2020-04-21
Ecco i famosi aiuti dell’Ue: all’Italia metà dei soldi di quelli dati all’Ungheria
Giuseppe Conte farfuglia, ma giovedì il Mes arriva sul tavolo. Spunta la ripartizione dei fondi anti Covid. Il capo del budget: «I criteri sono questi, non potevamo discutere troppo...».Mancano ormai circa 48 ore al prossimo Consiglio europeo, ennesimo passaggio decisivo nell'accidentato percorso, partito con l'Eurogruppo del 16 marzo, volto alla definizione di una significativa risposta europea alla crisi economica senza precedenti in atto. Ieri fonti di agenzia riportavano che sul tavolo degli sherpa c'era solo la definizione dei dettagli del Mes, niente Recovery fund, né tantomeno Recovery bond, a cui sta lavorando la Commissione. E il Financial Times riferiva che proprio questo lavoro si sta rivelando una «trappola per orsi» politica. E lo stesso giornale riferiva del deludente esito di una ripartizione di risorse già avvenuta, il cui approfondimento è un colpo distruttivo per le speranze che in molti nel nostro Paese ripongono negli eurobond.La traccia l'ha fornita domenica un tweet della Commissaria Ue alle riforme ed alla coesione, Elisa Ferreira che, con 3 cinguettii, ribadiva che i 37 miliardi di fondi del Crii (Coronavirus respond investment initiative), erano la mera riassegnazione di fondi di coesione nazionali disponibili, non era e non poteva essere una redistribuzione tra Stati membri.Quei 37 miliardi furono annunciati dalla presidente Ursula von der Leyen lo scorso 13 marzo. Contributi a fondo perduto per attrezzature ospedaliere, respiratori, mascherine. Fu subito predisposta una task force (cinque commissari, tra cui Paolo Gentiloni) e il 26 marzo il Parlamento votò la misura, il 30 marzo il Consiglio Ue adottò la decisione, infine il 1° aprile le somme erano disponibili. Ricordiamo che l'Italia il 27 marzo piangeva 9.134 morti, la Spagna 5.138, la Romania 26 e l'Ungheria solo 10.Ma la ripartizione di quelle somme ha seguito le regole dei fondi di coesione, che ci vede regolarmente contributori netti: l'Italia riceverà solo 2,3 miliardi (0,1% del Pil) e l'Ungheria 5,6 miliardi (3,9% del Pil). La Romania 3 miliardi, la Slovacchia 2,5 miliardi. La Spagna, con metà dei nostri morti, riceverà 4,1 miliardi. Sono le regole del bilancio Ue, che nemmeno il numero dei morti è riuscito a sovvertire. L'aspetto beffardo di tutta la vicenda, ben documentata in un paper pubblicato sabato scorso dal think tank berlinese Esi, è che fu presentata come un intervento «rapido e consistente» per fronteggiare l'emergenza sanitaria, per «salvare vite», stando alle parole pronunciate il 13 marzo dal direttore generale della Dg Bilancio, Gert Koopman. Inoltre, all'Italia veniva concesso di sfruttare 4,5 miliardi di fondi strutturali di sua pertinenza ma non ancora assegnati, che però richiedevano una pari somma di cofinanziamento nazionale.Considerato che il 13 marzo l'Italia piangeva 1.266 vittime, la Spagna 133 e l'Ungheria nessuna, c'è da pensare che il solerte funzionario olandese abbia ritenuto le vite italiane meno meritevoli di quelle di qualsiasi altro Stato membro, al punto da destinare al nostro Paese solo il 6% dei 37 miliardi. Mentre avevamo per strada i camion dell'esercito carichi di bare. Il tutto sotto il naso del commissario Gentiloni.Ma c'è di più. Nella conferenza tecnica del 13 marzo, l'olandese ammise che si trattava di uno strumento che non allocava i fondi in modo ottimale e che uno strumento più mirato avrebbe richiesto troppo tempo. Per giustificare il fatto che qualsiasi tentativo di cambiare le regola sarebbe stato destinato all'insuccesso, mise a nudo il disastro del processo decisionale dell'Unione a 27: «Se avessimo proposto di cambiare la ripartizione delle somme tra gli Stati membri, probabilmente saremmo stati qui anche l'anno prossimo».E siccome quando si tocca il fondo si può sempre trivellarlo, Koopman dedicò pure una specifica scheda all'Italia, per spiegare la miseria di 2,3 miliardi che ci venivano concessi.I 37 miliardi sono una somma consistente del bilancio Ue, a cui nel 2018 abbiamo contribuito per 7 miliardi netti (17 di versamenti contro 10 di incassi), quindi una loro diversa ripartizione avrebbe avuto un impatto significativo sul saldo del nostro rapporto con la Ue. Lo schema perdente è sempre quello: dal 2014 al 2020 abbiamo ricevuto fondi strutturali per il 2,5% del Pil, contro il 17% dell'Ungheria. Angela Merkel sa bene che, anche qualora si riuscisse a concordare un modo per emettere eurobond, si aprirebbe un Vietnam per decidere della ripartizione dei fondi e, non a caso, ieri è intervenuta nuovamente per affermare che la condivisione del debito «è la via sbagliata». Sarebbe la fine della Ue, lei lo sa.A meno che il nostro Paese, il più colpito dalla crisi, non accetti il solito ruolo subalterno. La soluzione di pronto impiego che resta sul tavolo è il Mes, la cui unica condizione pare essere la destinazione alle spese sanitarie, come ancora ieri ci ha ricordato il commissario Valdis Dombrovskis. Che però dimentica che quelle condizioni possono essere cambiate. E l'argomento che sia richiesta l'unanimità per l'approvazione di un programma di aggiustamento o per il suo inasprimento, sbandierato ieri da Emma Bonino, è una risibile foglia di fico.Bastano le parole con cui lo scomparso Fabrizio Saccomanni raccontò il ricatto subìto nel 2013, pur di farci approvare il bail in, con Schäuble che agitava la minaccia della reazione dei mercati. Oppure lo spread fatto esplodere nel 2011, appena Giulio Tremonti si azzardò a dire che il contributo al Fondo salva Stati andava ripartito diversamente rispetto alle richieste francotedesche.Qualcuno ha memoria di un veto posto dall'Italia in sede europea? È una parola che non conosciamo e che pare non conoscere nemmeno il presidente Giuseppe Conte che ha promesso di «impegnarsi non solo per il bene del mio Paese ma per il bene dell'Europa intera» e, di fronte alla domanda secca «veto sì o no», ha pavidamente risposto «lascio a lei l'interpretazione».