2021-03-31
Ennesima eredità del disastro Arcuri. Sequestrati 60 milioni di mascherine
I dispositivi, destinati ai sanitari e comprati dall'ex commissario, sono fino a dieci volte meno filtranti di quanto dichiarato. Sette partite su dodici sono riconducibili a Mario Benotti. Perquisita dai finanzieri la sede di Invitalia.L'ennesimo capitolo del maxi affare delle mascherine cinesi acquistate dalla struttura commissariale dell'ex commissario Domenico Arcuri lo ha scritto ieri la Procura di Gorizia disponendo il sequestro di 60 milioni di dispositivi potenzialmente fallati. Gli investigatori della Guardia di finanza, su ordine del pm Paolo Ancora, sono andati in giro per l'Italia per togliere di mezzo mascherine con una capacità filtrante che, stando ai primi accertamenti, «è risultata essere addirittura dieci volte inferiore rispetto a quanto dichiarato». Il reato stavolta non è quello di traffico illecito di influenze o peculato, che coinvolge i pubblici ufficiali, contestati dai pm romani, ma si ipotizza «la vendita di prodotti industriali con segni mendaci». Il procuratore di Gorizia Massimo Lia, facendo riferimento a un precedente sequestro, ha motivato quello delle mascherine fornite della struttura commissariale alle Regioni con la necessità di «verificare se anche quelle sequestrate oggi presentano le medesime imperfezioni, tanto da renderle pericolose per l'uso da parte del personale sanitario cui erano destinate». Un rischio sanitario insomma, che era già emerso a inizio febbraio, dopo che la trasmissione televisiva Fuori dal coro aveva denunciato l'inefficacia delle Kn95 prodotte dalla cinese Wenzhou huasai. Le autorità sanitarie del Friuli Venezia Giulia avevano subito disposto il ritiro delle mascherine di quel lotto non ancora utilizzate. All'epoca La Verità aveva chiesto all'ufficio stampa di Arcuri se l'ex commissario intendesse attuare provvedimenti cautelativi. Ma la risposta fu questa: «La struttura del commissario non c'entra nulla con l'autorizzazione sanitaria o con la qualità delle mascherine, quella viene sottoposta agli enti che si occupano di questo aspetto prima che venga effettuato l'acquisto, per cui non è che prima si comprano le mascherine e poi si portano al Cts. Sono certificate quando vengono proposte, vengono valutate da più istituti e poi vengono acquistate». Adesso a capire come stanno le cose ci sta pensando la Procura di Gorizia che, oltre a disporre il sequestro delle mascherine fornite da 12 produttori, ha mandato i finanzieri, con un decreto di perquisizione previo ordine di consegna di atti, proprio nella sede di Invitalia, dove si trova una parte della struttura commissariale, per acquisire la «documentazione tecnica e certificativa attestante la conformità dei dispositivi e la loro corrispondente sicurezza», nonché gli «stralci dei verbali del Comitato tecnico scientifico relativi alle verifiche e alle conseguenti validazioni dei dispositivi». Ma al centro dell'inchiesta ci sono anche i «contratti di fornitura» e la «documentazione a essi afferente, sia antecedente che successiva». La necessità, spiegano i finanzieri, è «ricostruire le responsabilità nella catena di approvvigionamento e verificare quante mascherine della stessa tipologia siano state impiegate o siano tuttora in uso su tutto il territorio nazionale». L'indagine è in una fase iniziale e il procuratore di Gorizia precisa che al momento non ci sono indagati: «Stiamo ricostruendo le modalità e i soggetti che hanno partecipato all'acquisizione e alla commercializzazione dei dispositivi», spiega Lia. I finanzieri precisano anche che il sequestro è stato messo a punto anche «grazie alla collaborazione offerta dall'attuale staff del commissario per l'emergenza». E aggiungono che «si tratta di residuo di forniture, per circa 250 milioni di pezzi, ereditato dalla precedente gestione della struttura per l'emergenza». Tra i 12 produttori delle mascherine sequestrate ieri almeno sette, tra cui proprio la Wenzhou huasai, corrispondono, secondo l'elenco dei dispositivi validati dal Cts, a fabbricanti riconducibili alle tre aziende fornitrici della maxicommessa da 801 milioni di mascherine pagate 1,2 miliardi di euro su cui sta indagando la Procura di Roma e che coinvolge sei persone, tra cui il giornalista in aspettativa Mario Benotti, l'imprenditore milanese Andrea Tommasi, il finanziere sammarinese Daniele Guidi e il trader ecuadoriano Jorge Solis. Proprio su Guidi i pm capitolini hanno disposto una rogatoria nella Repubblica di San Marino, al fine di scoprire se il banchiere sammarinese abbia ricevuto provvigioni diverse da quelle fatturate in Italia agli altri indagati. I pubblici ministeri Fabrizio Tucci e Gennaro Varone hanno chiesto ai loro omologhi sammarinesi di svolgere accertamenti bancari sul conto di Guidi e di una donna, Monica Aluigi, «ritenuta dalla Guardia di finanza italiana una prestanome di Guidi per ingenti movimentazioni di denaro».Su indicazione dei colleghi di Piazzale Clodio, i magistrati di San Marino, oltre ad acquisire la documentazione su tutti i conti «intestati e/o riferibili anche mediante schermo fiduciario» a Guidi e alla Aluigi, stanno verificando se due conti correnti indicati dagli inquirenti romani siano riconducibili a Guidi. Ma anche l'intreccio con l'inchiesta di Gorizia sembra interessare ai pm romani che, si apprende da indiscrezioni, potrebbero chiedere ai colleghi di acquisire la documentazione sequestrata ieri.