2024-05-18
«Ci hanno tolto la libertà di opinione. Se litighi con un gay sei un omofobo»
Enrico Ruggeri (Getty Images)
Il cantante Enrico Ruggeri: «Secondo qualcuno chi esprime dubbi sui problemi del clima merita il carcere, ma dare del nazista a un ministro si può. Negli anni Settanta si facevano battaglie sul divorzio, ora tutto è ideologia».Enrico Ruggeri è un pezzo di storia della musica e più in generale della cultura italiana. Non un pezzo da museo, però, ma un componente più vivo che mai, un cuore che pulsa forte e un cervello che macina. Il suo nuovo libro autobiografico - appena pubblicato dalla Nave di Teseo - si intitola 40 vite (senza fermarmi mai). Ruggeri ce lo ha presentato nel corso di TV Verità, il format visibile sulla nostra piattaforma digitale, dove dalle 10 potrete vedere e ascoltare la versione integrale di questa conversazione. Quaranta vite. Quale è stata la prima?«Beh, la prima è stata quella che ha segnato il passaggio dal mondo adolescenziale di quando si andava a suonare in cantina alla musica professionale. L’intuizione che mi cambiò la vita arriva il 4 ottobre 1977. Sono già stato a Londra e sta nascendo il punk. È una musica nella quale tanti credono e che mi affascina molto. In Italia c'è un equivoco di base: poiché i punk hanno i capelli corti, si vestono di nero, non assomigliano a Guccini e agli Inti Illimani, devono essere di destra. Io vedo i Sex Pistols che attaccano la regina per il giubileo e penso che sia uno smacco al potere dirompente. Penso che si possa fare anche in Italia. Ma chi c’è al potere in Italia, chi c’era? Andreotti, il pentapartito... Tutti i sabati pomeriggio c’è un corteo che attacca Andreotti a la Dc, dunque penso che non sia lì che bisogna stuzzicare e colpire».E dove allora?«Essendo stato in un liceo milanese, sapevo benissimo che il vero potere era quello ideologico, quello in virtù del quale i nostri professori ci facevano studiare filosofia fino a Kant, ignoravano Nietzsche e Schopenhauer e passavano direttamente a Marx... Mentre in letteratura ignoravano il futurismo e D’Annunzio per farci studiare Gramsci. Allora, approfittando del fatto che un mio amico aveva una terrazza davanti a una discoteca di Milano - la Piccola Broadway, all’angolo di corso Buenos Aires - facciamo dei manifesti con scritto “concerto punk con i Decibel, 4 ottobre, Piccola Broadway”. Naturalmente il concerto non c’è. Però abbiamo cura di attaccare tutti i manifesti vicino ai licei caldi, vicino ai centri sociali, eccetera».Risultato?«Quel giorno arrivano un po’ di punk: 200-250, è un po’ il censimento del punk lombardo. Ma poi arrivano anche i cortei, si menano, ci sono cariche della polizia. Il giorno dopo sulle pagine nazionali tutti i giornali scrivono: scontri al concerto dei Decibel». Tutto senza nemmeno suonare. «Questo accade in ottobre. Ai primi di dicembre inizia la mia prima vita musicale: registriamo il primo album. Eravamo diventati famosi senza aver emesso una nota». Questo atteggiamento punk, di sfida al potere culturale e ideologico mi pare che tu l'abbia sempre mantenuta. E l’hai anche pagata. «Sì, decisamente. Sappiamo dove stia il potere vero, ideologico, in Italia. Sappiamo anche che c’è stato un periodo nel quale la destra ha alzato bandiera bianca senza combattere. Un periodo in cui il cantautore doveva essere di sinistra, il musicista impegnato doveva essere di sinistra, era dato per scontato che lo fosse. Questa di per sé non sarebbe stata nemmeno una cosa gravissima, se non fosse che c’erano delle gabbie culturali e su ogni argomento bisognava dire solo e soltanto certe cose. Tutto questo naturalmente mi stava stretto, e quindi più volte mi sono trovato dalla parte sbagliata». Oggi la destra è più sdoganata. Ma le ortodossie resistono da entrambe le parti. «Ma sì, perché ci dividiamo sempre in tifoserie. Ad esempio non capisco perché nel periodo del Covid non credere alla narrazione ufficiale fosse considerato di per sé un atto di destra: è una cosa che ho chiesto a molte persone di sinistra e le ho messe in imbarazzo perché non c’era una risposta. Il discorso del Covid era semplicemente una questione di approccio alla vita: io dal primo giorno del lockdown dissi che non ci si può alienare la capacità di vivere per la paura di morire, altrimenti si diventa come gli scarafaggi che vivono rasentando i muri per non morire. Sull’argomento avrebbe potuto e dovuto esserci un dibattito più o meno sereno, ma tutto è diventato tifoseria. Il problema è appunto o che siamo veramente sempre spaccati in due e tutti un po’ troppo ortodossi».Perché abbiamo così paura delle opinioni differenti, delle posizioni critiche? La sensazione è che quel periodo di cui parlavamo prima, gli anni Settanta, fosse magari molto violento, ma in qualche modo più aperto alle idee forti.«Facciamo una premessa storica. Alla fine degli anni Sessanta e nei Settanta c’erano ancora leggi fortemente penalizzanti ad esempio nei confronti della donna, c’erano lo ius corrigendi, non c’era ancora il divorzio... Quindi in qualche modo c’erano delle battaglie diciamo libertarie da combattere. Oggi invece è diverso, perché tutto è ideologia. Se fai a botte con uno e poi scopri che è gay rischi molto più che a fare a botte con un eterosessuale, perché diventa subito omofobia. Anche se magari sei semplicemente un esagitato che si sta menando a un semaforo con un altro esagitato. Poi c’è una tale aggressività di toni... Ognuno si sente vittima dell’aggressività dell’altro e non si rende conto di essere a sua volta aggressivo. Non si può dire chi abbia cominciato con l’aggressività: piano piano i toni si sono esasperati. Siamo arrivati al punto in cui non si può più esprimere una opinione, al punto in cui qualcuno sostiene che il negazionismo climatico debba diventare un reato. Per contro se dai del nazista a un membro del governo, tutto bene, non lo stai offendendo. Entrambi gli schieramenti, destra e sinistra, ritengono di poter dire cose terribili perché sono le loro opinioni. Ma quando vengono attaccati ritengono di essere vittima di violenza verbale».È anche in virtù di questa situazione che esplodono casi come quello del generale Vannacci. «Non ho letto il libro di Vannacci, infatti non mi esprimo. Ma ho il sentore che ci siano migliaia di persone che - pur non avendolo letto il libro di Vannacci - si esprimono lo stesso».Forse il problema è che ci sono tante opinioni, ma pochi veri pensieri. Avere un pensiero è molto più difficile e più raro. «È come la differenza che c’è nel mio mondo tra l’idea e la trovata. Musicalmente l’idea è qualcosa di valido, la trovata è un semplice escamotage per fare abboccare qualcuno. È la differenza che passa anche tra opinione e pensiero. Devo dire però l’evidenza che mi sembra più rilevante oggi è la costante delegittimazione dell’avversario. Non si dice più “quello ha torto perché dice questo”. Si dice: “Quello ha torto perché è questo”. In questo modo si limita il confronto tra opinioni diverse».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.