2022-03-05
È un «russofilo»: la Luiss scarica il suo prof
Panico nell’ateneo di Confindustria, che si dissocia da Alessandro Orsini, reo di criticare in tv l’allargamento della Nato. Solo che l’università ha già stipulato varie partnership accademiche con Mosca. E un suo prorettore, nel 2014, invocava lo smembramento dell’Ucraina.Dalla caccia alle streghe, alla caccia alle matriosche. Ieri, il Senato accademico della Luiss si è riunito - senza informarne il diretto interessato, da quanto ci risulta - per discutere il caso di Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, che fa capo all’ateneo romano. Il gabinetto d’emergenza è stato convocato sulla scia delle polemiche seguite agli ultimi interventi mediatici del sociologo. La sua colpa? Ragionare sul conflitto in Ucraina, sottraendosi al trito dispositivo del «Putin maschio Alfa pazzo e affetto da long Covid». Nell’Occidente liberale e pluralista, è un affronto intollerabile: è come se, due mesi fa, il prof avesse osato avanzare un dubbio sul green pass.Tra le tesi giudicate pericolosamente filorusse, l’idea che Vladimir Putin sarebbe stato «terrorizzato dal blocco occidentale»; che l’Ucraina debba «scendere a compromessi» con l’aggressore; o che, se lo zar si alleasse col Messico, «gli Stati Uniti lo distruggerebbero», come ha detto Orsini nel battibecco di giovedì sera con Federico Fubini, a Piazzapulita, su La 7. Pazienza se si tratta di posizioni - piacciano o meno - ponderate e argomentate, nonché condivise dalla crema degli esperti di relazioni internazionali: rileggete cosa scrivevano, dell’allargamento a Est della Nato, politologi del calibro di George Kennan e John Mearsheimer. A intimidire l’università di Confindustria sono stati soprattutto i tweet al vetriolo dei salottini borghesi. Franco Debenedetti, fratello dell’editore Carlo, più che cinguettare, ha lanciato un anatema: «A Piazzapulita, Alessandro Orsini sostiene la tesi che la guerra è responsabilità dell’Europa. Segnarsi il nome e ricordarsi la faccia. Questi sono i nostri nemici». Franco Bassanini, consigliere scientifico della luissina School of law, si è rivolto direttamente al corpo docente: «Alessandro Orsini sostiene a Piazzapulita che si deve abbandonare l’Ucraina a Putin. Il diritto di un popolo di voler vivere in libertà e democrazia per lui vale zero. D’accordo con lui gli altri docenti Luiss?». Capirai: in viale Pola dev’essersi scatenato il panico.Il risultato del «processino» di ieri è un surreale comunicato stampa, che esordisce manifestando «piena solidarietà al popolo ucraino» (non allinearsi all’ortodossia significa desiderarne l’annientamento?) e arriva a una conclusione allucinante: «La Luiss», si legge, «reputa fondamentale che, soprattutto chi ha responsabilità di centri di eccellenza come l’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, debba attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e all’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intero ateneo». Dunque, le affermazioni di Orsini, che hanno solide radici teoretiche nella tradizione del realismo, non sarebbero rigorose e scientifiche, bensì una specie di capriccio individuale. E sempre siccome noi siamo l’Occidente democratico, l’università della Capitale ha già stabilito qual è «l’evidenza storica». Incontrovertibile. Un articolo di fede. Se tutto ciò non fosse stato messo nero su bianco, si faticherebbe a crederci.Tanto isterico zelo sorgerebbe, appunto, dalla preoccupazione per la nomea istituzionale dell’ateneo. La Luiss, insomma, si sarebbe dissociata dal proprio docente per non vedersi rinfacciare certi cortocircuiti geopolitici molto più materiali, rispetto alle dispute sull’orientamento culturale di un accademico. L’Osservatorio di Orsini vantava un sodalizio con l’Eni, una multinazionale non proprio estranea al contesto russo e, oggi, impegnata a sua volta a trarsi d’impaccio, visti i legami con Mosca: il gruppo ha fatto sapere che cederà la sua quota nella società che attualmente controlla il gasdotto Blue stream, alla pari con Gazprom. Ma i collegamenti della Luiss con i cosacchi sono anche più espliciti. Nel 2015, l’università firmò un Memorandum of understanding con la moscovita National research university Hse, «per sviluppare nuovi programmi di mobilità e doppia laurea». All’epoca, insieme a Enel Russia, fu stipulato un accordo di collaborazione con il Moscow State institute of international relations (Mgimo), per consentire agli studenti del primo anno di Double degree in international relations di svolgere tirocini presso le sedi russe dell’azienda. Da dopodomani sarà possibile partecipare al bando 2022 per il percorso di studi doppio. La scadenza per le domande è il 28 marzo, i risultati della selezione dovrebbero arrivare entro l’11 aprile. Iniziativa lodevole, in verità; gli scambi accademici sono sempre propizi; la cultura dovrebbe restare fuori dalla guerra, che, per inciso, noi non abbiamo dichiarato a nessuno. La questione, dunque, non riguarda la nevrosi delle connessioni «proibite» con il Babau d’Oltrecortina. L’aspetto deteriore, semmai, è il mesto spettacolo dell’ipocrisia. La Luiss ha istituito diverse partnership con la Russia. È l’ateneo di Confindustria, che comprensibilmente dispone di una divisione russa. Nel cda dell’università figura - per dire - Gian Maria Gros-Pietro, vertice di Intesa Sanpaolo, che è attiva nella nazione di Putin con 1 miliardo di euro di asset, 28 filiali e quasi 1.000 dipendenti, anche se ora ha congelato 500 milioni di finanziamento alla russa Novatek per un mega progetto sul gas artico, e sostiene che la sua presenza nel Paese è «oggetto di valutazione». Informazioni che Gianni Riotta, direttore del master in giornalismo luissino, si è guardato dal riportare, nella sua intemerata dell’altro giorno contro i «Putinversteher» d’Italia. Tra essi, il cortigiano Gianni si è dimenticato di mettere il prorettore per l’internazionalizzazione, Raffaele Marchetti. Il quale, come invece sottolineava lo studio usato da Riotta per il pezzo su Repubblica, nel 2014 propose nientemeno che di smembrare l’Ucraina «per regolare la questione del Donbass».La china è quella - delirante - della russofobia? Allora non si possono schivare gli imbarazzi, scaricando un prof perché non fa il pappagallo atlantista in tv. Un appello al rettore Andrea Prencipe, al presidente Vincenzo Boccia, alla vice Paola Severino, al direttore generale Giovanni Lo Storto: se noi occidentali siamo migliori, incoraggiamo il dibattito, anziché bollare le idee. Quanto ai «twittaroli» polemici, prima di indicare le pagliuzze nell’occhio altrui, guardino la trave nel loro. A Bassanini, per esempio, andrebbe rammentato che è grazie a lui, se un terzo di Cdp Reti è finita ai cinesi. L’ex ministro replicherà che il regime di Xi Jinping non ha ancora invaso un Paese confinante. Benissimo. A Taiwan lo aspetteranno al varco.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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