
Non si tratta di difendere Armando Siri, come accusa il giornale di Carlo Verdelli, ma di chiarire: l'intercettazione non c'è.Ci vuole una bella faccia tosta ad accusare questo giornale di aver fatto confusione sul caso Siri. Ma ci vuole una doppia faccia tosta a sostenere che per difendere il sottosegretario ai Trasporti si è messa in moto una «macchina del rumore», quando se una macchina esiste è quella del livore che è perennemente in funzione in certe redazioni. Di che cosa parliamo? Di Repubblica e del suo inviato Carlo Bonini. La storia è quella della famosa intercettazione che inguaierebbe l'onorevole leghista. Secondo il Corriere della Sera, in una conversazione registrata dalla Dia, l'imprenditore Paolo Arata direbbe al figlio che Armando Siri gli è costato 30.000 euro. La frase viene riportata fra virgolette anche da Repubblica, che per dimostrare di non essere da meno del concorrente, raddoppia le intercettazioni: due al prezzo di un solo euro e mezzo a copia. Peccato che il virgolettato così come è stato riferito da Corriere e Repubblica, non esista. E a dirlo non siamo noi, ma una fonte attendibile della Procura, che in questi giorni, a più riprese, ha assicurato al nostro Giacomo Amadori che il virgolettato riportato dalle due testate non c'è. Come abbiamo già spiegato, questo significa che l'accusa di essersi fatto corrompere mossa dai pm al sottosegretario sia infondata? No, vuol dire solo che il virgolettato che «incastra Siri», così come è stato riportato dai giornaloni, è inventato. Beccata con le mani nella marmellata, ieri Repubblica ha provato a reagire, parlando appunto di «operazione confusione» e di «macchina del rumore». Peccato che nell'articolo di Carlo Bonini si dimostri proprio il contrario di ciò che si vorrebbe far credere. Leggere per credere: «Come riferiscono fonti della Procura, “la conversazione intercettata non consente di stabilire se i 30.000 euro siano stati effettivamente pagati o, al contrario, soltanto promessi. Ma questo, sotto il profilo della contestazione del reato, non cambia le cose». Ovvio. Il reato è contestato a prescindere, sulla base di una serie di indizi. Ma se la conversazione intercettata non consente di stabilire se i 30.000 euro siano stati pagati o meno, significa solo una cosa, ovvero che la frase tra virgolette «Mi è costato 30.000 euro» pubblicata daRepubblica è una bufala. O meglio: una sintesi con licenza poetica di scrivere quel che piace al cronista.Del resto Bonini è uno specialista nell'arte creativa. Basti ricordare che nel febbraio del 2017 fu protagonista di un piccolo caso di confusione, per dirla a modo suo. La vicenda è quella che riguardò Raffaele Marra, il collaboratore di Virginia Raggi arrestato per corruzione, e in cui furono tirati in ballo alcuni sms di Luigi Di Maio. Sotto l'occhiello «Inchiesta», due anni fa Repubblica titolava in prima pagina: «Di Maio garante di Marra. La prova è nelle chat. “Lui è uno dei miei, un servitore dello Stato"».I 5 stelle accusarono il quotidiano di aver scritto il falso, ma la direzione del giornale replicò definendo quello grillino «un attacco intollerabile a un giornalista che ha dato nei suoi articoli circostanze certe e documentate». In realtà le cose non stavano così, perché la frase completa del vicepremier era la seguente: «Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L'importante è non trovare nulla». Il senso è chiaro: Di Maio non sta difendendo Marra, ma sta dicendo che anche lui, al pari degli altri, deve essere sottoposto a controlli senza sentirsi offeso. Ma Bonini non spiegò questo e anzi raccontò ai suoi lettori che il leader grillino fu il garante di Marra, assicurandogli il proprio sostegno. «Nel pieno dello scontro interno al mini direttorio che ne chiedeva la testa», scrisse Bonini, «Di Maio sollecitava Marra a resistere perché “servitore dello Stato". Perché “uno dei miei"». Il senso della frase riferita da Bonini risulta il contrario di quella scritta nella chat. Di Maio appare come uno che difende Marra, definendolo uno dei miei, mentre sta solo dicendo che Marra, come tutti gli altri, cioè i suoi collaboratori, è sottoposto a controlli. Per non dire che, leggendo la chat nella versione integrale, si scopre che Di Maio, prima di pronunciare la frase su Marra e gli accertamenti, scrive a Virginia Raggi: «Penso che nel gabinetto non ci possa stare, perché ci eravamo accordati così». Dunque non difende Marra, ma semmai gli dà il benservito. E però Repubblica e Bonini, nel febbraio di due anni fa, lasciarono credere ai propri lettori il contrario, respingendo ogni accusa di aver manipolato gli sms. Salvo poi, alla chetichella, rimuovere le frasi online e modificarle. È il metodo Repubblica: un'operazione confusione alimentata dalla macchina del livore, di cui ne hanno le tasche piene perfino in Procura.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





