2024-10-29
O si abolisce il patrocinio gratis per chi fa ricorso, o si toglie al giudice il diritto di convalidare i trattenimenti nei Cpr.Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneNon occorre certo la sfera di cristallo per prevedere che il decreto legge emanato il 23 ottobre scorso, recante l’indicazione dei Paesi da considerare sicuri ai fini del rimpatrio dei richiedenti asilo o protezione internazionale, sarà oggetto, con pressoché assoluta sicurezza, alla prima occasione utile, di questioni di legittimità costituzionale sollevate d’ufficio dai giudici o promosse dagli interessati. Con ogni probabilità saranno denunciate, quanto meno, la violazione dell’articolo 77, secondo comma, e quella dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione: la prima, per la mancanza del requisito della «straordinaria necessità e urgenza» richiesto per l’emanazione dei decreti legge; la seconda, per il ritenuto contrasto con l’articolo 46, comma 3, della direttiva europea n. 32/2013, in base al quale (stando alla interpretazione datane dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la ormai famosa decisione del 4 ottobre scorso), nel caso di una domanda di asilo o protezione internazionale respinta perché proposta da un soggetto proveniente da un Paese qualificato come sicuro, l’organo giudiziario investito del ricorso proposto dall’interessato avverso tale decisione avrebbe il potere-dovere di verificare, anche d’ufficio, la effettiva sussistenza delle «condizioni materiali» richieste perché la suddetta qualificazione possa ritenersi fondata. Sull’esito della prima di tali questioni è difficile avanzare previsioni, atteso il pressoché illimitato margine di discrezionalità entro il quale la Corte può muoversi per stabilire se, a suo giudizio, all’atto dell’emanazione di un decreto legge sussistessero o meno le prescritte condizioni di «straordinaria necessità ed urgenza». Ciò, naturalmente, dandosi per scontato che essa continuerà comunque, imperterrita, a ritenere che rientri fra i suoi poteri quello di sindacare, sotto il profilo in discorso, la legittimità di ogni decreto legge, pur se nel frattempo debitamente convertito in legge, nonostante che un tale potere - come ampiamente illustrato in un precedente articolo comparso su questo giornale il 30 luglio 2024 - dovrebbe, in realtà, spettare soltanto al Parlamento, implicando esso valutazioni di natura essenzialmente politica. Appare, invece, ampiamente prevedibile che venga ritenuta fondata la seconda questione. L’articolo 117, primo comma, della Costituzione, infatti, nella formulazione introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, stabilisce che il legislatore nazionale deve attenersi al rispetto, oltre che della Costituzione, anche «dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Ciò significa che, in pratica, le direttive europee vengono equiparate (salve eccezioni comunque non ravvisabili nel nostro caso), a vere e proprie norme costituzionali. Ne deriva che, qualora una norma ordinaria (quale anche un decreto legge convertito in legge) risultasse in contrasto con una direttiva europea, essa non potrebbe che cadere sotto la mannaia della Corte costituzionale. Ed è da ritenere che appunto a questo destino andrebbe quasi inevitabilmente incontro il decreto - legge in questione, se convertito nella sua attuale formulazione. La previsione, infatti, in esso contenuta, che determinati Paesi siano sempre da considerare sicuri senza che il giudice possa, motivatamente, sulla base degli elementi in suo possesso, non ritenerli tali, sembra difficilmente conciliabile con l’articolo 46, comma 3, della direttiva n. 33/2013, nella già ricordata interpretazione, da ritenersi vincolante, che ne ha dato la Corte di giustizia europea. E lo stesso sarebbe a dire con riguardo alla pressoché identica previsione contenuta nell’articolo 67, comma 3, del regolamento europeo n. 1348 del 2024, destinato a sostituire, a decorrere dal 12 giugno 2026, la direttiva n. 32 del 2013. Stando così le cose, se lo scopo, legittimamente perseguito dal governo, è quello di ostacolare l’accoglienza e rendere più facile l’allontanamento di quanti, provenendo da Paesi da considerarsi effettivamente sicuri, avanzano tuttavia pretestuose e cervellotiche richieste di asilo o protezione internazionale, potrebbero forse ipotizzarsi anche accorgimenti diversi da quello costituito dalla blindatura per legge dell’elenco dei suddetti Paesi; e ciò facendo leva su quanto previsto proprio da talune disposizioni contenute nella normativa europea.Uno di tali accorgimenti potrebbe essere quello di stabilire per legge che, dovendosi considerare a priori come infondato, fino a prova contraria, già in base alla vigente normativa, il ricorso proposto avverso il rigetto della domanda di asilo o protezione internazionale avanzata da soggetto proveniente da un Paese qualificato come sicuro, venga applicato l’articolo 20 della direttiva n. 32/2013 nella parte in cui prevede che, nel caso di impugnative da considerarsi ragionevolmente prive di «prospettive concrete di successo», possa negarsi al ricorrente, anche con provvedimento amministrativo (reclamabile davanti al giudice), la possibilità di fruire di assistenza legale gratuita; previsione, questa, confermata anche, per il futuro, dall’articolo 17 del regolamento n. 1348/2024. Un secondo accorgimento potrebbe essere quello di stabilire che, in caso di trattenimento del richiedente asilo o protezione internazionale in un centro di permanenza per il rimpatrio o altra analoga struttura, il relativo provvedimento adottato dal questore non sia assoggettato d’ufficio a procedura di convalida da parte del giudice - secondo le modalità e le tempistiche previste, in via generale, dall’articolo 13 della Costituzione per tutti i provvedimenti in materia di libertà personale adottati dall’autorità di pubblica sicurezza - ma possa essere soltanto oggetto di eventuale impugnazione da parte dell’interessato. Ciò in puntuale adesione a quanto pure espressamente previsto dall’articolo 9, comma 3, della direttiva n. 33/2013, secondo cui la «verifica in sede giudiziaria» del trattenimento disposto dall’autorità amministrativa può avvenire, congiuntamente o anche alternativamente, «d’ufficio e/o su domanda del richiedente». Ed è da segnalare, al riguardo, che l’applicabilità, nella materia in esame, della disciplina dettata dall’articolo 13 della Costituzione è frutto soltanto - come ricordato nella sentenza della Corte costituzionale n. 212 del 2023 - di una interpretazione «giurisprudenziale» e, pertanto, non vincolante, del citato articolo 9 della direttiva n. 33/2023, alla quale si è uniformata, finora, senza che ve ne fosse l’obbligo, la normativa interna. Inutile dire che il ricorso ai suddetti accorgimenti, pur se conforme alle direttive europee, non mancherebbe di sollevare urla di raccapriccio tra gli indefessi sostenitori dell’accoglienza indiscriminata di ogni e qualsiasi genere di migranti. Ma a costoro sarebbe facile rispondere che proprio loro hanno sempre sostenuto che, in questa come in altre materie, le norme europee debbono sempre prevalere su quelle nazionali. Dovrebbero quindi adattarsi all’applicazione, stavolta non gradita, del principio che essi stessi hanno innumerevoli volte invocato a proprio favore.
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