
La principale scusa per l'inciucio Pd-5 stelle è nel calendario della finanziaria. «Non si potrebbe portare a termine e aumenterebbe l'Iva». Il prof nel 2011 si insediò il 18 novembre e il 4 dicembre varò il decreto.Basta leggere l'intervista rilasciata da Matteo Renzi, oltre alle dichiarazioni degli altri inciucisti anti voto, per capire che le scuse accampate sono tre. La prima è l'approvazione del taglio dei parlamentari (a cui Renzi si era opposto), la seconda è l'avvio dell'iter referendario (che consentirebbe di spostare in là il voto come minimo di altri sei mesi) e la terza è quella basata sulla bugia più grande: non c'è tempo per fare la manovra finanziaria, si rischierà l'esercizio provvisorio e per il bene del Paese non è ammissibile che scattino le clausole di salvaguardia e che, dunque, aumenti l'Iva. È bene ricordare, giusto come premessa, che l'ex premier Renzi è sempre stato così attento alle finanze pubbliche e alla gestione delle medesime che, quando ha diretto l'orchestra, si è limitato a spostare in là nel tempo le clausole e lasciare al suo successore la patata bollente. Non è intervenuto a risolvere il problema dell'Iva quando era al governo praticamente da solo: difficile immaginare possa farlo con una coalizione che in comune ha solo la voglia di non andare al voto e cristallizzare gli equilibri parlamentari. Ma anche al netto di tale contraddizione s'impone un po' di verifica, calendario alla mano. Se si votasse il 13 ottobre, il mese dopo Parlamento e relative commissioni sarebbero insediate. Si arriverebbe a metà novembre. Nel 2011 il governo di Mario Monti si insedia il 18 novembre, dopo aver ottenuto la fiducia alla Camera. Il 4 dicembre successivo il Cdm vara il decreto che passerà alla storia come Salva Italia. Dentro ci sono tagli per 10 miliardi, e una manovra da 20. C'è pure la legge Fornero, l'Imu, un bello scudo fiscale e le tasse sul lusso che hanno portato alle casse dello Stato poco più di 300 milioni di euro, causando danni solo all'economia marittima per circa 2 miliardi. Ma al di là del contenuto (fu una delle peggiori manovre italiane), il testo affidato alle mani di Piero Giarda, ministro per i rapporti con il Parlamento, prende la rincorsa. Le Commissioni lo vistano e il decreto esce dalla Camera il 16 dicembre, mentre con 257 sì ottiene il parere favorevole del Senato il 22 dicembre. Tre giorni prima di Natale. Sei anni dopo, il 22 dicembre del 2017, è stata approvata la manovra di Paolo Gentiloni, mentre lo scorso anno il timbro di legge è arrivato il 30 dicembre, dopo mesi di duro negoziato con la Commissione.In poche parole, l'agenda della legge finanziaria appare flessibile e può essere tirata per la giacchetta come meglio si preferisce. Ma nessuno venga a dire che lo si fa per salvare l'Italia. Anche perché l'idea di Pd e 5 stelle (varrebe anche se Forza Italia s'infilasse nel loro lettone) è certo quella di ripescare l'idea del deficit. Da quanto risulta alla Verità non ci sarà alcuna novità rispetto a quanto ci hanno snocciolato i precedenti governi di sinistra. L'idea degli inciucisti sarebbe quella di arrivare al 2,9% di deficit per risolvere il problema delle clausole, il tutto con la benedizione di Ursula von der Leyen, la Commissaria che ha ottenuto l'elezione con l'aiuto del Pd e proprio dei 5 stelle. A garantire, in questo caso sarebbe Giuseppe Conte. Senza contare che con tale accozzaglia salterebbe fuori una manovra senza obiettivi né impatti concreti sul fisco, che invece va pesantemente riformato. Ieri a ricordare che solo i partiti di una coalizione di destra sarebbero in grado di intervenire sulla materia in modo decisivo è stata addirittura Jp Morgan.«Un governo di sola destra, formato da una coalizione tra Lega e Fratelli d'Italia, con molta probabilità chiederà una maggiore flessibilità fiscale e metterà in agenda una diminuzione della pressione fiscale, in stile Donald Trump», prevede la banca d'affari americana, secondo cui «la posizione anti euro di Lega e Fratelli d'Italia verrà attenuata, in modo significativo, nella prossima campagna elettorale rispetto a quella precedente, in quanto si cercherà di stabilire una base di consensi più ampia». Il nocciolo della questione sta proprio nello choc fiscale. Invocare misure stile Trump, come scrive Jp Morgan, sarà l'amo che unirà un governo di destra con Washington e Londra (che necessita dell'Italia per portare avanti la Brexit). In questo modo Roma otterrà il sostegno diretto della Casa Bianca in fase di trattativa con Bruxelles, e la possibilità di riportare il nostro Paese sull'asse atlantista, oltre a poter avviare una profonda inversione della pressione fiscale. Inutile dire che l'inciucio Pd-M5s ci legherebbe mani e piedi a un patto ribassista, cui l'Europa concederà flessibilità in cambio di qualcosa. Nel 2014 fu in cambio dell'accoglienza di tutti i clandestini. Non osiamo immaginare cosa potrebbe essere nel 2019.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






