2023-01-07
L’emergenza non c’è più ma i criteri di monitoraggio del ministero non lo sanno
Bollettini in base al decreto dell’aprile 2020. Si classifica il rischio delle Regioni secondo indicatori superati, ignorando lo stato di normale convivenza con il virus.Abbiamo una domanda, da porre al ministero della Salute. Come mai, se lo stato di emergenza è terminato il 31 marzo scorso, i report settimanali dell’Istituto superiore della sanità continuano a far riferimento al decreto ministeriale del 30 aprile 2020? In quel periodo di piena pandemia Covid, furono adottati «criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario», in base all’emergenza epidemiologica allora valutata dall’Oms. Oggi, invece, e a dirlo è lo stesso direttore generale dell’Organizzazione, Tedros Adhanom Ghebreyesus, «per la maggior parte del 2022 il Covid è stato in declino», nel 2023 sarà decretata la fine ufficiale già riscontrata in molti Paesi. Quale utilità possono avere dei primi «indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari», in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, nel quarto anno di circolazione di questo virus? L’algoritmo, della valutazione del rischio e di probabilità di diffusione, è rimasto identico a quello utilizzato in una fase «caratterizzata da iniziative di allentamento del lockdown», perché, si leggeva il 30 aprile 2020 nel decreto a firma dell’ex ministro, Roberto Speranza, «in assenza di un vaccino o di un trattamento farmacologico efficace, e a causa del livello di immunità della popolazione ancora basso, può verificarsi una rapida ripresa di trasmissione sostenuta nella comunità».allerta insensatoSiamo al 7 gennaio 2023, il monitoraggio aggiornato a mercoledì 4 segnala un leggero aumento di nuovi casi di contagio (soprattutto negli over 90), ma una lieve diminuzione dell’occupazione di posti letti in ospedale e una condizione stabile delle terapie intensive, eppure siamo sempre lì, a classificare una Regione con rischio alto o basso secondo indicatori ormai superati. Se al 5 gennaio, come riportano la tabella che pubblichiamo su elaborazione dei dati forniti dall’Iss, il 99,34% dei positivi erano sintomatici lievi (non da ospedalizzazione) e i casi gravi lo 0,66%, non si comprende proprio perché il report debba ancora dire che «ai sensi del dm del 30 aprile 2020», 3 Regioni (Lazio, Puglia e Umbria) sono classificate «a rischio alto», tutte «per molteplici allerte di resilienza».E che 12 (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Marche, Molise, province autonome di Bolzano e Trento, Sicilia, Sardegna e Veneto) sono «a rischio moderato»; 6 (Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta) «a rischio basso» e 17, tra Regioni e Province autonome riportano «almeno una allerta di resilienza» dei servizi sanitari territoriali. contagi sotto controlloAndiamo avanti all’infinito utilizzando parametri di questo tipo, con valori di soglia e di allerta stabiliti all’epoca dell’emergenza Covid? Una Regione a rischio alto, secondo l’algoritmo del 2020, dovrebbe diventare zona rossa o temere chiusure che il governo ha promesso di non mettere più in atto? Potrebbero scattare misure che ignoriamo?I contagi ci sono, ma sotto controllo. Il Covid è diventato endemico, con queste varianti si comporta come un virus stagionale. È lo stesso Istituto superiore della sanità a definire «stabile» l’indice di trasmissibilità (Rt) calcolato sui casi sintomatici (0,83) nel periodo dal 14 dicembre al 27 dicembre 2022 e che rimane «sotto la soglia epidemica», come quello calcolato sui casi con ricovero ospedaliero (0,90), in lieve aumento ma dentro il parametro (0,86-0,94).Nelle terapie intensive il dato invece è in calo, ma tocca sempre leggere il solito riferimento agli algoritmi: «Il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva calcolato ai sensi del dm 30 aprile 2020 si situa al 3,5%». In quel decreto, l’ex ministro Speranza precisava che gli indicatori «non sono finalizzati a una valutazione di efficienza/efficacia dei servizi, ma ad una raccolta del dato e ad una migliore comprensione della qualità dello stesso, al fine di poter realizzare nel modo più corretto possibile una classificazione rapida del rischio». algoritmo da cambiareAllora, si parlava di minaccia sanitaria, di trasmissione non controllata e non gestibile del Covid da monitorare così da poter applicare, in caso di «aggravamento del rischio», misure restrittive «necessarie e urgenti». Non siamo più in quelle condizioni, i criteri del monitoraggio devo cambiare. Invece, rimane l’algoritmo di «valutazione di probabilità e indicatori rilevanti per fase di riferimento», che prevede l’attribuzione di un rischio moderato o alto se, in quella Regione, vi è evidenza di trasmissione diffusa «non gestibile in modo efficace con misure locali (zone rosse)». Ma non erano scomparse dall’aprile dello scorso anno? Perché rientrano, per valutare trend dei casi e fare l’ennesimo elenco delle Regioni con più o meno contagi, con maggiori o minori ospedalizzazioni? Non c’è bisogno di fare la classifica del livello di pericolosità del contagio sul territorio, ma serve aumentare il sequenziamento dei campioni prelevati da pazienti con Covid grave, come ha più volte ribadito il virologo Francesco Broccolo.
(Totaleu)
«Strumentalizzazione da parte dei giornali». Lo ha dichiarato l'europarlamentare del Carroccio durante un'intervista a margine della sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo.