2025-04-04
«Dying for sex», l'ultima serie Disney tratta da una storia vera
True
«Dying for sex» (Disney+)
La serie televisiva, i cui otto episodi sono disponibili su Disney+ da venerdì 4 aprile, è ispirata alla storia vera di Molly Kochan, interpretata da Michelle Williams. Un resoconto di quel che può accadere nel cuore di una donna quando si sente dire che la battaglia con il tumore al seno è ormai persa.Se sia possibile unire, e in un tutto armonico, la prurigine di una vita deliberatamente promiscua e la disperazione di una morte imminente, lo ha reso chiaro Dying for sex. E la risposta è affermativa.La serie televisiva, i cui otto episodi sono disponibili su Disney+ da venerdì 4 aprile, non ha nulla a che vedere con Storia della mia famiglia, sebbene a tratti possa condividerne la leggerezza. I presupposti, certo, sono simili. Una diagnosi di cancro terminale, la ricerca di un equilibrio emotivo che consenta di distaccarsi in pace da questa vita terrena, la necessità di ripensare al meglio le proprie dinamiche familiari. Poi, però, la decisione di vivere quel che resta per se stessi.Dying for sex, ispirato alla storia vera di Molly Kochan, è il resoconto di quel che può accadere nel cuore di una donna quando dovesse sentirsi dire che la battaglia con il tumore al seno è ormai persa. Niente pietismi. Ricevuta la diagnosi di cancro metastatico al quarto stadio, Molly - il volto di Michelle Williams nella serie tv - compra una bottiglia gigantesca di diet soda, poi, serafica a un occhio esterno, si infila tra le labbra una sigaretta al mentolo. Fuma piano, come se la ritualità del gesto potesse aiutarla a ponderare una decisione riguardo il futuro. Infine, sceglie. Sceglie di rompere il matrimonio con l'uomo che credeva l'avrebbe accompagnata fino alla fine. Sceglie di farlo per non leggere nei suoi occhi la compassione, per tornare ad essere amante (e amata), non solo paziente. Sceglie di sperimentare, con una consapevolezza e una libertà mai provata prima, nemmeno negli anni belli della giovinezza, quando l'individualismo non è bieco ma ingenuo.Molly, che fuori dal contesto televisivo, nella vita reale, ha poi affidato la propria storia ad un podcast di Wondery, decide di vivere il tempo che le resta concedendosi il lusso di entrare in contatto con le parti di sé marginalizzate in nome di moralismi e sovrastrutture. Si evolve: un'esteta determinata ad esistere attraverso la ricerca del bello, del piacere, del desiderio sessuale. I partner con cui, nell'anno della diagnosi, si accompagna sono tanti e vari. Giovani, vecchi, amanti più e meno passionali. Ma non è di loro che Dying for sex racconta, non è di sentimenti. Lo show, prodotto tra gli altri da Nikki Boyer, migliore amica della Molly reale, è incentrato sull'esplorazione di un io, che non è quello canonico, un filo retorico, cui la narrazione della malattia ci ha abituati. E il risultato ha un che di sorprendente. Dying for sex riesce a muovere da premesse drammatiche per arrivare, con una delicatezza fuori dal comune, ad affermare una forma di felicità. Quella che nasce dalla libertà, dal movimento, dal coraggio insito in ogni scelta. Facendola, per giunta, riesce (anche) a ricordarci come non esistano regole codificate per affrontare la complessità dell'esistenza. L'equilibrio, bene prezioso ed effimero, non può che essere frutto delle scelte personali, che, in quanto tali, raramente potranno definirsi sbagliate.
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