2021-04-11
Ennesima macchia sul flop manager. Adesso si tirino fuori tutte le carte
Dpi farlocchi, banchi a rotelle, terapie intensive: Domenico Arcuri ha toppato in ognuno dei (troppi) incarichi ricevuti. Si faccia chiarezza sul suo operato: i contribuenti hanno diritto di sapere come sono stati spesi i loro soldi.Invitalia è funestata da costose grane legali. E l'ad è in rotta con il Mediocredito.Lo speciale contiene due articoli.Che altro deve succedere perché si accendano davvero i riflettori e si tracci un bilancio definitivo sull'esperienza di Domenico Arcuri al comando praticamente di tutto tra il 2020 e il primissimo scorcio del 2021? Qui siamo e restiamo garantisti, verso tutto e tutti, senza eccezioni: e quindi non è la notizia di un'indagine a cambiare il nostro giudizio. Il punto è un conclamato fallimento politico, peraltro certificato dalla scelta di Mario Draghi di rimuovere Arcuri: fallimento di Arcuri stesso, di chi l'ha imposto, di chi l'ha pervicacemente difeso contro ogni evidenza, a partire dal ministro Roberto Speranza. Certo, per lunghi mesi, troppi avevano fatto finta di non vedere che il governo giallorosso immaginava un Arcuri dotato di più braccia e più mani della dea Kalì: onnipresente, onnipotente, onnidecidente, capo di Invitalia, supercommissario di tutto il commissariabile. A più riprese, è stato chiamato a occuparsi - in ordine sparso - di mascherine, terapie intensive, banchi a rotelle, vaccini, e (nel tempo libero?) pure delle sorti dell'Ilva. Praticamente, un potere dello Stato a sé stante. Già questo sovrapporsi inusitato di incarichi e funzioni in capo alla stessa persona aveva il sapore di un'inaccettabile anomalia, per chiunque considerasse le cose senza faziosità. Dopo di che, a parlare sono stati i fatti. La gestione commissariale arcuriana si è rivelata un fiasco, sia nella prima ondata (mascherine, respiratori) sia nella seconda (scuola, banchi a rotelle, terapie intensive, assunzioni ritardate). Non solo: vogliamo parlare del tempo perso - quando invece si doveva correre con la campagna vaccinale - a parlare di primule? A occuparsi di spot cinematografici come se il problema fosse quello di persuadere gli italiani? Ancora. Rimangono memorabili le ospitate tv del supercommissario in maglioncino, in luoghi dove non ci fosse il rischio di domande urticanti; oppure le minacce, a volte orali e a volte scritte, di querele e azioni legali verso chi chiedeva conto del modo in cui venivano usati i denari dei contribuenti; o ancora i servizi celebrativi sui telegiornali, fino al leggendario viaggio del furgone con le prime dosi di vaccino, con l'infaticabile Arcuri pronto ad accogliere a Roma camion-flaconi-scaricatori. Solo le temperature invernali hanno impedito che la sequenza prevedesse un Arcuri mussolinianamente a torso nudo, stile trebbiatura del grano, per un'operazione da Istituto Luce 2.0. Per non dire di quando (era la fine di maggio del 2020) un Arcuri in versione triumphans, come testimoniano numerosi lanci di agenzia, annunciava alla commissione Affari sociali della Camera: «A settembre ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane». Peccato che però, oggi, undici mesi dopo quell'annuncio, l'Italia sia ancora invasa di mascherine cinesi. Peggio ancora: con interi lotti di mascherine oggetto a vario titolo di sequestri, contestazioni, dubbi su qualità e capacità di filtraggio. Eppure, per interminabili mesi, l'uomo si sentì investito di una missione anche pedagogica, un po' maestro e un po' filosofo, una specie di guida morale e metapolitica del Paese. Quando partecipò alla presentazione del Rapporto Censis-Tendercapital, Arcuri si lanciò in voli pindarici sul «diritto alla vita» e sull'«equo accesso al benessere». A seguire, un passaggio lirico sulle «bandiere sui balconi e i palazzi illuminati», per poi arrivare al cuore dello speech (quasi) presidenziale: «L'Italia che uscirà dall'epidemia dovrà essere un paese a un livello di sostenibilità sociale, economica e produttiva maggiore di quello che c'era quando l'epidemia è iniziata», e via ammonendo e spiegando.Confessiamolo: nella nostra ingenuità, pensavamo che il compito del commissario fosse eseguire le (troppe) funzioni affidategli. E invece ci siamo a lungo trovati davanti a un aspirante padre della patria che indicava obiettivi sociali e politici, e si proponeva come bussola filosofica ed etica. A maggior ragione, adesso, resta una sola cosa semplice da fare, che La Verità ha chiesto ripetutamente. Del tutto a prescindere dalle inchieste giudiziarie che faranno il loro corso, il governo e il ministero della Salute farebbero bene a tirar fuori i contratti stipulati e gli acquisti effettuati dalla struttura commissariale. Ci sia total disclosure, trasparenza totale: quanti soldi, quali mediazioni e commissioni, quali e quante unità merceologiche, da quali e quanti Paesi, da quali e quante società (con i relativi dettagli), e anche con tutte le informazioni rispetto agli standard qualitativi di ogni partita di mascherine, camici, respiratori, e così via. I contribuenti hanno diritto di sapere - per lo meno - come e per cosa siano stati spesi i loro soldi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ennesima-macchia-sul-flop-manager-adesso-si-tirino-fuori-tutte-le-carte-2652491160.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dopo-il-benservito-da-super-mario-e-in-bilico-anche-la-poltrona-a-invitalia" data-post-id="2652491160" data-published-at="1618082863" data-use-pagination="False"> Dopo il benservito da Super Mario è in bilico anche la poltrona a Invitalia Un paio di inchieste giudiziarie imbastite dalle Procure di Roma e di Gorizia hanno portato alla luce tutte le falle dell'ufficio da commissario straordinario, creato con spavalderia da Domenico Arcuri, che, accecato dalla sua esibizione di muscoli per i superpoteri che gli aveva conferito Giuseppe Conte, ha preso scivoloni che gli sono costati il posto. Dopo aver comprato mascherine cinesi che, si è scoperto, erano pure parzialmente fallate ma che hanno arricchito i mediatori (uno dei quali, Mario Benotti, è risultato essere un suo contatto), ha preso una tranvata con l'app Immuni, affidata con una procedura lampo che ha escluso, non si sa perché, un'altra applicazione per smartphone consigliata dalla task force. Anche per le siringhe da vaccino luer lock, che tanto propagandava, il boiardo sembra aver dato mostra di essere avvezzo al pasticcio: il loro acquisto non era stato raccomandato dalle case farmaceutiche e, si è scoperto, erano le più care e difficili da reperire. Per non parlare dell'arrischiata impresa dei padiglioni-primula, i chioschi da 409.000 euro l'uno per le vaccinazioni progettati dall'archistar Stefano Boeri, che lo smargiasso venuto da Invitalia pensava di finanziare con una raccolta fondi rivolta a chi avrebbe voluto «adottare» uno dei punti vaccinali. Ovviamente è stato un fiasco anche quello. Ma a far traballare la poltrona di Mr Invitalia, all'epoca innalzato sugli scudi da una cordata Conte-dalemiana (nonostante nel curriculum di Arcuri pesasse già una sonora bocciatura della Commissione europea, che nel 2012 segnalava gravi carenze e criticità nella gestione degli interventi finanziati dal Pon Ricerca e competitività) che sembra far storcere il naso al presidente Mario Draghi, sono anche alcuni caotici dossier per il rilancio industriale. Senza andare troppo indietro, e rivangare di quando Arcuri lavorò al rilancio del sito ex Fiat di Termini Imerese, affidandolo a un'azienda i cui dirigenti sono finiti nei guai per aver distratto i fondi, basta prendere il dossier sull'Ilva: più passa il tempo e più prende le sembianze di un mappazzone. Arcuri, con il progettato ingresso dello Stato nella compagine dell'acciaieria e un piano di rilancio mai chiarito fino in fondo, già si vedeva seduto sul trono. Ma il governo uscente non ha fatto in tempo a firmare il decreto che gli avrebbe regalato l'ulteriore carica e i 400 milioni di euro annunciati a dicembre per completare l'operazione non sono stati scuciti. E ora che il ministro dello Sviluppo economico è Giancarlo Giorgetti, che sceglierà i nomi del cda dell'Ilva, le voci di corridoio sul siluramento di Arcuri si sono fatte insistenti. Quella dell'Ilva, però, non è l'unica grana che ottenebra Arcuri, alle prese, come ha svelato qualche settimana fa Panorama, con un contenzioso monstre che faldone dopo faldone sta opprimendo Invitalia e le sue partecipate con cifre a nove zeri. Per il solo contenzioso giuslavoristico, che Invitalia con la consueta spocchia descrive nei bilanci come «fisiologico e marginale», si contano, al 2020 (ovvero quando i giudici della Corte dei conti hanno chiuso il loro report), ben 73 cause, per un valore complessivo di 8,7 milioni di euro. Ovviamente, nonostante le ottimistiche previsioni, Mr Invitalia è stato costretto ad accantonare fondi per il rischio. Il valore delle cause civili è stimato in 3,1 miliardi di euro. Alcune vanno avanti da anni. E a quelle si sommano le pratiche più recenti. Solo nel 2018, i fascicoli aperti, che riguardano le misure d'investimento gestite direttamente da Invitalia, ammontano a 152 milioni di euro. E ora che i rumors su un attrito anche con Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Mediocredito Centrale (società partecipata da Invitalia, con la quale è stato gestito il salvataggio della Banca popolare di Bari), si fanno insistenti, Arcuri, da ex maestro della pandemia, potrebbe presto ritrovarsi a traballare anche sul trono ormai sghembo di Invitalia.