
Tra le terre d'Altino e Jesolo, un patrimonio storico e culturale in degrado che si può risollevare con l'idea lanciata da Susanna Tamaro.La strada del mare. Per andare a Jesolo, cinquant'anni fa meta di giochi e tuffi. Oggi porto franco di notti brave, di sballi selvaggi, qualche volta fatali. L'ho rifatta qualche giorno fa, quella strada, e mi ha preso lo sconforto. Allora sognante, un'euforia trattenuta per tanti chilometri. Adesso malinconica, rassegnata.Questo è un appello sentimentale, ma anche un'esortazione dai risvolti economici. Non si può lasciar cadere così un posto tanto evocativo. Le case coloniche, dove la mezzadria ha rivitalizzato intere campagne, sono disabitate e cadenti. Le terre della bonifica lasciate andare. Dopo vari passaggi di mano, oggi quelle fattorie sono di proprietà di un'azienda agricola (Le Tresse) che riesce a garantire la conservazione del territorio nello stato attuale. Dove sono gli imprenditori illuminati? I politici lungimiranti? Gli assessori al territorio, all'ambiente, alla cultura? Il governatore Luca Zaia? Me la ricordo, la strada del mare da Portegrandi a Caposile. Spaccava in due la laguna e la campagna mentre io me ne stavo accovacciato sul sedile posteriore della Millecento. Mio padre guidava, mia madre al suo fianco, io dietro, tra mio fratello e mia sorella più grandi. A un certo punto, dopo una curva, il paesaggio cambiava repentinamente. Non c'erano più alberi a ombreggiare il percorso ma, dopo una piccola salita, la strada si spalancava in un panorama nuovo e arioso, prendendo a bordeggiare un fiume, oltre il quale si vedevano canneti, acqua e terre a perdita d'occhio. Una visione placida e misteriosa, presagio di quel mare che avrei trovato più tardi, al termine di un viaggio che allora mi sembrava lunghissimo. A renderlo ancor più meravigliosamente noioso c'era il fatto che quel nastro d'asfalto filava dritto e tutto uguale per parecchi chilometri, al fianco dell'acqua del Sile dalla quale si staccavano vari tipi di uccelli, anatre e gabbiani. Io, però, ricordo che nel primo tratto volgevo lo sguardo sul lato sinistro della strada che correva tra le propaggini nord della laguna di Venezia e i campi che si estendevano fino alle montagne.Poi c'erano le case. Case in mattoni, a due piani, isolate davanti ai campi, con le imposte distanziate in modo regolare. Anche tra loro, erano distanziate in modo regolare. Erano squadrate e alte abbastanza da filare parallele alla mia vista dall'argine sopraelevato.Andavamo a Jesolo, una specie di terra promessa innocente, fresca del boom economico e non ancora divertimentificio selvaggio, la «Rimini veneta» di oggi, con le sue trasgressioni e le baby gang che imperversano, terminale di vite dissolute e in un attimo dissolte da autisti fuori controllo. Quando la Millecento faceva quella svolta salendo sull'argine e iniziava a correre tra terra acqua e cielo senza altri ostacoli, cominciava davvero la gita, il giorno speciale della festa. I miei genitori chiacchieravano tra loro e tutti si aspettava di arrivare finalmente alla meta. A quel punto, però, quasi a fartela desiderare ulteriormente, il tempo rallentava ancora rendendoci più impazienti, tanto più se, come spesso accadeva, si procedeva incolonnati. Non restava che immergersi nella contemplazione delle case che, chissà perché, erano delle Ca'. Attraevano lo sguardo più della sconfinata laguna che si stendeva sull'altro lato della strada. Tra le imposte, bene in centro sul frontale, campeggiava la scritta che dava il nome ai casolari: Ca' Romagna, Ca' Sile, Ca' Imperia, Ca' Rinascita, Ca' Speranza, Ca' Favorita… Vicino a quei nomi fascinosi e misteriosi spiccava un piccolo stemma del Leone di San Marco. Le case si presentavano. Dicevano chi erano e chi erano i mezzadri che le abitavano, lavorando la terra che le circondava. Famiglie numerose, bambini che giocavano attorno a una fontana, donne che davano i ritmi alle giornate. Erano case coloniche costruite all'inizio del Novecento per la bonifica di quel territorio paludoso, infestato dalla malaria, tra le terre d'Altino e il mare.L'argine fendeva il paesaggio. A destra una visione dolce ma sfuggente e invalicabile, con i suoi acquitrini e lembi verdi, dominata dalla vegetazione e dalla fauna d'acqua. Un territorio fiabesco, che alimentava la fantasia. A sinistra, un quadro ordinato, geometrico, coltivato dall'uomo, riparato dalla strada più alta dal pericolo di inondazioni. A ogni gita, l'appello delle fattorie diventava una sorta di gioco enigmistico, alleggerendo per qualche chilometro il percorso fino a quando la sequenza delle Ca' s'interrompeva e lo sguardo poteva dedicarsi al canneto e al fiume, volgendosi verso destra. Come avrebbe fatto poco dopo la Millecento, imboccando decisa la direzione del mare. Qualche giorno fa, mezzo secolo dopo quei viaggi sul sedile posteriore, ho ripercorso la sp47 in scooter, ancora oggi via obbligata per arrivare a Jesolo. A destra, il paesaggio è rimasto identico, la laguna solcata da qualche barchino e le biciclette sulla pista aldilà del Sile. A sinistra ci sono ancora le case coloniche: Ca' Fertile, Ca' Feconda, Ca' Florida, Ca' Risorta, Ca' Redenta... Ma non sono identiche a cinquant'anni fa. Sono disabitate, diroccate, coperte da chiome invadenti. Ca' Florida non lo è per niente. Ca' Risorta ha il tetto squarciato, le travi tronche, i muri sbrecciati, le finestre con il vuoto dentro. Sono una contraddizione conclamata fra i nomi e lo stato delle cose. In quei nomi però c'era il ciclo della vita fecondata dal cristianesimo. Qualcuno li aveva scelti appositamente perché fossero letti di seguito, correndo sulla strada. Una toponomastica consapevole. Un progetto di civiltà. Un'idea di comunicazione, anche, e piuttosto raffinata.Mezzo secolo è passato. Quando me ne stavo assorto sul sedile posteriore della Millecento non conoscevo il significato di quelle parole. Ora sì, ma la realtà che indicano oggi resiste solo nella memoria. Questo è un appello sentimentale. L'appello per un recupero intelligente. Per una rinascita di storia e cultura. Sarebbe un grave errore lasciare alla nostalgia un patrimonio così carico di storia e di cultura. Quelle terre vanno riportate nel presente, testimonianza di una storia che si mette al passo con la modernità.Qualche giorno fa sul Corriere della Sera Susanna Tamaro e Andrea Segré hanno proposto l'idea d'istituire il «reddito di contadinanza». Non l'ennesima trovata assistenzialista, ma «un modo per coniugare l'ecologia con l'economia, riconoscendo che la radice dei due termini è la stessa: casa». Un modo intelligente per favorire il ritorno alla terra di tanti giovani che aspettano solo un'imbeccata, un piccolo scivolo per superare l'impaccio dell'inizio, per fare formazione e sostenere le start up agricole. Aiutando così la ripresa dell'occupazione giovanile e il rilancio dell'agricoltura. Ecco. Le case della ex bonifica delle terre d'Altino possono essere un perfetto banco di prova di questa proposta. Servono visione, energie, professionalità. E la strada del mare, con quelle Ca' dai nomi evocativi, molto più che un gioco enigmistico e nostalgico, diventerebbe una testimonianza di creatività e lungimiranza.
Il miliardario cambia idea, niente catastrofe climatica. Apre il circo della COP30. Cina, sale il prezzo del carbone. Russia e Turchia in trattativa sul gas.
Allarme Coldiretti: «Il porto di Rotterdam è un colabrodo, il 97% dei prodotti non subisce esami». Il ministro incalza Bruxelles.
In ballo ci sono malcontati 700 miliardi di euro, quasi un terzo del Pil generato dall’agroalimentare, oltre che la salute, eppure l’Europa non protegge i campi. Perciò l’Italia si candida a sentinella della qualità e della salubrità delle merci che arrivano dall’estero. Francesco Lollobrigida annuncia: «Chiederemo che venga assegnata all’Italia l’autorità doganale europea». È la risposta all’allarme lanciato dalla Codiretti nella sua tre giorni di Bologna. Ha ammonito il presidente Ettore Prandini: «Con 97 prodotti alimentari stranieri su 100 che entrano nell’Ue senza alcun controllo, approfittando di porti “colabrodo” come Rotterdam, serve un sistema realmente efficace di controlli alle frontiere per tutelare la salute dei cittadini e difendere le imprese agroalimentari dalla concorrenza sleale che mette a rischio i nostri record».
Sigfrido Ranucci (Ansa)
Ennesimo scontro tra la trasmissione Rai e l’Autorità, che dice: «Inchiesta errata sugli Smart glasses, il servizio non vada in onda». La replica: «È danno erariale».
Non si ferma lo scontro tra Report, la trasmissione di Rai 3 condotta da Sigfrido Ranucci e il Garante della privacy. Anche questa settimana, alla vigilia della puntata di stasera, l’Autorità di controllo ha chiesto alla Rai lo stop alla messa in onda di un servizio sulle attività del Garante. Report ha infatti pubblicato sui social una clip con l’anticipazione di un’inchiesta sull’istruttoria portata avanti dal Garante della privacy nei confronti di Meta, relativa agli Smart glass, gli occhiali da sole che incorporano due obiettivi in grado di scattare foto e registrare filmati. Il servizio di Report punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio dell’Autorità Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia, «prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni».
Diego Moretti (Ansa)
I dem che hanno sempre criticato l’ex sindaco Anna Maria Cisint firmano una mozione sul lavoro nei cantieri navali. Ora vogliono superare il modello di immigrazione a basso costo.
«Nella sua campagna permanente contro gli stranieri che a Monfalcone regolarmente lavorano, la Cisint aggiunge un nuovo tema: ora mette in discussione anche le rimesse economiche, annunciando misure per vietarle o limitarle. Una delle tante dichiarazioni che si aggiungono a quelle del passato, sicuramente buone per costruire narrazioni false e per alimentare odio nei confronti dello straniero».





