai fondi cui contribuisce", ndr) non vengano accettate, ad opporsi, con ogni atto e in ogni sede opportuna, alla negoziazione e all'accettazione nonché alla conclusione della predetta riforma e di ogni ulteriore implementazione». Come confermato da Borghi alla Verità, il premier chiede di variare la formulazione, giudicata troppo dura, e inserire la famosa formula della «logica di pacchetto», dal momento che questo è «un argomento per facilitarmi a dire di “no"». La risoluzione viene approvata con le modifiche suggerite da Conte, ma gli interventi di leghisti e pentastellati non lasciano spazio alla fantasia. «Avallare nella sua forma attuale la riforma del trattato del Mes significherebbe legittimare proprio quelle stesse regole fiscali che stiamo criticando da anni», spiega Francesco D'Uva (M5s), tra l'altro firmatario della risoluzione. «A nome del gruppo Movimento 5 stelle», gli fa eco il collega di partito Filippo Scerra, «chiediamo al governo la massima determinazione nell'opporsi a una riforma del Mes che dovesse risultare penalizzante per il nostro Paese». Durissimo anche l'intervento dell'altro firmatario della risoluzione, il capogruppo del Carroccio Riccardo Molinari, che parla di «follia» e del rischio di «portarci la Troika in casa». Nel testo approvato, comunque, rimane una traccia pesante. Il governo è vincolato a «render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Mes […] al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato». Cosa che però non avverrà mai. L'Eurosummit del 21 giugno segna lo snodo decisivo. Nel testo finale, è vero, c'è la parola «pacchetto», ma in realtà per l'Italia è un «pacco». Serpeggia la delusione tra i parlamentari leghisti e pentastellati al punto che qualcuno molto vicino a Luigi Di Maio si sfoga: «Non sono mai stato così deluso in vita mia». Durante il question time del 31 luglio, il ministro dell'Economia Giovanni Tria si giustifica spiegando che il processo di ratifica potrà essere avviato solo dopo l'approvazione del «pacchetto complessivo relativo al Mes prevista per dicembre 2019». Borghi lo incalza: «Vogliamo dire che lo applichiamo e poi arriviamo qui in Parlamento e non lo ratificheremo? [...] Dovrebbe essere questo molto chiaro: per noi il Mes è una cosa disastrosa e non deve procedere». Ma ormai è troppo tardi e nelle riunioni della Lega si prende atto: «Ci hanno venduto». Il governo cade anche, e forse soprattutto, per questo motivo. Antonio Grizzuti