2018-05-15
Sui maestri le Regioni alzano la voce: «L’anno scolastico rischia di saltare»
Se i docenti non laureati dovessero perdere la cattedra, si rischia la paralisi. I deputati neoeletti sono in disaccordo sul da farsi. L'assessore veneto Elena Donazzan: «Il ministro ha sempre rimandato le soluzioni».Sono le Regioni l'estremo baluardo per i maestri diplomati. In occasione dell'ultima seduta della nona commissione della Conferenza Stato-Regioni, cui prendono parte gli assessori all'istruzione, la responsabile veneta per la scuola, la formazione e il lavoro, Elena Donazzan, ha chiesto alla presidenza, attualmente affidata alla Regione Toscana, che venga affrontata l'emergenza dei docenti non laureati a rischio licenziamento.Secondo l'assessore, in Veneto addirittura «l'anno scolastico non partirà», se gli insegnanti con diploma magistrale dovessero perdere la cattedra. «Il governo non ha mai individuato nessuna soluzione», ha lamentato la Donazzan, «rimandando a interpretazioni, ad accordi con i sindacati. Si pone invece per tutte le Regioni da un lato il problema dell'inizio dell'anno scolastico, dall'altro quello del riconoscimento dei diritti di questi insegnanti da molti anni precari, già ampiamente valutati nella loro attività didattica ma oggi senza nessuna prospettiva».Con il suo intervento a favore dei lavoratori della scuola dell'infanzia, l'assessore veneto all'istruzione fa seguito agli impegni assunti a gennaio, circa un mese dopo la sentenza del Consiglio di Stato, che escludeva i diplomati magistrali entro l'anno 2001-2002 dalle Graduatorie a esaurimento (Gae). Allora, la Donazzan aveva proposto direttamente alla «ministra» Valeria Fedeli di tenere in considerazione, nel valutare la posizione dei singoli docenti, i periodi di insegnamento già svolti e la maturazione di titoli di merito, tra i quali ricomprendere «non solo la laurea, ma anche i concorsi». La mozione dell'assessore veneto alla Conferenza Stato-Regioni è stata approvata, ma, in assenza di un governo nel pieno dei suoi poteri, la nona commissione ha scelto di appellarsi ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, invocando una soluzione politica al rebus rappresentato dal destino occupazionale di oltre 40.000 docenti. Professionisti già abilitati all'insegnamento, la cui retrocessione dalle Gae alle Graduatorie d'istituto, che consentono solo il conferimento di incarichi di supplenza, mette in pericolo la continuità didattica, quindi la qualità dell'istruzione impartita agli alunni. Per 2.000 di quei maestri, i ricorrenti al Consiglio di Stato, la sentenza del 20 dicembre 2017 ha fatto oramai scattare l'esclusione dalle Gae, il che significa che tra qualche settimana dovranno lasciare le cattedre ottenute con riserva, nella speranza di poter almeno limitare i danni con qualche supplenza. Tutti gli altri, sui quali pertanto incombe la spada di Damocle del licenziamento, dovranno attendere le sentenze di merito, che verosimilmente arriveranno nel corso dell'estate.Finora è stata proprio la volontà politica a scarseggiare. La Fedeli, titolare del dicastero dell'Istruzione, ha sostanzialmente scelto la tattica del temporeggiamento: con il pretesto di un parere dell'Avvocatura dello Stato sulle modalità di applicazione della decisione dei magistrati di Palazzo Spada, il Miur presumibilmente confidava di passare la palla all'esecutivo che ci si aspettava operativo nei giorni immediatamente successivi alle elezioni del 4 marzo. La complessità delle trattative politiche, invece, ha sparigliato le carte, lasciando emergere l'inadeguatezza dei vertici di viale Trastevere, tuttora incapaci di trovare il bandolo della matassa. Al contempo, i deputati neoeletti, che certamente non possono starsene soltanto a guardare, sono in profondo disaccordo tra loro. Ad esempio, mentre il centrodestra vorrebbe la riapertura delle Gae, il Partito democratico continua a dichiararsi contrario, ritenendola, come aveva argomentato giorni fa la senatrice Simona Malpezzi, «un atto irresponsabile e irrispettoso per le migliaia di docenti che hanno fatto un concorso pubblico e per le famiglie e i bambini che hanno diritto alla migliore istruzione possibile». Per i dem bisognerebbe mettere in cantiere un piano triennale di assunzioni, di cui beneficerebbero i docenti diplomati con almeno tre anni di servizio negli ultimi otto anni scolastici.Dal 28 aprile gli insegnanti non laureati, protagonisti di due giornate di agitazione cui hanno aderito in migliaia, sono in sciopero della fame. Eppure, non tutto il mondo della scuola è solidale con loro. Pochi giorni fa, un'insegnante precaria del Coordinamento nazionale di Scienze della formazione primaria ha diffuso un comunicato, ripreso dal sito Orizzonte scuola, nel quale definiva «inesistente» il diritto, rivendicato dai diplomati, a «ottenere il ruolo senza concorso, senza la minima scrematura tra chi ha prestato servizio e chi no, prima dell'ondata di ricorsi a partire dal 2014». E non è la prima volta che i laureati senza cattedra fissa si scagliano contro i colleghi con il diploma magistrale. Siamo alla guerra tra poveri, scatenata dalla progressiva spoliazione del sistema dell'istruzione pubblica. Uno dei tanti dossier spinosi che il prossimo governo si troverà ad affrontare.
Julio Velasco e Alessia Orro (Ansa)
Rod Dreher (Getty Images)